Guido Guidi, in un suo precedente post su CM, ha segnalato la breve nota uscita su Nature Geoscience a firma di Klotzback, Gray e Fogarty (2015) che ipotizzava per i prossimi anni la scomparsa dei grandi uragani dall’Atlantico settentrionale. Fra le cause principali del fenomeno, gli autori segnalano la diminuzione della temperatura di superficie dell’ Atlantico settentrionale, un fenomeno questo che i climatologi e gli oceanografi seguono attraverso l’indice AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation), per il quale è attesa nei prossimi anni la transizione dall’attuale fase positiva a una negativa. A tale fenomeno e alle sue conseguenze ipotizzabili per il clima europeo e globale è dedicata questa nota.
Le grandi ciclicità climatiche planetarie e l’AMO
Comprendere il clima del pianeta e la sua variabilità impone di confrontarsi con fenomeni ciclici (oscillazioni). Fra questi ricordiamo in ordine di periodo le ciclicità glaciali, l’AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation), la PDO (Pacific Decadal Oscillation), la NAO (North Atlantic Oscillation), l’ENSO (El Nino Southern Oscillation) , la QBO (Quasi Biennial Oscillation), la MJO (Madden Julian Oscillation), ecc.
Si tratta di fenomeni che sono stati scoperti analizzando le serie storiche delle diverse variabili climatiche (pressione al suolo o in quota, temperature dell’aria e degli oceani, ecc.) e il cui studio in alcuni casi ha imposto di portarsi indietro nel tempi di milioni di anni con l’ausilio di proxy data, come nel caso delle glaciazioni.
La storia della scoperta delle ciclicità climatiche è lunga e ci rimanda al XIX secolo per quanto attiene alle ciclicità glaciali (la teoria delle ere glaciali fu pubblicata da Agassiz nel 1840) o agli inizi del XX per quanto riguarda le prime ciclicità a breve periodo, messe in luce da Walker (1924) tramite l’analisi delle serie storiche di pressione al suolo.
Fra gli indici legati alle temperature oceaniche ricordo in particolare l’oscillazione pacifica PDO e quella atlantica, l’AMO.
L’AMO in particolare descrive il fatto che se osserviamo la superficie marina del Nord Atlantico notiamo l’alternarsi di fasi fredde e fasi calde, con un periodo di circa 60 anni, come ci mostra il diagramma della figura 1, tratto dalla sezione dedicata alle temperature marine del bel sito del geografo Ole Humlum. Il digramma di figura 1 è riferito solo al periodo dal 1856, che è coperto da misure strumentali. Tuttavia gli studi paleoclimatici hanno consentito di evidenziare che AMO è probabilmente una delle ciclicità atlantiche tipiche dei periodi interglaciali, come dimostra l’analisi su proxy paleoclimatici svolta da Kilbourne et al. (2014), i quali utilizzando l’ossigeno 18 presente nei gusci di foraminiferi marini in 4 siti dei Caraibi hanno dimostrato che nelle temperature della superficie marina del periodo 1470-1990 è ben visibile la ciclicità a 60 anni imposta dall’AMO. Inoltre Knudsen et al (2011) hanno esteso l’indagine all’intero Olocene utilizzando sette diversi proxies del Nord Atlantico, tra cui cinque carote glaciali Groenlandesi, e canadesi, un record lacustre dello Yucatan, in Messico, e un record marino del Cariaco Basin, a nord del Venezuela, Il risultato ottenuto è che la ciclicità a 60 anni propria di AMO si evidenzia per almeno gli ultimi 8000 anni.
Ricordo anche che AMO, così come PDO e ENSO, è considerato come effetto dell’unforced natural variability (Curry, 2013), e questo viene di solito invocato per giustificare il fatto che i modelli climatici globali GCM non sono in grado di prevedere tali fenomeni, che sono dei modulatori potenti rispetto alla variabilità forzata (il trend lineare crescente delle temperature globali che i modelli GCM descrivono come effetto dei gas serra di origine antropica). Alla unforced natural variability si deve ad esempio il sensibile riscaldamento artico degli anni 20-30.
AMO E TEMPERATURE GLOBALI
L’Atlantico settentrionale ha un ruolo cruciale per il clima del pianeta. In particolare a seguito degli studi pionieristici di Cesare Emiliani dell’Università di Miami, che per primo utilizzò per scopi paleoclimatici il contenuto di ossigeno 18 di radiolari e foraminiferi dei sedimenti oceanici, moltissimi lavori scientifici hanno evidenziato che l’interruzione della circolazione oceanica che trasferisce calore dall’Atlantico Meridionale all’area islandese (Atlantic Meridional Overturning Circulation o AMOC, una cui componente è la Corrente del Golfo ) (Kilbourne et al. 2014) è associata all’innesco delle glaciazioni così come la ripresa dell’attività dell’AMOC stessa è considerata come un precursore della fine delle fasi glaciali.
L’AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation) appare legato alle temperature globali in quanto l’aumento delle temperature globali negli ultimi 100 anni, visto attraverso i dati di dataset globali del tipo di Hadcrut di East Anglia University (figura 2) nasconde in realtà due componenti e cioè:
- una componente di trend lineare (+0.75°C sul periodo 1908-2007)
- una componente ciclica con periodo di circa 60 anni e che si lega alla ciclicità dell’AMO e che nei periodi negativi è in grado di mascherare il trend lineare mentre in quelli positivi lo esalta.
Più in particolare si osservi che le fasi di aumento delle temperature globali del XX secolo (1920-1940 e 1977-1998) coincidono con fasi di transizione di AMO da negativo a positivo mentre le fasi di stabilità o lieve decremento coincidono con AMO positivo o in transizione da positivo a negativo.
Estrapolando il suddetto comportamento al XXI secolo possiamo pertanto compiere il “peccato d’orgoglio” di sostituirci ai GCM prevedendo:
- un ulteriore aumento di 0,75 ° C nel 2100 rispetto al 2000
- ciclicità sessantennali indotte da AMO con un nuovo minimo relativo nel 2030 e un nuovo massimo relativo nel 2060.
CONSEGUENZE CLIMATICHE DI AMO POSITIVI E NEGATIVI
Ole Humlum ci ricorda che L’indice AMO risulta correlato alla temperatura dell’aria e delle precipitazioni su gran parte dell’emisfero settentrionale. La correlazione appare più alta per il Nord Est del Brasile, Sahel e Nord America. Più in dettaglio AMO è correlato a gravi siccità nel midwest e nel sudovest degli Stati Uniti, per cui con AMO positivo tali siccità tendono ad essere più frequenti e prolungate rispetto a quelle che si verificano con AMO negativo. Ad esempio due delle più gravi siccità del 20° secolo negli Stati Uniti (la Dust Bowl degli anni 30 e quella degli anni ’50) si sono verificate in coincidenza con valori di picco positivi di AMO. Al contrario in Florida e negli stati pacifici del Nordovest tende ad accadere il contrario e cioè ad AMO elevati corrispondono buoni livelli di piovosità.
Per quanto attiene al clima europeo le cartografie presentate da Alexander et al. (2014) evidenziano le seguenti anomalie associate a AMO negativi:
- Ventosità più accentuata
- Precipitazioni che manifestano anomalie positive sul Centro Europa e negative sul centro del Mediterraneo
- Più lunga persistenza degli anticicloni subtropicali su vicino Atlantico in quanto su mare freddo gli anticicloni si rafforzano.
Il punto 3 mi pare particolarmente interessante poiché potrebbe significare una maggior frequenza di situazioni di blocco con conseguenti anomalie termiche negative legate a irruzioni artiche.
Ad AMO negativi inoltre corrispondono:
- Aumento dell’estensione delle superfici glaciali marine in Artide
- Sensibile diminuzione delle frequenza dei grandi uragani antartici, che è poi l’aspetto trattato da Klotzback et al su Nature Geoscience (2015).
Difficile è invece stabilire correlazioni fra AMO e l’indice NAO che, come sappiamo, è un indicatore del comportamento delle grandi correnti occidentali, il grande fiume d’aria che scorre alle medie latitudini del pianeta regolandone il clima.
Questo è quanto emerge dalla bibliografia che ho consultato e che trovate riportata in calce a questo scritto. Invito tuttavia i lettori a non prendere come oro colato tali indicazioni in quanto indici come AMO, NAO, ecc. sono indici a macroscala e tuttavia fra macroscala e tempo atmosferico sulle nostre teste vi è tutta una gamma di fenomeni propri delle meso e microscala, di cui tali indici non possono in alcun modo render conto.
QUANDO AMO ENTRERÀ NELLA SUA FASE NEGATIVA?
A partire dal 2007, alcuni descrittori del clima stanno scostandosi rispetto al trend all’aumento cui avevamo assistito in precedenza. Ciò vale ad esempio per:
- contenuto energetico dell’Atlantico nei primi 700 m di profondità, in calo dal 2007 (figura 3)
- temperatura media dell’Atlantico nei primi 800 m di profondità, in calo dal 2007 (figura 4)
- estensione dei ghiacci marini in Artide, che dopo il calo osservato dal 1998 si è stabilizzata al dal 2007 (figura 5).
Inoltre Klotzbach e Gray (2008) hanno definito uno schema di calcolo dell’AMO in base al quale sono stati prodotti i diagrammi in figura 6 e figura 7. Si noti la tendenza dell’indice a postarsi in campo negativo, il che è particolarmente evidente per l’indice mensile relativo a maggio (figura 7).
In un suo recente post, Judith Curry (2015) sostiene che è più probabile che il passaggio alla fase negativa di AMO non avvenga prima del 2020, non sentendosi tuttavia di poter escludere un passaggio più precoce come ipotizzato da Klotzbach et al.
In ogni caso alla luce dei trend passasti è del tutto naturale ipotizzare che tale passaggio possa ragionevolmente aver luogo nei prossimi 5-10 anni e che dunque ci troveremo fra non molto a fare i conti con la fase negativa di AMO, come già li abbiamo dovuti fare in passato.
BIBLIOGRAFIA
- Alexander M.A., Kilbourne K.H., Nye J.A., 2014. Climate variability during warm and cold phases of the Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO) 1871–2008, Journal of Marine Systems, 133 (2014) 14–26 (http://www.esrl.noaa.gov/psd/people/michael.alexander/alexander.etal.amo.j.Mar.Sys.3-14.pdf)
- Curry J., 2013. Unforced variability and the global warming slow down http://judithcurry.com/2013/07/13/unforced-variability-and-the-global-warming-slow-down/
- Kilbourne K.H. 2014. A Paleoclimate Perspective on Atlantic Multidecadal Variability, Journal of Marine Systems, 133 (2014), 4-13.
- Klotzbach, P.J. and Gray, W.M. 2008. Multidecadal variability in North Atlantic tropical cyclone activity. Journal of Climate 21: 3929-3935.
- Klotzback P.J., Gray W.M. and Fogarty C. 2015. Active Atlantic hurricane era at its end? Nature Geoscience, 7 September 2015.
- Knudsen M.F., Seidenkrantz M., Jacobsen B.H., Kuijpers A., 2011. Tracking the Atlantic Multidecadal Oscillation through the last 8,000 years, Nature Communications, 2, 178 (http://www.nature.com/ncomms/journal/v2/n2/full/ncomms1186.htm)
- Walker , G.T. 1924. Correlations in seasonal variations of weather, IX. Mem. Indian Meteorol. Dept. 24 , 275– 332.
- Watts A., 2015. Arctic sea ice melt may have turned the corner, http://wattsupwiththat.com/2015/09/11/arctic-sea-ice-melt-may-have-have-turned-the-corner/
[…] Maggiori informazioni sull’Amo si possono trovare in questo articolo di […]
[…] Maggiori informazioni sull’Amo si possono trovare in questo articolo di […]
Gentile Guido Botteri, naturalmente il suo ragionamento non fa una piega, come quello peraltro del prof. Mariani, siamo tutti d’accordo sul significato di ciclo per i sistemi semplici, governati dalle leggi della fisica classica, la quale in un ambito, peraltro abbastanza ristretto del reale, riesce bene a descrivere i fenomeni per mezzo di formule che descrivono efficacemente come variano le cose in funzione del tempo. Sappiamo per esempio quando avverrà, con margini di errore trascurabili, la prossima eclissi di sole. Tuttavia i miei ragionamenti riguardano i sistemi complessi e quindi il problema scientifico che ho sollevato è quello di chiedersi se, nell’ambito dell’evoluzione di un sistema complesso, abbia ancora senso parlare di ciclo nel senso letterale del termine. Il clima è sicuramente un sistema complesso, un altro dominio importante della complessità è dato dalla biologia. Pensiamo allo sviluppo e alla vita di un essere vivente, per esempio, ha senso parlare di cicli all’interno di un processo evolutivo? Pertanto la mia è solo una disquisizione semantica. Provo a postarvi questo mio articolo recente, dove in modo semplice, cerco di trattare proprio questo concetto:
http://meteolive.leonardo.it/news/In-primo-piano/2/il-clima-non-torna-mai-sui-suoi-passi-quel-che-stato-stato-/51130/
Saluto cordialmente
grazie per l’articolo Luigi;
oggi però leggo questa cosa, in palese contrasto con altre considerazioni che anche tu hai riportato nei tuoi commenti qui sopra;
http://www.rivistanatura.com/i-prossimi-due-anni-saranno-i-piu-caldi-della-storia/
e viene dal met-office…. siamo di fronte all’ennesima sparata?
🙂
Max, siamo di fronte a lettura selettiva, nel migliore dei casi. Il Met Office dice che saranno gli anni più caldi a causa di El Nino che, certo, si somma al trend sottostante, ma che nessuno ha efficacemente collegato al GW; e poi dice tante altre cose, tra cui anche che potremmo aver iniziato una decade di raffreddamento. Domenica qui su CM.
gg
http://www.bbc.com/news/science-environment-34226178
Grazie prof.Mariani per le delucidazioni in merito alle ciclicità e per i suoi, per me sempre preziosi contributi, mi sembra che alla fine sosteniamo lo stesso concetto. Anche secondo il mio parere il clima affascina e stimola, per la sua natura caotica e molto spesso imprevedibile. Riguardo all’astronomia, l’ho citata soltanto per evidenziare, come ha detto lei, l’esistenza di cicli ben definiti che rendono i fenomeni perfettamente prevedibili, a differenza di quanto accade invece in climatologia. Piuttosto il confronto e una certa separazione concettuale e metodologica di solito io tendo a farla tra scienze galileiane (es. fisica classica) e scienze evolutive (climatologia, biologia ecc.). Naturalmente io tifo per le seconde.
Saluto cordialmente
Grazie a lei, dottor Vomiero. Sono contento che si sia ragiunto un punto d’equilibrio e che lo stesso sia basato sulla passione per la meteorologia. LM
Gentile Fabio Vomiero, proprio dall’astronomia vorrei prendere un esempio.
Da wikipedia:
// Il sistema solare si trova nel braccio di Orione della Via Lattea, poco lontano dal disco galattico, dal cui centro dista quasi 28 000 anni luce. Esso compie una rivoluzione all’interno della stessa Galassia, percorrendo un’orbita ellittica; dalla Terra, il moto sembra essere diretto verso una direzione apparente. La velocità di rivoluzione media è pari a circa 250 km/s, e per compiere una rivoluzione completa il sistema solare impiega circa 230 milioni di anni. //
Non so se (e non escluderei che) ci siano altri moti intergalattici con ciclicità ancora più lunghe.
Ora, un fenomeno ciclico, visto a scala molto più piccola, può apparire rettilineo.
Il limite di sen (x) / x
per x tendente a 0
è 1
e questo è la rappresentazione matematica di quello che sto dicendo.
Voglio dire che un fenomeno ciclico, con un periodo molto lungo, visto in un periodo breve (e noi umani, purtroppo viviamo nel breve) può apparire un trend lineare.
D’altra parte la presenza di un trend lineare non esclude la presenza concomitante di fenomeni ciclici.
Se consideriamo lineare il percorso del sistema solare, abbiamo comunque, al suo interno, molti fenomeni ciclici (il moto della Luna intorno alla Terra per esempio, la rotazione stessa della Terra, il moto della Terra intormno al Sole, e via dicendo).
In definitiva, voglio dire che, pur considerando (alla luce della nostra breve esistenza) la presenza di fenomeni forse lineari, questi non escludono la presenza di fenomeni ciclici che vale la pena di studiare e conoscere, secondo me.
Ricambio i suoi cordiali saluti.
Aggiungo che il sistema solare attraversa il disco galattico ciclicamente con un periodo di ( se non ricordo male) 90-100 milioni di anni, compiendo 2 o 3 oscillazioni per ogni rivoluzione.
Questi moti non hanno periodi precisi (diversamente da come ci sembra accadere normalmente in astronomia) perché non è ben nota la massa in gioco e la sua distribuzione, che su scale di tempo tanto grandi può a sua volta variare…
Caro Guido, concordo pienamente con la tua analisi. La storia della nostra specie è piena di esempi simili. Nel nostro piccolo i topografi considerano la terra piatta entro i 25 km, sferica entro i 110 km ed ellittica per il resto. In realtà non è nulla di tutto questo, ma per le nostre applicazioni tecnologiche è ampiamente sufficiente.
In merito ai trend lineari in ambito climatologico, ho avuto modo di parlare diffusamente di come tendenze secolari o plurisecolari appaiano lineari alla scala decadale o multidecadale in questo post su CM (scusami per l’autocitazione) 🙂
http://www.climatemonitor.it/?p=36471
Ciao, Donato.
p.s.: fatti “sentire” più spesso, i tuoi contributi alle discussioni sono essenziali.
Articolo splendido.
Non capisco una cosa: In che modo acque fredde rafforzano gli anticicloni? A quanto credevo di aver capito, sono le acque calde che sostengono gli anticicloni spingendo verso l’alto le masse d’aria che le sovrastano..
Gentile Marco, l’esperienza ci dice che gli anticicloni persistono su mare freddo mentre su mare caldo si sviluppano depressioni. Tre esempi:
1. durante El Nino il mare è anomalmente caldo sul Pacifico Orientale ove si sviluppano depressioni (-> anomalia pluviometrica positiva) e anomalmente freddo sul pacifico occidentale, ove persistono anticiconi (-> anomalia pluviometrica negativa).
2. i minimi plari si sviluppano quando aria artica molto fredda proveniente ad esempio dal plateau groenlandese irrompe su un mare caldo.
3. su mare caldo si sviluppano tipicamente i cicloni tropicali.
Da cosa poi dipenda il fatto che il mare caldo sia favorevole all’instabilità e il mare freddo no, penso che entri in gioco ad esempio la cessione di calore latente dal mare caldo all’atmosfera sovrastante.
Naturalmente io non metto minimamente in dubbio l’importanza della paleoclimatologia come disciplina di fondamentale importanza per capire il clima di ieri e quindi di oggi. Ed è vero come dice Donato che ci sono migliaia di lavori scientifici in questo campo. Ma è anche vero che non tutti i campi della scienza, anche se esistono in termini di ricerca, riescono a produrre sempre risultati adeguati, purtroppo. Si pensi a molti campi della ricerca biomedica o alla esobiologia, alla paleontologia, dove basta un niente per rimettere nuovamente tutto in discussione, vedi ad esempio la presunta recente scoperta di una nuova specie di Homo, il Naledi, ancora difficilmente collocabile a livello temporale e quindi filogenetico. Perché anche la filogenesi evolutiva per esempio è una semplice ricostruzione, precaria ed aleatoria, molto probabilmente piena di errori e di “scatole nere”. La fossilizzazione è un fenomeno raro in natura, è come cercare sempre l’ago nel pagliaio. Per la paleoclimatologia il discorso se vogliamo è ancora più complesso, perché oltre ad avere a che fare con la scarsità dei campioni in termini spaziali e temporali, utilizziamo metodi completamente indiretti; da un polline, un sedimento, una carota di ghiaccio, degli anelli di accrescimento di un albero, un foraminifero, precari rapporti isotopici e quant’altro, dovremmo ricavare l’estrema complessità del clima globale in un determinato momento storico. Personalmente la vedo molto dura, visto che siamo in difficoltà ancora oggi, con tutto l’armamentario tecnologico di cui disponiamo a definire il clima com’è oggi, che attenzione, non significa soltanto temperatura media, per la quale tra l’altro siamo già in difficoltà, in termini di discrepanze tra rilevazioni terrestri e satellitari, tra SST e rilevazioni oceanografiche in situ, per quanto riguarda il mistero quantitativo delle isole di calore, la mancanza di dati per alcune aree ecc. Quindi quello che voglio dire è che dobbiamo fare sempre molta attenzione a maneggiare questo tipo di dati, consci degli ampissimi possibili margini di errore, nonostante i grafici tematici che ne vengono fuori, così apparentemente belli e precisi, ci inducano invece a pensare il contrario.
Per quanto riguarda le ciclicità, la mia domanda è: si può parlare di ciclicità del clima? Perché il concetto di ciclo, inteso nel senso letterale del termine, come situazione che si ripete identica a intervalli di tempo regolari, poco si addice alle scienze storico-evolutive e quindi anche al clima. Io non riesco a trovare un solo esempio di vero ciclo, dimostrato, nel clima, esclusi quelli astronomici. Quasi biennale oscillazione (si chiama così per un motivo), ENSO, da 3 a 7 anni circa, ciclo solare, da 10 a 12 anni, AO e NAO, dalle dinamiche completamente stocastiche, persino le ere geologiche, per quel poco che si sa, in termini di precisione, hanno avuto durata variabile anche se circa di 100.000 anni, così come i periodi interglaciali. Perché AMO e PDO allora dovrebbero essere perfettamente cicliche? Quindi in sostanza, non dobbiamo mai peccare troppo di presunzione, purtroppo, perchè anche nella scienza, soprattutto quella moderna che si occupa di sistemi complessi, i limiti teorici, investigativi, metodologici, sono sempre tanti e l’ignoranza è sempre in agguato, l’importante però è esserne consapevoli. E chi si occupa di paleoclimatologia, questo lo sa benissimo.
Saluto sempre cordialmente
Gentile dottor Vomiero, secondo me il limite del suo ragionamento sta nel paragonare la climatologia con l’astronomia, o per lo meno a quella parte di astronomia newtoniana che ci consente di prevedere con migliaia d’anni di anticipo il passaggio si una cometa o un’eclissi di sole o di luna.
Il sistema climatico è invece (è questa è per me la sua bellezza) un sistema intrinsecamente caotico messo in moto dal sole e con fortissimi aspetti di scala, per cui parliamo di fenomeni a micro, meso e macroscala che dialogano fra loro scambiando massa, energia e quantità di moto.
Dobbiamo allora accontentarci di ricercare in tale sistema delle regolarità che poi magari chiamiamo saccature, promontori anticiclonici, vortici oppure fasi positive e negative degli indici di cu si parla in questo post. Tutti questi fenomeni (che poi riconosciamo come tali in quanto determinano degli effetti sulle nostre teste) presentano delle “ciclicità” da intendere nel senso “debole” del termine, per cui ci si riferisce a fenomeni che si ripresentano con una certa qual regolarità nel tempo e nello spazio.
Aggiungo che ogni disciplina ha i suoi limiti (anche quelle che a lei paiono più robuste). Su questo mi torna alla mente la celebre frase di Zenone nell’opera al Nero della Yourcenar:
“So che non so quel che non so; invidio coloro che sapranno di più, ma so che anch’essi, come me, avranno da misurare, pesare, dedurre e diffidare delle deduzioni ottenute, stabilire nell’errore qual è la parte del vero e tener conto nel vero dell’eterna presenza di falso. Non mi sono mai ostinato su un’idea per timore dello smarrimento in cui cadrei senza di essa. Né ho mai condito di menzogne un fatto vero per rendermene la digestione più facile. Non ho mai deformato le opinioni dell’avversario per confutarle più facilmente, neppure durante il nostro dibattito sull’antimonio, quelle di Bombast, il quale non me ne fu grato. O piuttosto si: mi sono sorpreso a farlo, e ogni volta mi sono rimproverato come si sgrida un domestico disonesto, e ho ritrovato la fiducia solo dopo essermi ripromesso di far meglio. Ho avuto anch’io i miei sogni, e non gli attribuisco valore d’altro che di sogni. Mi sono guardato bene dal fare della verità un idolo; ho preferito lasciarle il nome più umile di esattezza. I miei trionfi e i miei pericoli non sono quelli che la gente s’immagina; ci sono altre glorie oltre la gloria e altri roghi oltre il rogo. Son quasi riuscito a diffidare delle parole. Morirò un po’ meno sciocco di come son nato.”
Gli è che purtroppo quando qualcuno scrive su riviste scientifiche, i limiti conoscitivi vengono troppo spesso sottaciuti per ragioni che ci spiega Freeman Dyson nel breve brano che riporto qui di seguito e che è tratto dal suo bellissimo scritto HERETICAL THOUGHTS ABOUT SCIENCE AND SOCIETY (https://edge.org/conversation/heretical-thoughts-about-science-and-society), scritto che consiglio a chi non l’avesse già fatto di leggere per intero:
In the modern world, science and society often interact in a perverse way. We live in a technological society, and technology causes political problems. The politicians and the public expect science to provide answers to the problems. Scientific experts are paid and encouraged to provide answers. The public does not have much use for a scientist who says, “Sorry, but we don’t know”. The public prefers to listen to scientists who give confident answers to questions and make confident predictions of what will happen as a result of human activities. So it happens that the experts who talk publicly about politically contentious questions tend to speak more clearly than they think. They make confident predictions about the future, and end up believing their own predictions. Their predictions become dogmas which they do not question. The public is led to believe that the fashionable scientific dogmas are true, and it may sometimes happen that they are wrong. That is why heretics who question the dogmas are needed.
Concludo osservando che questa frase di Dyson giustifica il lavoro critico che stiamo facendo in questi anni, lavoro che giustamente i dogmatici di ogni razza e colore aborrono.
Nell’internvento di Vomiero leggo tra le righe uno stralcio di frase che fa riferimento alla natura Antropica dell’ipotetico Riscaldamento Globale. Ed è a causa di questa natura antropica che è difficile coniugare la ciclicità del clima, e quindi di un ritorno al freddo, con la teoria suddetta del Riscaldamento Globale Antropogenico.
Si chiede di non peccare di presunzione… ma questo dovrebbe valere anche per chi ha stabilito, aprioristicamente parlando e in barba a qualsiasi legge fisica, oltre che prova concreta, che le temperature medie del mondo si scalderanno di una quantità non meglio precisata di gradi da qui alla fine del secolo. Senza badare al fatto che chi “studia” (vabbè… è una parola grossa) il Riscaldamento Globale Antropogenico fino ad oggi ha prodotto SCENARI e non PREVISIONI. Pertanto tali scenari si verificheranno se tutte le premesse adottate per produrli si verificheranno in modo preciso e sequenziale. E questo sappiamo che già oggi non si stanno verificando (e penso che mai si sono verificate se non nei modelli al pc che, però, non sono la realtà).
In sostanza… il clima è un sistema estremamente complesso, risultato di una moltitudine di fenomeni ciclici che si ripetono e interagiscono tra loro.
Le cause sono tutte riconducibili al Sole e alla posizione dei vari pianeti. Quindi anche alla precessione degli equinozi e ad altri fenomeni astronomici.
Ma individuare con precisione tutti i singoli cicli diventa pressoché impossibile proprio per l’elevatissimo numero degli stessi.
Volendo accettare la semplificazione del sistema, però, si intravede una ciclicità del sistema climatico ben precisa… con un periodo caldo, con temperatura dell’ordine dei 14° circa, della durata di circa 12.000 anni e caratterizzato da oscillazioni della temperatura tra +1 e -2°C circa rispetto alla media….. ed un periodo freddo… della durata di 120.000 anni circa, con temperatura dell’ordine dei 7,5° circa, caratterizzato da oscillazioni della temperatura tra +1.5 e -2.5°C circa.
E questa ciclicità del clima si ripete incessantemente da circa 1 milione di anni.
Prima di allora il contesto era totalmente differente… pertanto ha poca importanza fare dei paragoni con il presente.
In conclusione la ciclicità c’è ed è evidente… ma solo per chi parte dal presupposto che la temperatura media del pianeta dipende unicamente dal Sole e non dalle attività antropiche. Altrimenti il discorso ovviamente prende tutt’altra piega. E quelle che per “noi” sono prove… per chi crede all’AGW sono solo congetture prive di significato alcuno!
Avevo dimenticato che a luglio scorso avevo fatto un confronto tra AMO e temperature NOAA. Il grafico è qui. Il confronto è davvero carino anche se le forti oscillazioni (“us” nel nome del file significa un-smoothed) nascondono le differenze che pure ci sono e si vedono nel grafico in basso dove gli stessi dati sono filtrati su 11 anni. Il periodo di 60 anni si vede ad occhio nudo anche nei dati originali.
[…] Posted on 15 settembre 2015 Articolo di Luigi MarianiArticolo Originale: http://www.climatemonitor.it/?p=38906 […]
Ringrazio Fabio Vomiero e Donato Barone per i commenti vasti e sempre interessanti che invogliano senza dubbio al dialogo.
Da parte mia debbo anzitutto dire che i proxy paleoclimatici sono quel poco che abbiamo per descrivere i 4,5 miliardi di anni di clima del pianeta. Da questo punto di vista se per le epoche più remote i proxy non sono altro che fioche lampadine collocate a intervalli molto ampi in una lunghissima galleria completamente buia, per epoche più vicine a noi possono aiutarci a fare ragionamenti di un certo interesse.
Tuttavia bisogna conoscere i limiti dei vari proxy, limiti di cui mi è capitato spesso di parlare i questa sede. Tanto per fare un esempio le cerchie di crescita rispondono non solo alle temperature ma anche a risorse idriche, copertura nuvolosa che limita la disponibilità di energia radiante, attacchi parassitari, carenze nutritive, ecc. Un altro esempio è dato dalle serie storiche di date di vendemmia che sono correlate soprattutto con le temperature medie (più alle medie delle massime che delle minime) del periodo aprile – giugno (aprile – luglio per gli anni più freddi).
Dalla conoscenza dei limiti deriva il fatto che occorre a tutti i costi una grossa dose di modestia, astenendosi dal cercare far dire ai proxy cose che non sono in alcun modo in grado di dirci.
Circa poi NAO, se guardiamo il suo valore invernale che è il più interessante per il nostro clima (http://www.cru.uea.ac.uk/~timo/datapages/naoi.htm) possiamo cogliere fasi in cui prevalgono valori positivi (1900-1940 e 1988-2005) e fasi in cui prevalgono i valori negativi (1940-1987). Sapendo cosa comportano i NAO positivi (predominio sull’Europa dell’aria polare marittima con tempo mite e piovoso) e quelli negativi (predominio sull’Europa dell’aria polare continentale con tempo rigido e più asciutto) le conseguenze dell’alternarsi di periodi con caratteristiche diverse sul nostro clima sono considerevoli. In particolare la sequenza di anni con NAO invernali fortemente positivi dal 1988 al 1994 ha coinciso con quello shift nelle temperature europee che si sono innalzate bruscamente di circa 1°C dando luogo ad un evidentissimo cambiamento climatico. L’Arctic Oscillation (AO) è poi per molti versi un analogo dal NAO, per cui anche in essa (http://appinsys.com/globalwarming/AO_NAO_files/image002.jpg) nel 1988 si coglie un brusco passaggio ad un’intensissima fase positiva che non ha precedenti nel XX secolo.
In sintesi ed in risposta alla considerazione di Vomiero sulla stocasticità di NAO, mi pare che NAO sia un processo stocastico con tendenza a sequenze di anni con caratteristiche analoghe specie per i NAO positivi (da questo punto di vista ci vedrei una dinamica di tipo markoviano).
Articolo molto interessante e largamente condivisibile così come condivisibili appaiono alcune considerazioni di F. Vomiero circa l’impredicibilità del sistema climatico.
.
Vorrei far notare, comunque, che il ciclo di 60 anni appare chiaramente in tutte le analisi che si fanno sulle serie di temperature e il lavoro fatto da F. Zavatti sulle serie delle temperature NOAA, lo dimostra chiaramente. Personalmente sono convinto, grazie a tutta una serie di lavori scientifici che ho avuto modo di studiare, che le temperature superficiali seguono un andamento schematizzabile mediante la composizione di due trend: uno lineare o a lunghissimo periodo (secolare o millenario) e l’altro caratterizzato da un periodo multidecadale. Parlare di periodi in un sistema non lineare ipercomplesso come quello climatico può sembrare una contraddizione. In realtà la contraddizione è solo apparente se si presume la presenza di attrattori a dimensione frattale che stabilizzano le condizioni di equilibrio nello spazio delle fasi. In tale ipotesi non appaiono fuori luogo oscillazioni quali AMO, PDO, AO, NAO e via cantando.
.
Come sottolinea F. Vomiero, l’esistenza di queste ciclicità non ci potrà mai garantire che le situazioni si ripeteranno uguali a se stesse a distanza di anni, decenni o secoli in quanto potrebbero esistere dei punti di biforcazione in corrispondenza dei quali il sistema potrebbe evolvere verso condizioni mai sperimentate in passato. Considerando tutte le variabili in gioco, ognuna delle quali è in grado di creare un punto di biforcazione, non ci dovremmo meravigliare che il sistema evolva verso condizioni mai esplorate.
Le serie storiche desunte da dati di prossimità ci permettono, però, di considerare alcuni stati di equilibrio particolarmente stabili: le calotte polari, nel corso delle ere geologiche, si sono sciolte e riformate; le temperature si sono alzate ed abbassate rispetto a condizioni intermedie anche se lo stato termico dominante è stato sempre quello freddo; la concentrazione di CO2 atmosferica è sempre stata variabile con valori maggiori, uguali o minori di quelli attuali. Tutto questo mi lascia un po’ di ottimismo rispetto al futuro e nutro una fondata speranza che il nostro sistema climatico resterà ben all’interno dello spazio delle fasi esplorato nel corso delle ere geologiche.
.
Per quel che riguarda lo scetticismo di F. Vomiero rispetto alle serie di dati di prossimità (a me noto da lungo tempo) vorrei far notare che il suo atteggiamento è ampiamente condivisibile, ma urta con tutta una serie di ricerche (centinaia, se non migliaia) che cercano di ricostruire il clima storico per confrontarlo con quello attuale. Possiamo dire che tutte le polemiche che caratterizzano il dibattito climatico sono nate da conclusioni basate su analisi di dati paleoclimatici (mazza da hockey in primis). In altri termini senza la paleoclimatologia non esisterebbe la guerra del clima in quanto nessuno potrebbe dire che il nostro pianeta non ha mai sperimentato, nel corso della sua storia, temperature così alte e concentrazioni di CO2 altrettanto alte. Probabilmente non esisterebbe neanche CM e noi non staremmo qui a discutere da anni ed a farci insultare dai credenti dell’AGW. 🙂
Ciao, Donato.
Non ci dovremmo meravigliare che il sistema evolva verso condizioni mai esplorate…
Vallo a spiegare ai soliti noti Donato, io mi metto comodo e aspetto
gg
Una segnalazione che mi pare importante e che ho tratto da WUWT : l’UK Metoffice ha emesso l’outlook “Big Changes Underway in the Climate System?” molto interessante e reperibile al sito http://www.metoffice.gov.uk/media/pdf/8/c/Changes_In_The_Climate_System.pdf.
Lo scritto è riferito a ENSO, PDO, AMO, NAO e in esso si paventa il fatto che il GW possa acquietarsi nei prossimi decenni per il concomitante effetto di alcune ciclicità. Gli autori scrivono ad esempio che:
“The increasingly likely prospect of a shift in North Atlantic conditions during the next few years implies a risk of some marked changes in regional climate over this timescale”.
e poi, nelle conclusioni:
“Barring a large volcanic eruption or a very sudden return to La Niña or negative AMO conditions which could temporarily cool climate, ten year global average warming rates are likely to return to late 20th century levels within the next two years. Nevertheless, the slowdown in warming is still an active research topic and trends over a longer (15 year) period will take longer to respond. Further long-term global warming is expected over the coming decades but variations of climate worldwide from year to year or decade to decade will always depend on the subsequent variations in the patterns of climate variability described in this report.”
Particolarmente interessanti le carte a pagina 11 dell’outlook che riportano gli effetti degli AMO negativi dell’ultimo secolo su temperature e precipitazioni estive nell’area circum-atlantica.
Innanzitutto mi complimento con il prof.Mariani per questo lavoro, come sempre ben curato e ricco di supporti e informazioni, come da suo solito stile che personalmente apprezzo molto. L’argomento tra l’altro mi interessa molto e allora in un’ottica sempre spero costruttiva, provo a riportare alcune mie considerazioni.
– Personalmente non sono un grande estimatore dei dati proxi, non me la sento di attribuire loro una valenza che vada oltre le reali, poche e precarie informazioni che possono darci, per cui attenendomi ai recenti dati strumentali, non sono così sicuro della reale ciclicità degli indici climatici tipo AMO (presunta circa 60 anni) e PDO (presunta circa 30 anni), ammesso che parlando di clima abbia senso parlare di ciclicità, in quanto un sistema evolutivo, proprio perchè evolve lungo la linea del tempo, non ritorna comunque mai uguale a sè stesso.
-Che poi queste variazioni degli indici climatici, più o meno periodiche, abbiano sensibili ripercussioni sulle dinamiche atmosferiche e oceaniche, sia a livello locale che globale penso non ci siano dubbi, e mi pare che molti possibili rapporti di causa-effetto siano stati messi bene in evidenza nell’articolo.
-La recente dinamica dell’AMO sembra correlare molto bene con le temperature globali, molto meno con la dinamica della banchisa artica, anche se comunque sappiamo bene che una correlazione non implica necessariamente un rapporto causa-effetto.
-l’AMO, che in sostanza misura le SST, non sembra correlare molto bene nemmeno con il contenuto di calore dell’Atlantico del Nord, forse l’unico settore oceanico del pianeta che sta mostrando segnali di diminuzione, in quanto a fronte di un’AMO ancora positiva, il contenuto di calore è in diminuzione già dal 2007.
-Il punto critico del 1976, anno in cui le temperature globali hanno iniziato a salire corrisponde grossomodo e curiosamente sia al passaggio di fase dell’AMO sia a quello della PDO, anche se poi i segnali seguono naturalmente dinamiche e periodicità diverse.
-Molto probabilmente l’AMO sarà destinata nei prossimi anni a cambiare di segno, anche se non è dato a sapere ne quando, ne come, visto che tornando al discorso di prima, le situazioni sono sempre diverse e questa volta complicate anche dalla nuova variabile confondente rappresentata dall’aumento dei gas serra antropici. Il che, introdurrebbe il concetto generale, valido per i sistemi complessi non lineari che “se le cose finora sono andate in un certo modo, non è detto che in futuro continueranno ad andare così”.
-Relativamente ad altri tipi di indici come AO, NAO, ENSO, personalmente non riesco a trovare nessun segnale importante di ciclicità o di particolari fasi parossistiche, mi sembrano piuttosto ancora ad oggi, dinamiche abbastanza di tipo stocastico.
Non so se in queste mie valutazioni sono caduto in errore, e comunque mi farà piacere se qualcuno mi vorrà correggere, l’obiettivo è sempre quello di imparare ulteriormente.
Le conclusioni del prof. Mariani sono comunque condivisibili e come sempre molto interessanti.
Saluto cordialmente.
Articolo chiaro, ben impostato e che, come al solito, inquadra benissimo
il problema generale. Complimenti!
La frase “ciclicità sessantennali indotte da AMO con un nuovo minimo
relativo nel 2030 e un nuovo massimo relativo nel 2060.”
mi fa pensare al tanto bistrattato Akasofu (per i riferimenti si può vedere
ad esempio qui, su
CM un mio post) che, appunto, “prevedeva” un minimo di temperatura nel
2030 e un massimo successivo nel 2060, come deriva da un’oscillazione di 60
anni.
Per la componente lineare, avevo calcolato la pendenza dei dati NOAA (da
gennaio 1860 ad agosto 2013) ottenendo (0.65+-0.03)°C/secolo, valore che
probabilmente conferma lo 0.75 calcolato su un intervallo di tempo un po’
inferiore.
Direi che siamo tutti in attesa del 2030 (io, molto probabilmente, sarò
troppo “ottuagenario”, alias rimbambito, per rendermene conto ma spero in
qualche segno premonitore qualche anno prima) per capire davvero quanto pesa
la variabilità naturale rispetto al costante aumento antropico di cui si
parla troppo e spesso a sproposito.
Caro Zavatti, ringrazio molto per l’apprezzamento e per gli altri commenti, compreso il richiamo alle tue analisi. Circa la nostra capacità di ragionamento al 2030, credo che la stessa sia più imprevedibile del clima terrestre e comunque mi piace pensare che la stessa sia nelle mani di Dio.
Ma come… c’è qualcosa che avviene senza poterne attribuire colpe/meriti alle attività antropiche?
Inquietante… 😀