Salta al contenuto

AGW al rallentatore: Ancora colpa dei vulcani, stavolta però con le osservazioni

Temo che si sia perso il conto delle spiegazioni proposte per la latitanza del riscaldamento globale, fermo al palo da più di tre lustri e alimentato solo dalle randomiche apparizioni di El Niño, pattern climatico di indiscussa origine naturale.

Che possa esserci, tra le altre cose, anche lo zampino dell’attività vulcanica è un’ipotesi già discussa in più occasioni, l’ultima appena qualche settimana fa. Sostanzialmente si trattava di una revisione statistica delle serie storiche attraverso cui sarebbe stata individuata la probabilità che pur in un contesto di trend positivo nel lungo periodo, possano esserci dei rallentamenti di questo trend se intervengono fattori esogeni (fino a un certo punto) come le eruzioni vulcaniche.

Lo studio di cui parliamo oggi ripropone questo argomento analizzando però diverse serie di dati, non quelle relative alla temperatura, ma quelle della profondità ottica dell’atmosfera, ovvero di ciò che è rappresentativo della quantità di aerosol (anche) di origine vulcanica presente sia in stratosfera che in troposfera.

Significant radiative impact of volcanic aerosol in the lowermost stratosphere

Pare che sia la prima volta che vengono presi in considerazione i dati relativi alla porzione inferiore dell’atmosfera, dai quali si evincerebbe che se le eruzioni vulcaniche avvengono a determinate latitudini e hanno determinata intensità, le probabilità che queste incidano in modo significativo e, soprattutto, per periodi più o meno lunghi sulla temperatura media del pianeta salgano in modo importante. La spiegazione la forniscono direttamente gli autori dello studio in un articolo uscito su gizmag, mentre per chi è iscritto e ha voglia di aderire, c’è anche un gruppo di discussione su questo paper su linkedin.

La miglior cosa da fare, tuttavia, è leggere il paper vero e proprio, che sebbene sia uscito su Nature Communications è liberamente accessibile. resta il fatto, non banale, che questo fattore, qualora abbia effettivamente contribuito a frenare il riscaldamento, comunque ha carattere assolutamente impredicibile, per cui non può essere preso in considerazione in sede di simulazione del clima.

Forse allora, chi prova a simulare l’intensità e la frequenza di occorrenza degli uragani di qui a quasi un secolo, dovrebbe capire di avere praticamente a che fare con un videogioco piuttosto che con qualcosa su cui si dovrebbero basare delle policy di intervento. Anche perché, mentre naturalmente si prospettano uragani di potenza inaudita per quando saremo tutti passati a miglior vita per altre imprescindibili ragioni, lo stesso global warming di ieri, oggi e domani sta producendo in Atlantico una ‘siccità’ di uragani come non si vedeva da decenni e, soprattutto, imprevista ;-).

 

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualità

2 Comments

  1. Fabio Vomiero

    Argomento sempre molto interessante, anche il lavoro scientifico citato. Anche se personalmente sono riuscito a leggerlo molto velocemente, mi sembra però sia riportato nuovamente e a mio avviso correttamente, un importante concetto inerente ai cambiamenti climatici osservati:
    i modelli climatici hanno probabilmente sopravvalutato la sensibilità climatica da CO2 antropica, non essendo riusciti a modellare correttamente la dinamica, perlopiù impredicibile, degli altri fattori concausali, identificabili principalmente nella variazione degli aerosol atmosferici, degli indici climatici, dell’attività solare, del ciclo idrogeologico.
    Penso che oramai ci siano pochi dubbi nel riconoscere che l’attività vulcanica rappresenti forse il secondo driver climatico più importante sul breve periodo, dopo naturalmente l’indice ENSO. Tuttavia a mio avviso non so quanto le misure che abbiamo relativamente agli aerosol vulcanici, possano essere precise e riproducibili e soprattutto mi chiedo se sia possibile o no riuscire a separare in modo affidabile quanta parte dello spessore ottico atmosferico sia attribuibile ai vulcani, piuttosto che alle attività antropiche, o alla quota variabile di aerosol di origine naturale. Perché io credo che il parametro “spessore ottico o profondità ottica dell’atmosfera”, dovuto al particolato, costituisca un contributo non trascurabile ai fini del bilancio energetico globale direttamente e indirettamente come possibile disponibilità di nuclei di condensazione, e, in questo senso, come sta emergendo anche da certa letteratura, potrebbero essere non trascurabili nemmeno gli apporti dei Paesi asiatici in via di sviluppo, che andrebbero quanto meno a compensare i miglioramenti avuti invece in molti dei Paesi occidentali. Alcuni lavori su questi aspetti sono rintracciabili anche presso il sito della NASA, mi sembra di capire che comunque, ripeto, ci sia ancora molta difficoltà a misurare e soprattutto, ovviamente, a modellare.
    Saluto cordialmente.

  2. Luigi Mariani

    Guido,
    l’aumento delle temperature globali negli ultimi 100 anni visto attraverso i dati di dataset globali del tipo di Hadcrut nasconde in realtà due componenti e cioè:
    – una componente di trend lineare (+0.75°C sul periodo 1908-2007)
    – una componente ciclica con periodo di circa 60 anni e che si lega alla ciclicità dell’AMO e che nei periodi negativi è in grado di mascherare il trend lineare mentre in quelli positivi lo enfatizza.
    Più in particolare si osservi che le fasi di aumento delle temperature globali del XX secolo (1920-1940 e 1977-1998) coincidono fasi di transizione di AMO da negativo a positivo (https://it.wikipedia.org/wiki/Indice_AMO) mentre le fasi di stabilità o lieve decremento coincidono con AMO positivo o in transizione da positivo a negativo.
    Estrapolando tale andamento al XXI secolo possiamo pertanto compiere il “peccato d’orgoglio” di sostituirci ai GCM prevedendo:
    – un ulteriore aumento di 0,75 ° C nel 2100 rispetto al 2000
    – ciclicità sessantennali indotte da AMO con un nuovo minimo relativo nel 2030 e un nuovo massimo relativo nel 2060..
    In tale contesto le singole eruzioni vulcaniche (a meno di eventi violentissimi tipo Tambora o Kracatoa) dovrebbero agire determinando anomalie termiche su scale di uno o pochi anni, come già successo per il Pignatubo.
    Ciao.
    Luigi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »