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In tema di forzanti non antropiche 1 di 2

Ieri mattina ho letto su corriere.it dell’eruzione vulcano Raung, nella parte orientale dell’isola di Java in quello che pare si chiami anche “anello di fuoco” per la gran quantità di vulcani attivi che occupano l’area.

Così mi è sembrato potesse tornare utilefar menzione di uno studio pubblicato fresco fresco su Nature in cui, con dei procedimenti di datazione innovativi, sono stati rianalizzati i dati provenienti da una serie di carotaggi nel ghiaccio presi in Antartide e in Groenlandia. Mettendo questi dati in relazione con le ricostruzioni delle temperature di serie dendrocronologiche, è stato possibile definire con un livello di dettaglio molto preciso quali e quante eruzioni, tra le tantissime che ce ne sono state, hanno avuto un impatto significativo sulle condizioni climatiche negli ultimi 2.500 anni di storia.

Timing and climate forcing of volcanic eruptions for the past 2,500 years

Nella serie ricostruitasi nota una prevalenza di localizzazione nell’area tropicale per le eruzioni a impatto più elevato, come pure il fatto che quasi tutte le eruzioni più forti siano arrivate proprio nella fascia intertropicale. L’ultima eruzione che abbia portato – secondo le loro stime – una riduzione del forcing radiativo oltre i 7,5W/m2 è stata quella del Vulcano Tambora (1815), cui seguì quello che la storia ci ha tramandato come l’anno senza estate, il 1816.

Qui, su Terra Daily, un articolo che approfondisce un po’ il discorso.

Praticamente in contemporanea, su Nature Communications, è uscito un altro studio in cui sono riportati i risultati di una campagna di misurazione degli aerosol presenti in stratosfera (2008-2011), il cui contributo all’oscuramento della radiazione solare incidente sull’emisfero nord pare fosse stato sottostimato del 50%. Al cessare di questo forcing (negativo), il cui effetto è quello di tenere la Terra un po’ più a fresco, il global warming riprenderà più arrabbiato di prima, almeno così Science Daily ha riassunto il loro lavoro.

Significant radiative impact of volcanic aerosol in the lowermost stratosphere

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Published inAttualità

7 Comments

  1. Donato

    La datazione di una serie di dati di prossimità è operazione estremamente complessa e di grande difficoltà.
    Per i proxi dendrologici il procedimento statistico è impressionante e non si può liquidare in poche righe: qualche anno fa cercai di descrivere il procedimento con un paio di post qui su CM.
    http://www.climatemonitor.it/?p=32950
    http://www.climatemonitor.it/?p=32656
    .
    Per i proxi costituiti da pile di sedimenti si fa ricorso a varie tecniche che vanno dai dosaggi dei radionuclidi, alle inclusioni di macrofossili, alla presenza di ceneri di origine vulcanica e via cantando.
    Pe quel che riguarda le carote di ghiaccio l’operazione è ancora più complessa in quanto a causa di processi di fusione alcuni livelli stratigrafici possono essere persi completamente. Le tecniche di datazione si basano su procedimenti statistici piuttosto complesse che prevedono la costruzione di curve cronologiche basate su modelli matematici. Queste curve vengono comparate con le stratigrafie reali sulla base di livelli di data certa che contengono ceneri di origine vulcanica o polveri datati sulla base di radionuclidi. Il resto è tutta statistica e si basa con raffronti con altri dati di prossimità come stalattiti, foraminiferi contenuti all’interno di pile sedimentarie e via cantando. I margini di incertezza sono, pertanto, molto ampi. Il procedimento, come si vede è molto complesso e la mia descrizione è piuttosto approssimativa, ma nello spazio di un commento è difficile descrivere tecniche che richiedono pagine e pagine di formule e diagrammi.
    Ciao, Donato.

  2. Guido Botteri

    La mia impressione è che quando c’è un’eruzione particolarmente importante si abbia un immediato raffreddamento.
    Coloro che riconducono il clima alle percentuali di CO2 e gas serra, lo sanno però che ad ogni eruzione vengono emesse quantità enormi di gas serra ? Quantità di origine non antropica.

    • L’immediato raffreddamento è dovuto al fatto che le nubi di cenere e polveri emesse dal vulcano riflettono fino al 20% della radiazione solare, mentre la CO2 emessa, ha un forzante radiativo notevolmente inferiore.
      E’ tutto questione di quantità e di tempo.
      Le nubi restano in atmosfera per un tempo molto più limitato rispetto alla CO2.

      Comunque, la quantità di CO2 emessa dai vulcani è conosciuta.
      Se noi consideriamo le emissioni antropiche del 2013, la CO2 emessa da tutti vulcani annualmente è dalle 80 alle 200 volte inferiore.

      Per chi vuole conoscere questi dati, può andare nel mio sito alla seguente pagina:
      http://www.climaeambiente.eu/sez_clima/confronti/conv_peso.aspx

      Selezionare:
      Categoria: “Peso emissioni CO2”
      Elemento: “Emissioni CO2 dall’attività umana (2013)”
      Quantità: 1
      Premere il pulsante: “Elabora e visualizza”
      Andare nel Tab con il seguente nome: “Emissioni CO2”

      Nella colonna “Rapporto” c’è il valore che indica: quante volte quel tipo di emissione deve essere moltiplicato per ottenere una unita (1) dell’elemento selezionato precedentemente “Emissioni CO2 dall’attività umana (2013)”

  3. Salve, vorrei capire una cosa sui carotaggi che vengono effettuati in Groenlandia e in Antartide.
    Se per ipotesi, in un certo periodo passato, c’è stato particolarmente caldo e questo ha sciolto un certo numero di centimetri di ghiaccio nei ghiacciai;
    quando verrà fatto il carotaggio, come fanno a capire che, in quel dato periodo storico, il ghiaccio si è sciolto?
    Come fanno a datare correttamente il periodo storico, se ghiaccio di quel periodo e di quello immediatamente precedente, non ce né?
    Grazie

    • max pagano

      ciao Alessandro:
      un principio base prioritario da osservare sempre (o almeno così dovrebbe essere) è che le carote di ghiaccio vengano prelevate nelle aree dove la temperatura esterna non superi mai gli 0 °C, neanche durante l’estate; certo sul passato non si può aver garanzia, ma tant’è;
      i metodi di datazione dei vari strati, oltre che permettere il riconoscimento dei cicli stagionali, per le parti superiori delle carote (sono visibili a occhio nudo le diverse colorazioni e i diversi spessori di ogni fase stagionale), vengono effettuati prendendo più parametri in considerazione, in modo da incrociare e correlare i dati e minimizzare il più possibile gli errori, a partire dagli inclusi di particolato derivati da eruzioni vulcaniche, modelli matematici che tengono conto delle velocità medie di accumulo e risposta alla compressione dovuta al peso del ghiaccio sovrastante;
      almeno per quel che riguarda alcuni carotaggi effettuati in Antartide (progetto DOME),
      la datazione delle carote di nevato e ghiaccio considerate è stata portata a termine con l’approccio cosiddetto multiparametrico, che prende in considerazione:
      – le variazioni stagionali delle concentrazioni del solfato di origine non marina,
      – i marker vulcanici (eruzioni a carattere esplosivo di età nota),
      – nella parte più superficiale, il livello di riferimento cronologico ottenuto dall’analisi dell’attività Beta-, riferibile al gennaio 1965, cioè un livello radioattivo determinato e riconosciuto come conseguenza dei test nucleari e utilizzato come marker di datazione (in alcuni lavori viene riferito al 1963 invece che 1965);
      – sempre nella parte più superficiale, il confronto tra la stagionalità dei profili isotopici e quella del solfato adeguatamente sincronizzati.
      Considera inoltre che le grosse eruzioni vulcaniche lasciano tracce cosiddette “bipolari”, nel senso che si ritrovano sia nei ghiacci antartici che in quelli groenlandesi, e questo facilita la correlazione dei dati;

      Per i più curiosi:
      Per definire il profilo dei solfati, nel calcolo della concentrazione del nssSO42- (non-sea-salt sulphate), tutto il sodio o il cloro che si riscontrano nel campione vengono considerati solo di origine marina. In Antartide il principale contributo al nssSO42-, almeno nel periodo estivo, proviene dall’ossidazione nell’atmosfera del dimetilsolfuro (DMS), prodotto dall’attività metabolica del fitoplancton; di conseguenza la concentrazione di nssSO42- presenta dei valori massimi nel periodo del bloom del fitoplancton che avviene in tarda estate (gennaio– febbraio). Proprio questa caratteristica permette di individuare dei picchi invernoestate utili nella datazione.

      E’ chiaro che l’errore è sempre in agguato, anche perché l’evidente stagionalità dei profili isotopici viene gradualmente attenuata, all’aumentare della profondità, a seguito dei processi di diffusione;
      🙂

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