L’effetto isola di calore urbano, tecnicamente UHI (Urban Heat Island), esiste e lotta insieme a noi. O, nella fattispecie, contro di noi. Esistono conoscenze consolidate che vedono nella modifica dello stato del suolo, da libero a coperto di asfalto o cemento con un bilancio diverso tra calore assorbito e riemesso, nonché nell’edificazione intensiva di strutture che limitano la circolazione dell’aria nei bassi strati, l’origine di una sostanziale differenza di temperatura tra le aree urbane e quelle rurali. Si stima che siano sufficienti 500m di raggio della cinta urbana per annullare quasi del tutto il ricambio d’aria, naturalmente in assenza di vento.
Ma, ci spiegano gli autori di un paper di recente pubblicazione su Enviromental Research Letters e ripreso da Science Daily, uno dei fattori chiave per dare ampiezza o meno a questa differenza è la presenza di vegetazione. Il vapore acqueo rilasciato in atmosfera dalle piante con l’evapotraspirazione, raffredda le temperature a livello locale alla stregua di quanto avviene nel corpo umano con la sudorazione. Più piante nelle aree urbane, equivale a sommare più effetti locali ottenendo un risultato che diviene areale e che consiste in una mitigazione degli effetti dell’isola di calore. Lo studio è questo qui sotto.
Impact of urbanization on US surface climate
Il lavoro, si evince dal titolo, è riferito al territorio degli Stati Uniti, che certo non difetta al contempo di urbanizzazione intensiva e di aree rurali a bassissima densità di popolazione. Dai loro calcoli i ricercatori hanno tratto un’informazione di tutto rilievo: nella stagione calda la differenza di temperatura – al netto di trend sottostanti di altra natura – tra aree urbane e aree rurali è di circa 1,9°C, mentre nella stagione invernale il delta si ferma a 1,5°C. Il dato è frutto di una media su tutte le aree esaminate, tra le quali, in modo forse controintuitivo, compaiono anche aree urbane con effetto UHI di segno opposto, ovvero raffreddante. Sono le città costruite nel deserto, dove la pur poca vegetazione inserita ha un effetto comunque positivo su suoli che tra la polvere del deserto e la superficie altamente assorbente degli asfalti e del cemento vedrebbero invece poca differenza.
Così, abbiamo scoperto l’ovvio, cioè che progettare città tenendo a mente la necessità di dotarle di polmoni le renderebbe più vivibili. Purtroppo, pare che ultimamente siamo così impegnati a pianificare per il futuro, da non essere in grado di pianificare per il passato, quando per esempio nel sud Italia le case avevano i tetti bianchi per riflettere più radiazione solare possibile.
Ora il meno ovvio. La mappa qui sotto è tratta dallo studio e rappresenta la differenza di cui sopra sul territorio degli USA.
Sotto ancora, invece, una mappa con la distribuzione della popolazione sullo stesso territorio (in legenda ci sono le diverse etnie ma quel che importa è il valore assoluto). Le due ‘densità’ differenza termica e popolazione coincidono perfettamente. Siamo ancora nel campo dell’ovvio.
Ora, ancora un passo in giù, verso la mappa della distribuzione sul territorio USA delle stazioni meteorologiche. E’ un estratto della mappa della copertura giornaliera dei dati di analisi del modello del Centro Europeo per le Previsioni a Medio Termine, l’originale è qui:
La densità della copertura dati scende dove c’è meno popolazione, dove ci sono meno aree urbane. Anche questo è ovvio, perché le stazioni di osservazione hanno bisogno di logistica, quindi ce ne sono di più dove è più comodo metterle.
Mi domando però se nel processo di omogeneizzazione dei dati osservati del GISS della NASA (da cui proviene anche questo studio sulla vegetazione urbana) si sia provveduto a sottrarre, magari tenendo conto del progressivo accrescimento dell’urbanizzazione nel tempo, i quasi 2°C estivi o 1,5°C invernali dalle osservazioni delle stazioni urbane, cioè da una buona parte di quelle che ci sono sul territorio. E non c’è ragione di ritenere che la stessa cosa non valga anche per le aree urbane del resto del mondo. Sì, lo so molti scienziati dicono di tener conto con la post-elaborazione statistica e i processi di correzione dei dati grezzi dell’effetto UHI e di aver valutato che questo non influenza il trend di riscaldamento generale attribuito all’accrescimento della concentrazione di CO2. Ma forse visto che si parla di 1,5-1,9°C (con punte di 3,3°C), il doppio o anche il triplo degli 0,7°C di cui sarebbe responsabile l’anidride carbonica, forse è lecito farsi venire qualche dubbio. E, soprattutto, gli autori di questo studio, che pure non mancano di inserire nel loro lavoro un disclaimer con cui separano la loro ricerca dal contesto del climate change per non tirarsi dietro gli strali del consenso scientifico, dicono anche di essere stati i primi a pesare questo effetto su scala areale e su un territorio vasto come quello degli USA. Un territorio che per densità dei dati disponibili e per le sue dimensioni, pesa non poco nel computo delle medie globali e pesava ancora di più in passato, quando nel resto del mondo, Europa a parte, la densità delle osservazioni era largamente inferiore.
Certo, un po’ di global warming da CO2 ci sarà comunque, ma quanto di questo piuttosto non potrebbe essere la somma di questi ‘ovvi’ local warming?
Addendum
A proposito di tetti bianchi o, nella fattispecie verdi perché coperti di vegetazione, c’è un interessante anche se vagamente melodrammatico editoriale sull’ultimo numero di Nature dove l’argomento viene sviscerato. Al redattore però deve pare sia sfuggita del tutto questa nuova pubblicazione. Lo trovate qui.
[…] Originale: http://www.climatemonitor.it/?p=38798 […]
Con riferimento a quanto sta emergendo dallo scritto di Guido e dalla discussione voglio segnalare alcune cose.
1. sono reduce da una campagna di misure (transetti monitorati con biciclette attrezzate con termometri molto accurati) sul parco Nord a Milano (https://it.wikipedia.org/wiki/Parco_Nord_Milano), un grande polmone verde a Nord della città, fra Milano, Cinisello Balsamo e Sesto San Giovanni. La cosa che più impressiona quando di notte si passa dal parco alla città e viceversa è che bastano poche decine di metri perché l’effetto mitigante del parco scompaia del tutto (non c’è gradualità ma viceversa siamo di fronte a una discontinuità). Tutto questo accade quando l’UHI è più potente e non fa dormire la gente, per cui l’effetto del parco sarebbe maggiormente auspicabile
2. Analizzando l’UHI di Milano vista come differenza delle temperature orarie fra Parco Nord (zona quasi-rurale) e Milano Brera (zona di picco dell’UHI) per il periodo 1981-2014 risulta che nella maggior parte dei casi il massimo dell’UHI si ha fra 1 ora prima e un’ora dopo l’alba e dunque in perfetta corrispondenza con le temperature minime TN. Al contrario le temperature massime TX urbane sono molto simili a quelle rurali e la ragione di ciò sta nelle brezze, che di giorno sono assai più attive ed omogeneizzano le temperature fra aree rurali e urbane. In ragione di ciò ottimi traccianti dell’UHI sono le minime TN ovvero l’escursione termica giornaliera (TX-TN). Pertanto a mio avviso parlare di UHI media giornaliera non ha moltissimo senso.
3. l’effetto mitigante delle piante arboree sull’UHI non è solo da legare alla traspirazione. Una componente essenziale è legata all’effetto di ombreggiamento, che abbatte la radiazione solare globale che giunge al suolo e che tutti noi percepiamo immediatamente come sintomo di gradevolezza.
4. per mitigare in modo significativo l’UHI ci vorrebbe una quantità di piante arboree elevatissima e spesso incompatibile con la città: per far crescere un albero senza che sia in stress estivo pressoché continuo occorre un terreno profondo almeno 80 cm – 1 m, il che in gran parte delle aree urbane è impossibile da ottenere. Peraltro occorre considerare che molte piante arboree vivono male in città perché la loro fisiologia richiede un’elevata escursione termica giorno-notte, cose che proprio l’UHI impedisce di avere.
Non credo che l’UHI possa alterare, comunque non di molto, le anomalie termiche globali, dato che il globo è coperto in gran parte da aree oceaniche e (semi)deserte. Però c’è un ottimo punto nella “provocazione”: quante volte abbiamo sentito gridare di record termici, tropicalizzazione del clima, diminuzione delle gelate e della nebbia ecc. Direi innumerevoli negli ultimi 20 o 30 anni, in Europa ed in Italia. Aree ad elevata urbanizzazione, specialmente in zone come la Pianura Padano-Veneta. Quanto dunque di questi effetti è realmente dovuto al riscaldamento globale (e quindi alle sue eventuali cause, antropiche e naturali, casuali e non), e quanto invece all’urbanizzazione?
(Che è comunque, paradosso, un cambiamento antropico, ed antropico senza ombra di dubbio!)
Filippo, sulle aree oceaniche e semi-desertiche nessuno misura la temperatura. È questo il punto. Infatti, i dati satellitari che invece lo fanno sono piuttosto diversi da quelli di superficie.
gg
Assolutamente d’accordo! Infatti i dati satellitari continuano a vedere l’ormai celebra pausa (e pausa vera, 0.0°C/decennio) da oltre 18 anni di seguito. Con picco massimo sempre nel 1997-’98, e nessun record finora nel 2014-’15. Credo che però i record delle reti di misura al suolo, derivino molto più dal “massaggio” dei dati (con la discutibile pratica di estrapolarli matematicamente su queste vaste aree, senza però incrementare l’incertezza della stima), piuttosto che dall’UHI.
ma lo sai Guido che e’ proprio interessante questa cosa. Non ci avevo pensato. Ero convinto che gia’ si sapesse tutto e che le isole di calore potessero pesare per non piu’ di…dunque diciamo 0.3-0.5 °C. Ma accipicchia abbiamo fatto passi da gigante in questi ultimi dieci anni…abbiamo imparato un poco di fisica, che infatti non e’ poco. Aspetta mi viene in mente un nome…un deja vu…Stefano Caserini….cosa diceva pure sull’idea balzana del ruolo delle citta’ e sulla rete di misura??? mannaggia la vecchiaia…
Ovviamente, tutto molto giusto e corretto; come sempre!
Ricordo ancora quando da ragazzo mi allenavo al campo di atletica vicino casa: abitavo nel più recente quartiere di Viterbo, da sempre in continua espansione, e per raggiungere il campo dovevo attraversare un vasto prato verde incolto.
In assenza di una stazione meteo professionale, la “pelle” e gli “occhi” sono ottimi sostituti: in estate, già dal tramonto, si poteva apprezzare lo scarto termico tra il prato e l’area asfaltata nonché una leggera ventilazione; mentre, in inverno durante le nevicate “al limite”, con temperature comprese tra 0°C e 1°C, il “bianco prato” dominava le aree circostanti, ancora “colorate”.
Per costatare la netta differenza tra area urbanizzata e area naturale/rurale basta farsi due passi nei parchi (spesso pochi) presenti nelle grandi città.
Da qui, il legittimo dubbio sul confronto dei dati di stazioni meteo “centenarie”, che molti dimenticano, in passato circondate dalle campagne ed oggi, invece, nel cuore di immensi quartieri.
Stazioni storiche sì; ma non quelle di un tempo lontano”.
Se poi, consideriamo le piogge, piuttosto che le temperature, tutto diventa più interessante.
Considerando un afflusso di 10 mm: un prato verde genera 1-2 mm di deflusso; mentre, una superficie asfaltata fino a 9 mm (quasi completamente impermeabile).
Convertendo l’altezza di pioggia in metri cubi si ha che 1 mm su una superficie 1 km^2 equivale a 1000 m^3 d’acqua!
Pertanto non c’è da stupirsi se lo stesso evento di pioggia 50 anni fa non creò danni, mentre oggi la stessa area è finita sott’acqua.
Ma questa è un’altra storia…
Interessante studio.
Il mio inglese è scarso ma mi pare che in punto dicano che l’effetto isola di calore sia massimo di giorno. Sinceramente non mi trovo sul punto; vivo a Salerno città ventosa e questo influirà sul mio giudizio, ma a me pare che la differenza massima con le aree verdi vi sia la notte.
Certo se mettono le stazione su palazzi bassi in mezzo ai grattacieli (come ho visto fare in uno studio su Washington o Philadelphia, non ricordo), il risultato potrebbe essere diverso ..
Comunque interessanti anche le osservazioni di G.G. sui limiti delle omogeneizzazione dei dati, come non condividerle!
osservazione corretta: la massima intensita’ dell’isola di calore la si ha alla notte quando il calore rilasciato dai materiali genera la maggior differenza tra urbano e rurale. Forse volevano dire che la massima temperatura la si raggiunge di giorno, ma il differenziale U-R e’ minore.