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AGW ed eventi estremi, spiegatemi questa

Il clima è quello che ti aspetti, il tempo è quello che ti capita. Il clima è la somma statistica dei tipi di tempo, in un determinato luogo, a determinate scale spaziali e temporali, mai troppo brevi. Non esiste il clima di un giorno o una settimana, esiste quello di un mese, una stagione, un anno. E siamo ancora nell’ambito di una variabilità possibilmente molto accentuata. Esiste il clima di una decade, più decadi, molte decadi. Per convenzione l’OMM (Organizzazione Meteorologica Mondiale) stabilisce che siano trenta gli anni necessari a definire una media climatica. Che pure può cambiare da un trentennio all’altro.

Perché il clima cambia, anzi, cambiava, prima  che ci venisse inculcata la convinzione che ora possa farlo solo a causa di forzanti esterne al suo normale funzionamento, che forse si dimentica che ha il solo scopo di distribuire efficacemente il calore sul Pianeta, con questo rendendolo per la maggior parte abitabile.

In genere, tuttavia, si tratta di cambiamenti che pur potendo avere effetti importanti nel lungo periodo, nel breve e nel medio periodo sono per lo più intangibili. Se cambia il clima però, deve necessariamente cambiare la somma statistica dei tipi di tempo che lo definiscono. Quindi il cambiamento del tempo, più o meno pioggia, più o meno caldo o freddo, più o meno vento etc., è la trasposizione nel mondo reale, nella realtà quotidiana, di un cambiamento altrimenti difficilmente percepibile.

Dottrina vuole, il termine non è casuale, che un clima che cambi per cause essenzialmente antropiche debba produrre eventi estremi sempre più frequenti e distruttivi. Per esempio, è molto gettonata l’ipotesi che si vedranno episodi di El Niño sempre più forti e persistenti. Negli ultimi anni però ha prevalso La Niña (o condizioni di neutralità). Solo ora, nel 2015, El Niño è tornato sul palcoscenico, anche con un certo vigore.

In climatologia, sia per il breve che per il medio e lungo periodo, esistono le teleconnessioni, termine con cui si identificano gli effetti che un dato evento climatico di una data area può avere sui fattori che definiscono il clima su altre aree, anche molto lontane. El Niño (ma anche La Niña) è uno di questi, perché lo è l’ENSO, l’indice con cui si traccia quel che accade sul Pacifico equatoriale. A scala annuale, per esempio, un El Niño potente può segnare dei picchi della temperatura media del Pianeta, dal momento che si tratta di un evento che si contraddistingue per il rilascio di grandi quantità di calore dalla superficie dell’oceano all’atmosfera. Nel breve periodo, inoltre, si assiste a significative variazioni della piovosità tra le due sponde del Pacifico, oltre che a modifiche importanti delle temperature di superficie e della circolazione oceanica sulla stessa area.

A più breve scala temporale, quella della stagione estiva dell’emisfero settentrionale, El Niño genera un aumento significativo della variazione del vento con la quota (Wind Shear verticale) sull’Atlantico centrale, agendo da soppressore di uno degli ingredienti principali necessari alla formazione delle depressioni tropicali, ovvero alla loro evoluzione in tempeste tropicali o cicloni tropicali, cioè, uragani. E, in termini di intensità e dimensioni, non c’è un evento atmosferico estremo più estremo degli uragani.

Wind Shear Verticale in Atlantico: i massimi positivi sono sempre negli anni in cui c'è El Nino.
Wind Shear Verticale in Atlantico: i massimi positivi sono sempre negli anni in cui c’è El Nino.

Allora, quanti vorrebbero trasporre il cambiamento climatico di origine antropica nella realtà quotidiana, associando i danni che questi provocano alle malefatte ambientali e climatiche del genere umano, dovrebbero spiegarci se avremo El Niño sempre più forti e persistenti o uragani in Atlantico sempre più frequenti e intensi. Dovrebbero spiegarci come mai, per esempio quest’anno, in cui per effetto di El Nino segneremo probabilmente un record nella temperatura media del Pianeta, di uragani in Atlantico non se ne vede l’ombra, con l’unico che si è formato che è stato letteralmente smembrato proprio dal Wind Shear verticale. Il tutto nel contesto di trend di frequenza di occorrenza, intensità e danni provocati chiaramente negativi.

Uragani di categoria 3 o superiore che hanno colito le coste USA
Uragani di categoria 3 o superiore che hanno colito le coste USA
Perdite economiche causate da eventi estremi in relazione al PIL globale
Perdite economiche causate da eventi estremi in relazione al PIL globale

O forse una spiegazione c’è, quella delle teleconnessioni è scienza, è misura sul campo. Quella della trasposizione negativa del clima che cambia per cause antropiche nella realtà quotidiana attraverso gli eventi estremi è dottrina. Non mi pare la stessa cosa.

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PS: incrociamo le dita perché il 2015 è tutt’altro che fniito; in Italia per esempio deve ancora arrivare l’autunno, la stagione in cui è massimo il rischio di alluvioni. Certo che però nell’anno (forse) più caldo di sempre non si direbbe che il disastro climatico e meteorologico sia dietro l’angolo. A proposito di uragani, poi, se ne avete voglia leggete anche qui. Pare che il disastro di New Orleans al passaggio di Katrina nel 2005 si sarebbe potuto evitare se gli argini fossero stati costruiti in modo adeguato. Altro che climate change. E, già che ci siete, date anche un’occhiata al Wind Shear per quell’anno: un minimo.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

3 Comments

  1. Luigi

    Allego ennesimo articolo in cui si riportano i danni degli ultimi anni ( senza confronti con anni precedenti ) e afferma : “Questi dati dimostrano anche che c’è stato un cambiamento nella quantità e intensità dei fenomeni di pioggia, che sempre più spesso si concentra in pochi minuti con quantitativi di acqua che mediamente dovrebbero scendere in diversi mesi o in un anno”.
    Per fortuna la conclusione è perfettamente condivisibile e gli “ESEMPI DI INTERVENTI DI ADATTAMENTO” auspicabili ora come 100 anni fa.
    http://www.casaeclima.com/ar_26698__cambiamenti-climatici-mappa-danni-provocati-in-italia-.html?mc_cid=cd2ce20f20&mc_eid=3e2e27f595

  2. Ammesso che fosse vero il concetto (farlocco) di AGW = El Nino, qulcuno potrebbe spiegarmi su quale base “scientifica” le emissioni di CO2 nell’aria dovrebbero provocare un riscaldamento dell’acqua degli oceani se questi, notoriamente, hanno una inerzia termica decisamente maggiore di quella dell’aria?

    Ma a qualcuno di questi pseudo esperti che tanto parlano (e guadagnano) in TV e sui media spiegando con dovizia di particolari gli effetti sul clima dell’AGW, nessuno ha mai spiegato in modo semplice che finché il mare non è abbastanza caldo, l’aria non riuscirà mai a scaldarsi? Ovvero che non è l’aria a scaldare il mare ma il contrario?

    Grazie

  3. Donato

    Sembra strano, ma riesco ancora a meravigliarmi ogni volta che in televisione o sulla stampa sento il solito esperto di turno intervistato dopo un evento “eccezionale” 🙂 che pontifica circa un incremento presente e, soprattutto, futuro degli eventi estremi. In ambito scientifico (e non solo) ci si dovrebbe basare sui fatti e sui dati: IPCC e via cantando non registrano tendenze statisticamente significative circa gli eventi estremi eppure TUTTI gli esperti che ho ascoltato negli ultimi anni non fanno altro che blaterare di eventi estremi in aumento (la locuzione più usata è “evidentemente in aumento”).
    Io non sono un esperto, ma un grafico riesco a leggerlo e, stando ai numeri, tutta questa evidenza di aumento degli eventi estremi non la vedo.
    Mah!
    Ciao, Donato.

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