Non so quanto la cosa sia stata ripresa dai media nazionali, ma il penultimo lunedì di agosto ha visto l’ennesimo evento alluvionale, questa volta in quel di Siena e Grosseto. Quasi sicuramente hanno mancato di riferire alcuni dettagli che ritengo fondamentali per capire cosa è successo (e cosa succederà ancora). Visto che mi ci sono trovato in mezzo, ho pensato di colmare la lacuna. Quel lunedì avevo in programma una visita a Siena, partendo dalla località in cui ho passato le vacanze, sulla costa grossetana. Viste le previsioni del tempo e l’avviso meteo dell’Aeronautica Militare, verificate sull’apposita app per cellulare, ho evitato le strade secondarie, che generalmente preferisco, optando per la strada veloce Grosseto – Siena (SS223). Da un paio d’anni uso anche un’altra app che mostra la rilevazione radar delle precipitazioni sull’Europa (curiosamente non offre i dati dei radar italiani, però alcune regioni italiane di mio interesse sono coperte dai radar francesi). Al momento della partenza erano visibili due zone “rosse”, una grossomodo sulla Val Cecina, una a sud est di Siena. Nel mezzo c’era una pausa e mi sono felicitato del fatto che, ad occhio, sarei passato proprio in quella pausa nel momento giusto.
Tutto regolare fino al rientro da una deviazione prevista, causata da un crollo in una galleria qualche giorno prima. Dopodiché mi sono imbattuto in una coda. In quella zona, la valle del torrente Farma, praticamente deserta (nel senso che sono tutti boschi), c’è pochissima viabilità alternativa; costituita, oltretutto, in buona parte da sterrate, chiaramente da evitare in caso di allerta meteo. In più, il cellulare prende poco o per niente: le connessioni internet sono di fatto inutilizzabili. Né si riceve Isoradio. In sintesi, è stato di fatto impossibile ottenere informazioni su cosa stava succedendo e quali comportamenti sarebbe stato opportuno tenere.
Questo in un primo momento è stata solo una grossa seccatura – un’ora persa percorrendo poche centinaia di metri – e poi è diventato probabilmente anche una presa di rischio nel momento in cui mi sono ritrovato, insieme agli automobilisti in coda con me, in una zona pericolosa, a giudicare dalle scariche “fresche” di fango e grosse pietre provenienti dalla collina, chiaramente in grado di sfondare un finestrino; specialmente nel momento in cui è ricominciato a piovere in modo sostenuto. Verificato che non c’erano ripari in vista raggiungibili a piedi, appena è stato possibile – c’è stato un momento in cui la strada era bloccata nei due sensi – ho fatto inversione di marcia e ho raggiunto Siena con una lunga deviazione di tre ore; dovendo anche ringraziare il Cielo, perché in serata ho appreso che poco dopo il mio passaggio pure la viabilità alternativa era andata in tilt per l’intraversamento di un camion. Sempre in serata ho scoperto che anche se avessi potuto collegarmi con il sito del CCISS non sarebbe servito: non c’era nessuna informativa sulla SS223, che – per quanto ho potuto verificare – sarebbe comparsa solo alle 21:30 (!!!).
Questo per quel che riguarda quello che i giornali non hanno scritto. La cronaca, invece, ha riferito che lungo il corso del fiume Ombrone, a Monte Antico, una fattoria – costruita in zona golenale – è stata investita, in serata, da un’ondata di piena che si è portata via provviste e bestiame, mentre gli occupanti si sono salvati appena in tempo svegliati dal rumore dell’acqua che montava. La mattina dopo, poco oltre Grosseto, dove il fiume serpenteggia nella pianura in un’ampia area golenale piena di campi coltivati, è intervenuto l’elicottero Pegaso per salvare un malcapitato agricoltore che si è improvvisamente trovato in mezzo al fango.
Ora, il culmine delle precipitazioni ha investito la zona a sud di Siena, provocando le esondazioni dei fiumi Ombrone, Merse e Arbia e del citato torrente Farma. I centri storici di Buonconvento e Monteroni d’Arbia sono finiti sott’acqua, insieme a numerose fattorie. Si dà il caso che i citati corsi d’acqua siano tutti affluenti dell’Ombrone, per cui mi pare – da profano quale sono – banalmente inevitabile che quest’ultimo subisca un’ondata di piena, la quale a sua volta invaderà le zone golenali, che sono costruite apposta per essere allagate. Dunque per quale motivo – dopo molte ore – nessuno si è assicurato che le zone golenali fossero sgombere? Specialmente le zone abitate?
I grossetani ben conoscono la pericolosità della zona, come testimoniano le targhe sulle mura del centro storico che ricordano i livelli raggiunti dal fiume in tre storiche esondazioni negli ultimi cento anni (tra cui spiccano i tre metri e mezzo del 1966). Questo per non contare le esondazioni “minori”, che sono ben più numerose. Nonostante questo, da decenni si parla di opere di riduzione del danno, come casse di espansione da costruire a monte, ma si fa sempre solo dopo un evento e poi non si conclude niente.
Perché dunque stiamo sempre a parlare di massimi sistemi e di clima nel 2050, ma non siamo ancora in grado di fare l’indispensabile per la prevenzione, cioè e necessarie opere idrauliche, ed il “disaster management”, cioè fornire informazioni accurate alle persone che si trovano, o sono a rischio di trovarsi, in mezzo ad un problema? Questa volta non è scappato il morto, ma poteva andare peggio. Forse perché è troppo bello parlare di quello che devono fare gli altri, i capi di stato, le multinazionali, scrivere bei pezzi di giornale o addirittura encicliche, ma è molto più impegnativo dedicarsi alle “piccole” cose concrete? Eppure, ammesso e non concesso che trend climatici vadano verso l’intensificazione dei fenomeni pericolosi, proprio per questo la prevenzione e la gestione delle emergenze dovrebbe essere una priorità. Non è che non lo fanno perché alla fine non ci credono neanche loro?
“Da sempre, i corsi d’acqua hanno un letto, in cui scorrono per gran parte dell’anno, ed un area inondabile, in caso di precipitazioni intense. Chissà quanti sanno che il Po, ad esempio, in passato durante le piene più intense non solo è esondato ma addirittura è rimasto disalveato per diversi anni; spesso e volentieri il corso del fiume subì importanti modifiche a causa degli eventi di piena. ”
Scusate se continuo con gli esempi personali, ma mi considero sempre come un archetipo dell’uomo della strada per questi argomenti. Per dare un contesto, sono nato nel 1970 a Genova in una famiglia media, ho studiato fino alla laurea e al dottorato, eccetera, insomma non sono un contadino dell’Afghanistan né ho vissuto secoli fa. Questo per fare il punto sulla mia esposizione culturale.
Sono nato a Genova e per anni ho vissuto qui senza spostarmi. Sono anche andato in campagna, ma – diciamo così – non sono stato esposto direttamente fino a venti/venticinque anni ad un ambiente con grandi fiumi. Come saprete, qui ci sono quasi solo torrenti, e praticamente tutti regimentati.
Ho un’attrazione per pozzanghere, pozze, stagni, fanghiglia, lagune, eccetera, non so per quale motivo; da un punto di vista razionale la cosa si è rafforzata da quando mi interesso di pennuti, perché sono zone generalmente piene di limicoli; per cui, quando ho iniziato a girare per lavoro e interessarmi, successivamente, di fotografia, che mi ha fatto focalizzare l’attenzione sul paesaggio e certi dettagli, mi sono dedicato a studiare queste cose. Solo in quel momento ho avuto la consapevolezza di una cosa ovvia come la frase di Paolo che ho citato sopra. Così come ho imparato che in Camargue, prima che il Rodano fosse regimentato per essere reso navigabile, andava dove gli pareva, esondava, cambiava corso permanentemente, eccetera. Eppure credo che i 90% dei turisti che bazzicano quegli ambienti non lo sanno. Così come, pur avendo bazzicato lagune sin da piccolo (Grado e Orbetello) per lungo tempo non ho realizzato che, se c’è un entroterra pianeggiante, tra la costa ed il mare è naturale che ci sia una laguna, un lago costiero o roba del genere. E che se non ci sono, vuol dire che qualcuno le ha prosciugate, a torto o a ragione. E che se non si mantengono bene nell’equilibrio che desideriamo, tendono a esondare, o insabbiarsi, o inquinarsi, eccetera.
Sicuramente il motivo sarà che sono un deficiente, ma ho il sospetto che sia normale per un “cittadino” non esposto alla campagna e che non studia questi argomenti per mestiere. È un po’ come i bambini che credono che il pollo sia un animale a quattro zampe. La cosa bestiale è che questi “cittadini” sono quelli che fanno in maggioranza l’opinione pubblica, e il trend è che di “campagnoli” ce ne sono sempre meno (e certe campagne, ormai, hanno perso quasi completamente le caratteristiche naturali). D’altronde, in Maremma frequento regolarmente una piccola area protetta visitabile, annessa ad un museo del territorio ottimamente gestito, che fa un’opera di formazione eccellente. Conosco bene un paio di persone che lo gestiscono. Non solo la gran parte dei turisti non sa niente, ma mi dicono che pochissimi dei residenti l’hanno mai visitato, e probabilmente – salvo gli anziani – non sanno un gran che del posto in cui vivono, perché è fatto così, e per conseguenza quali sono i suoi problemi.
Riallacciandomi ad altri discorsi fatti da voi in questi giorni, penso che sia una delle cause della facile e dilagante disinformazione, per cui la gente si beve di tutto.
Purtroppo l’attuale e disastrosa situazione idrogeologica che caratterizza la nostra Penisola è il frutto di numerose mancanze e numerosi abusi commessi soprattutto, ma non solo, in passato.
Ormai bastano 10-20 mm di pioggia con intensità moderata per allagare intere vie e bloccare il normale traffico cittadino; con 50-70 mm in 24 h, invece, vengono spesso alluvionate intere aree urbane.
Mi spiace, ma fatico terribilmente a credere alla storia dei cambiamenti climatici e dell’aumento così spropositato dell’intensità dei fenomeni (salvo rarissimi casi in località fortemente urbanizzate come Milano e Roma).
Mentre, è più logico ed evidente -ma non per tutti- dare la colpa alla sfrenata e mal ragionata urbanizzazione, alla continua negligenza da parte degli organi competenti incaricati a manutenere sia le aree verdi sia quelle “grigie” (urbane) e soprattutto all’attuale stato di “convinzione collettiva” che un fiume o un torrente non possano per nessun motivo inondare le aree circostanti.
Da sempre, i corsi d’acqua hanno un letto, in cui scorrono per gran parte dell’anno, ed un area inondabile, in caso di precipitazioni intense.
Chissà quanti sanno che il Po, ad esempio, in passato durante le piene più intense non solo è esondato ma addirittura è rimasto disalveato per diversi anni; spesso e volentieri il corso del fiume subì importanti modifiche a causa degli eventi di piena.
Oggi, il Po e tanti, se non tutti, corsi d’acqua italiani sono confinati in una “culla”; fino a quando non decidono di “scavalcare le sbarre” ed uscire.
Fino a quando la nostro modo di pensare e di agire non sarà allineato alle volontà della Natura, noi non saremo mai tutelati veramente.
Già, ma quali noi, quale opinione pubblica, poi viene da chiedersi. Gli oltre 11 milioni di italiani che fumano come turchi, i 6 milioni che frequentano maghi, astrologi, guaritori e compagnia bella, quelli delle escursioni in alta montagna che si perdono, cadono e mettono a rischio la vita dei soccorritori, quelli che prendono il sole in spiaggia come lucertole alle 13,00 con 35°C, i milioni di italiani che si curano con l’omeopatia, quelli che non vaccinano i propri figli per paura dell’autismo e si potrebbe andare avanti per un bel po. Si chiama “analfabetismo scientifico”, e a mio avviso è questa la nostra prima responsabilità, istituzioni, insegnanti, divulgatori e cittadini stessi, lasciando perdere i media, perchè, quasi per definizione, non fanno testo e bisognerebbe saperlo, almeno in campo scientifico. Come riporta un mio collega Biologo Massimiliano Parente, ma anche giornalista e scrittore, naturalmente anche criticato: “penso alle persone che amano guardare le stelle sulla volta celeste con uno sguardo ancora primitivo, e nella loro ignoranza astronomica, anzichè sentirsi dilaniati dall’angoscia come lo sarebbero se avessero una vaga idea di cosa significa il cielo, stupidamente lo ammirano come una consolazione, una scenografia rassicurante, una promessa di eternità”.Questa non è soltanto la mia opinione, o quella di Parente, ma anche quella, guardacaso, di molti scienziati saggisti, che sarebbe il caso che tutti iniziassero a leggere, oltre a romanzi, romanzetti e alle opinioni, soggettive e spesso scadenti dei soliti intellettuali umanisti che pretendono di parlare anche di scienza. Quindi alla fine condivido appieno la conclusione di Fabrizio: “abbiamo quel che ci meritiamo”.
Saluto cordialmente.
Condivido le conclusioni.
Faccio però notare che il “loro” che dovrebbero intervenire per prevenire ed affrontare meglio questi eventi disastrosi in realtà siamo anche e soprattutto noi cittadini, la cosiddetta “opinione pubblica”: noi (non mi riferisco ai singoli, ovviamente) per primi siamo spesso troppo distratti dalle nostre occupazioni quotidiane per fare realmente pressione sugli amministratori pubblici affinché intervengano. Pensate solo alle ripetute alluvioni verificatesi negli ultimi anni a Genova: è dovuta accadere una tragedia affinché gli amministratori locali si decidessero a far approvare un intervento di realizzazione di un canale, un percorso alternativo per l’acqua in eccesso.
Giustissimo: infatti alla fine io dico sempre che abbiamo ciò che ci meritiamo. I programmi elettorali, generalmente, vertono su altre cose e poi, anche quando qualche punto sul programma c’è, l’elettorato non segue sufficientemente l’operato, fino al prossimo guaio.
Traparentesi la situazione a Genova è ben più complessa, nel senso che c’è voluta più di un’alluvione; il canale, poi, era già stato approvato più di vent’anni fa e si iniziò pure a costruirlo, poi s’è perso nel mezzo come da nostra tradizione italica. E prima di dire che arriveranno in fondo questa volta preferisco aspettare e vederlo funzionare.
Approfondendo il discorso, l’opinione pubblica però ha bisogno di proposte tecniche complete, che poi fungano da base per le policy. Nel caso in questione, non ho visto neanche un giornale che abbia preso in considerazione l’episodio che ho raccontato; e nessuno si è preso nemmeno la briga di chiedersi perché ci sono state persone a rischio nelle zone golenali. Se non si parte dalle situazioni concrete, difficile arrivare a conclusioni concrete.
Certo che fa più comodo dire che è colpa del clima! Più si spara alto, più si hanno alibi per non avere fatto quel poco che si poteva fare.
Ma qualcuno le guarda le cartine? Oggi basta usare Google earth: si vede subito che certi fiumi hanno letti e aree circostanti decine di volte più ampi della loro portata diciamo “tranquilla e normale”; vorrà pur dire qualcosa, no??? Che altri hanno pendenze quasi nulle nei loro tratti finali, hanno il livello dell’acqua pari a quello della piana intorno e quindi sono evidentemente soggetti a “debordi” e deviazioni……
Certe valli scavate e scoscese che poi si aprono in piane ampie e piatte non sono forse frutto di erosioni violente e aggressive, o qualcuno pensa che si siano create un cucchiaino alla volta per non disturbare il picnic del weekend?
Già quando leggo che le area golenali sono state alluvionate, e con tono sorpreso poi!, mi viene da pensare: ma no! ma come? pensa che strano, le aree destinate a riempirsi in caso di piena si sono riempite. Inaudito!
Bello questo pezzo di Fabrizio, perchè a partire da una vicenda personale, va poi a toccare temi e argomenti di assoluta importanza e attualità.
Primo, nonostante tutte le carenze, esiste comunque la possibilità di aggiornarsi, anche in tempo reale, sullo stato delle condizioni del tempo. Il problema è però di riuscire a fare capire alla gente l’importanza e a volte la necessità di valutare questo tipo di informazione, che spesso può essere determinante anche ai fini della propria incolumità.
Secondo, l’informazione sulla viabilità nazionale, spesso assente o deficitaria o comunque che arriva sempre in ritardo.
Terzo, il problema dell’informazione di cronaca mediatica, molto spesso parziale e poco utile, quando non del tutto distorta.
Quarto, il grande e tuttora irrisolto problema della prevenzione dei rischi. In un Paese come il nostro a forte rischio, ad esempio sismico o idrogeologico, sembra sempre che la nostra filosofia principale sia quella di pensare:”che Dio ce la mandi buona”. Oppure, in alternativa, c’è tutta quella gamma di interventi che potremmo definire “galline dalle uova d’oro”, tipo il Mose di Venezia e molto altro, di cui tutti conosciamo le tristi storie.
Da questa, spero esageratamente pessimistica valutazione, purtroppo credo di potere verosimilmente estrapolare che di morti per “negligenza” e “incoscienza” in futuro ce ne saranno ancora molti.
Saluto cordialmente.