Sulle pagine di CM è abbastanza frequente discutere di modellazione del clima e delle differenze che esistono tra le “previsioni” dei Modelli di Circolazione Globale (GCM) e le osservazioni.
I modelli climatici (da ora in poi userò questa locuzione per indicare i GCM) sono degli strumenti matematici estremamente potenti che consentono di prevedere l’evoluzione del sistema climatico terrestre nel corso del tempo. Il sistema climatico è un sistema non lineare caotico per cui non siamo in grado per definizione, potremmo dire, di prevederne lo stato futuro. Questo è un dato di fatto che tutti dobbiamo accettare e che è riportato anche nei documenti dell’IPCC. Fatta questa premessa sembra del tutto inutile tentare di prevedere ciò che già sappiamo non essere prevedibile. Noi abbiamo bisogno, però, di conoscere dove stiamo andando e chiediamo alla scienza di diradare la caligine che ci impedisce di vedere ciò che ci riserva il futuro. La fisica riesce, grazie alla matematica, a prevedere il comportamento di sistemi complessi come un razzo, un’astronave o, più prosaicamente, l’edificio nel quale abitiamo: il fatto che, normalmente, le nostre case non crollino ci fa comprendere la potenza degli strumenti che la fisica e la scienza in genere ci hanno fornito.
Per il clima il discorso è, però, molto più complesso per cui dobbiamo arrenderci all’evidenza: non possiamo prevederlo. I modelli climatici cercano di colmare questa lacuna e con i loro output cercano di individuare il valore di una o più grandezze che caratterizzeranno il clima nel futuro. Una delle grandezze più gettonate in questa corsa alla divinazione è costituita dalla temperatura globale. E’ su questa frontiera che si confrontano gli scettici ed i sostenitori dell’AGW. Questo dibattito un po’ surreale (stanti le premesse) si svolge attorno ad un concetto molto semplice: la temperatura globale può essere un buon indicatore del clima terrestre in quanto il suo aumento rappresenta il segno di un clima che si riscalda e un clima più caldo comporta tutta una serie di conseguenze (scioglimento dei ghiacciai, variazione delle precipitazioni e via cantando). Questo in estrema sintesi.
Con questo post vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori di CM lo scontro che, dalle pagine di alcune riviste scientifiche, sta avvenendo tra Christopher Monckton di Brenchley, noto paladino dello scetticismo climatico schierato su posizioni di assoluta intransigenza e Dana Nuccitelli altrettanto noto paladino del campo avverso ed animatore del sito Skeptical Science (che a dispetto del nome scettico non è).
L’ultimo evento della battaglia in corso risale a qualche giorno fa:
Keeping it simple: the value of an irreducibly simple climate model di Christopher Monckton of Brenchley, Willie W.-H. Soon, David R. Legates, William M. Briggs (da ora Monckton et al., 2015/b).
Si tratta, in buona sostanza, di una replica ad un altro articolo Misdiagnosis of Earth climate sensitivity based on energy balance model results di Mark Richardson, Zeke Hausfather, Dana A. Nuccitelli, Ken Rice, John P. Abraham (da ora Richardson et al., 2015), che rappresenta un rebuttal del precedente articolo Why models run hot: results from an irreducibly simple climate model di Christopher Monckton of Brenchley, Willie W.-H. Soon, David R. Legates, William M. Briggs (da ora Monckton et al., 2015/a).
Se fosse solo per Monckton e Nuccitelli la questione potrebbe essere liquidata con una scrollata di spalle: polemiche climatiche, ma i coautori sono delle personalità di rilievo nel campo della ricerca climatologica, per cui la vicenda merita un poco di attenzione.
Monckton et al., 2015/a presenta un modello matematico estremamente semplice che può essere fatto girare su un qualunque computer, anche quello su cui sto scrivendo ora. Di questo modello ho intenzione, però, di occuparmi in un’altra occasione in quanto è molto simpatico e consente a tutti di giocare al climatologo. Secondo gli autori, e qui sta il problema, esso è in grado di ottenere delle prestazioni migliori di quelle dei grossi modelli di circolazione globale. Giocando opportunamente con alcuni parametri di sintonizzazione del modello si riesce, infatti, a replicare molto bene l’andamento passato e presente della temperatura globale. La cosa ha infastidito non poco gli addetti ai lavori che hanno sommerso Monckton et al., 2015/a, con un mare di critiche. La più sostanziosa e condivisibile, secondo me, riguarda il fatto che il modello irriducibile o semplice, come lo hanno battezzato i suoi creatori, non tiene assolutamente conto dei complessi fenomeni fuidodinamici e termodinamici che avvengono nell’atmosfera terrestre e negli oceani. Il suo pregio, unico a mio avviso, è quello di replicare bene il comportamento della temperatura globale terrestre nel presente e nel passato. Da qui i suoi ideatori presumono che lo possa fare anche per il futuro.
A questo punto potremmo fermarci in quanto la questione è chiara: un gruppo di studiosi ha individuato un algoritmo che consente di ricostruire l’andamento di una grandezza fisica sulla scorta di una serie di parametri opportunamente collegati da un’equazione. Il punto debole, molto debole per chi scrive, è che non tiene conto della fisica del sistema che vuole descrivere o, per essere più precisi, ne tiene conto in modo piuttosto relativo. La cosa è stata messa in evidenza da altri studiosi per cui possiamo dire che ci troviamo di fronte ad una specie di video-game. La cosa buffa è che, in fondo in fondo, sulla questione sono d’accordo anche i creatori dell’algoritmo che riconoscono senza problemi che la loro è solo una semplice applicazione per consentire ad uno studente di fisica dell’atmosfera di prendere confidenza con l’oggetto del suo studio.
Ci troviamo, però, ad agire nell’arena della climatologia per cui la questione non può essere risolta in questo modo. Richardson et al., 2015 va a fare le pulci a Monckton et al., 2015/a sostenendo che non è affatto vero che i GCM sovrastimano le temperature globali, che le osservazioni non differiscono dai modelli climatici in quando ricadono nella parte inferiore della fascia di confidenza dei modelli, che non è affatto vero che l’IPCC ha giudicato i modelli non in grado di replicare le temperature osservate, che l’andamento delle temperature globali non ha subito alcuna variazione per cui non si può parlare di pausa, che non è affatto vero che le osservazioni hanno consentito di validare il modello di Monckton et al., 2015/a, ecc.. Non ho potuto leggere l’articolo integralmente (è a pagamento), ma dalle repliche di Monckton et al., 2015/b, si evince chiaramente gran parte del suo contenuto.
A Richardson et al., 2015, replicano prontamente gli autori del primo articolo che contestano punto per punto Richardson et al., 2015: Monckton et al., 2015/b non è altro che una replica a Richardson et al., 2015.
In buona sostanza ci troviamo di fronte alla classica tempesta in un bicchier d’acqua che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già sappiamo (o non sappiamo, che è meglio) del clima terrestre.
Una considerazione finale è inevitabile. Molti studiosi di prestigio hanno profuso tempo ed energie per implementare un algoritmo che, per loro ammissione, è più un’applicazione didattica che altro. Altri studiosi hanno impiegato tempo ed energie per dire che l’applicazione didattica dei primi non era in grado di prevedere l’evoluzione del clima terrestre. A parte il fatto che nessuno è in grado di prevedere il clima terrestre (né i GCM, né il modello irriducibile di Monckton), non riesco a capire le ragioni della polemica se non il voler ribadire ancora una volta concetti triti e ritriti ben noti a chi si occupa di queste problematiche.
Ecco, questo è ciò che capita di frequente in campo climatologico ed è un chiaro esempio, un caso di studio, oserei dire, del dibattito in corso nella comunità scientifica. L’unico aspetto positivo di tutta la vicenda è stato quello di poter studiare un approccio molto semplificato e molto discutibile alle problematiche del clima. Di questo studio vi aggiornerò a breve, ora corro a preparare maschera e boccaglio: le ferie mi chiamano.
[…] mese fa ho scritto un articolo in cui commentavo una stucchevole polemica a suon di pubblicazioni scientifiche tra due gruppi di […]
Caro Donato, ti ringrazio anzitutto per l’interessante scritto che mi ha dato modo di conoscere alcuni lavori che non conoscevo e che ora leggerò.
Con riferimento poi alla tua affermazione secondo cui “Il punto debole, molto debole per chi scrive, è che non tiene conto della fisica del sistema che vuole descrivere o, per essere più precisi, ne tiene conto in modo piuttosto relativo” volevo dirti che una vecchia regola non scritta della modellistica matematica dei sistemi dice che quando un sistema lo conosci poco e male (come nel caso del sistema climatico) è meglio usare un modello empirico che uno meccanicistico, nel senso che il meccanicismo rischia di far esplodere in modo incontrollabile gli errori legati a quei sottosistemi (nel caso del clima le nubi, la NAO, le ciclicità oceaniche, Enso, ecc.) che non si è in grado di descrivere in modo realistico.
Per questo un approccio empirico (proposto ad esempio da Monckton et al. ma che vanta moltissimi altri esempi) è a mio avviso apprezzabile e può ancor oggi competere con quello basato sui GCM, nel senso che non ci dà certo l’equazione del clima ma che può aiutarci a mettere in luce aspetti interessanti del sistema climatico. Noto inoltre che quando qualcuno prova a suscitare tali argomenti arrivano subito le “dame di carità” (come le chiamava il compianto Giovannino Guareschi) a mettere i puntini sulle i e ad inscenare il processo per “lesa maestà”.
Sono dunque curioso di leggere il tuo prossimo contributo dedicato al modello di Monckton.
E non dimenticare le pinne…
Ciao.
Luigi