Il global warming e le componenti lineare e ciclica
Immaginate di essere spettatore di due orchestre che nella stessa sala da concerto suonano due pezzi del tutto differenti fra loro (uno è un crescendo continuo e l’altro alterna crescendo e diminuendo). E’ un paragone utile per capire l’andamento delle temperature globali in superficie negli ultimi due secoli. Il loro comportamento è infatti frutto di una componente a trend lineare crescente (monotonic component) e di una componente ciclica, come posto in evidenza dai diagrammi delle temperature globali in superficie del dataset Hadcrut3 presenti sul sito climate4you.com (figure 1 e 2).
Mentre il trend lineare, secondo la teoria AGW, è da considerare frutto dell’incremento di CO2 in atmosfera, la componente oscillatoria è frutto dell’oscillazione delle temperature della superficie degli oceani Atlantico e Pacifico nell’emisfero boreale, oscillazione che è espressa dagli indici AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation) e PDO (Pacific decadal Oscillation).
Si noti anche che AMO (figura 2) è più potente di PDO, per cui si può presumere che AMO abbia rilevanza globale mentre PDO avrebbe solo rilevanza regionale, influenzando soprattutto la parte occidentale di Stati Uniti e del Canada.
Sempre dalla figura 2 si osservi che la ciclicità caratteristica di AMO, che presenta un periodo di circa 65 – 80 anni (Enfield et al., 2001) può essere suddivisa in tre fasi e cioè una fase crescente (es: 1981-2002) in cui AMO spinge le temperature globali verso l’alto, una fase decrescente (es: 1945-1966) in cui AMO spinge le temperature globali verso il basso ed una fase ad AMO neutro (e per neutro si intende una fase stazionaria prossima ai valori massimi positivi o negativi) in cui le temperature globali non sono significativamente influenzate.
Nello specifico, limitandoci agli ultimi 120 anni, le fasi di global warming (fase 1910-1938 e fase 1977-1998) sono frutto del fatto che a trend lineare si associa AMO crescente mentre le fasi di stazionarietà / raffreddamento, altresì note come global warming hiatus (fase 1939-1977 e fase iniziata nel 1999) sono frutto del fatto che a trend lineare si associa AMO neutro o decrescente (Yao et al., 2015).
Ricordo anche che le ciclicità di AMO e PDO sono frutto dell’apporto di aria calda da Atlantico e Pacifico equatoriale. Più in particolare AMO è spinto dall’andamento ciclico della principale corrente atlantica (Atlantic Meridional Overturning Circulation – AMOC) che preleva energia dalla fascia subtropicale portandola verso Nord.
L’ARTICOLO DI KURTZ
Sulla rivista PLOS ONE è stato pubblicato l’articolo “The Effect of Natural Multidecadal Ocean Temperature Oscillations on Contiguous U.S. Regional Temperatures” a firma di Bruce E. Kurtz (Independent consultant, Bradenton, Florida, United States of America). In tale lavoro si valuta l’influenza che le due componenti lineare e ciclica esercitano sulle temperature dell’aria in superficie negli Stati Uniti d’America.
Nello specifico L’autore, applicando un particolare tipo di analisi delle componenti principali (PCA), ha valutato i pesi delle diverse componenti (trend lineare, AMO e PDO) nelle 9 macroregioni climatiche omogenee definite da NCDC (figura 3) ponendo in luce la presenza di tre megaregioni omogenee in termini di risposta delle temperature di superficie a tali componenti (la megaregione Nordovest, in verde, la Sudest in giallo e la Centrale in bianco). Emerge un fatto assai interessante e cioè che la componente oscillatoria (PDO + AMO) ha un peso più rilevante rispetto a quella di trend nel determinare l’aumento di temperatura nelle megaregioni gialla e bianca mentre nella verde i pesi sono più equilibrati (figura 4).
Ad un’analisi di maggior dettaglio emerge che:
- megaregione verde: componenti AMO e lineare di uguale importanza; PDO importante
- megaregione bianca: componente AMO leggermente più importante della componente lineare; nessun influsso di PDO
- megaregione gialla: componente AMO molto più importante della lineare; nessun influsso di PDO.
Si noti che tale analisi è stata riferita al periodo 1980-2000 in quanto dal 2000 in avanti le temperature negli USA sono pressoché stazionarie, sempre per effetto del venir meno della spinta di AMO.
Il risultato è interessante in quanto in genere si tende a considerare AMO e PDO come legati soprattutto alla variabilità naturale, un aspetto attestato sia da Knudsen et al. (2011) che usando proxy data ha dimostrato la presenza della ciclicità a 50-70 anni propria di AMO negli ultimi 8000 anni sia da Biondi et al. che attraverso proxy data dendrocronologici hanno ricostruito un segnale di tipo PDO per la baia della California a partire dal 1661.
Si noti che risultati simili a quelli di Kurtz sono stati ottenuti per l’areale europeo da Macias et al. (2013), i quali analizzando il recente riscaldamento delle acque del mar Mediterraneo hanno concluso che oltre il 50% del fenomeno è attribuibile ad un segnale sinusoidale simile al AMO sovrapposto a una componente di trend lineare crescente, con il recente rallentamento nel riscaldamento causato della fine del riscaldamento dovuto ad AMO.
COSA POSSIAMO DEDURRE DAL LAVORO DI KURTZ
- L’analisi di Kurtz mostra la rilevanza estrema della componente ciclica legata alle temperature oceaniche ed espressa soprattutto dall’indice AMO (e in misura inferiore da PDO) nel descrivere l’andamento temporale delle temperature negli USA.
- AMO e PDO sono a tutt’oggi ritenuti un fenomeno naturale che i proxy ci indicano in atto da almeno 8000 anni e che non sarebbe influenzato dall’attività antropica.
- I GCM non sono attualmente in grado di descrivere in modo soddisfacente la componente ciclica mentre descrivono in modo efficace la componente di trend lineare crescente, utilizzando come forcing la CO2 ed i relativi feed-back (vapore acqueo, nubi, conservazione del gradiente pseudo-adiabatico, ecc.)
- L’incapacità di descrivere le ciclicità oceaniche legate a AMO spiegherebbe l’incapacità dei GCM di descrivere in modo efficace l’attuale stazionarietà (hiatus) nelle temperature globali. Per inciso nei GCM una certa capacità di descrivere la fase di stazionarietà 1929-1977 è stata se non erro ottenuta introducendo l’effetto degli aerosol antropici, che tuttavia alla luce di quanto emerge dall’articolo e da un sempre più vasto corpus di lavori non sarebbero la causa giusta di quello hiatus
- Se portiamo alle estreme conseguenze gli schemi di ragionamento fin qui adottati, all’attuale fase di stazionarietà delle temperature globali che è conseguenza di un AMO in fase neutra dovrebbe seguire una fase di global cooling allorchè AMO passerà in fase decrescente. In tal senso va letto il commento di Nature “Atlantic current strength declines” (Schiermeier, 2014) che, come ci ricorda il sottotitolo (But more data are needed to indicate whether the slowing is a result of human-induced climate change) mirava, tanto per cambiare, a cercare la responsabilità umana in un fenomeno ciclico che come abbiamo visto è attivo per lo meno da 8000 anni.
- Quanto osservato può dirci qualcosa di importante anche sull’avvento delle ere glaciali. Potremmo infatti ipotizzare che i regime glaciale si inneschi quando AMOC si interrompe e dunque le ciclicità legate ad AMO e PDO si arrestano. Per inciso se in era glaciale AMO e PDO si acquietano non potrebbe darsi che gli eventi di Daasgard Hoeger siano l’effetto della temporanea riattivazione di AMOC con ripresa dei cicli di AMO e PDO? Ma cosa determina il riattivarsi di AMOC?
- Non a caso ho citato il fatto che Bruce Kurtz è un “Independent consultant”. So infatti per esperienza diretta che l’assenza di affiliazioni da un lato significa “assenza di fondi di ricerca” ma dall’altro rende i ricercatori più “pericolosi” in quanto assai meno condizionabili dall’establishment.
Permettetemi una battuta finale: penso sia ormai giunta l’ora di finanziare un grande programma di ricerca assai dotato di quattrini e finalizzato a dimostrare che AMO e PDO sono frutto dell’attività antropica. C’è da vincerci il prossimo Nobel, per la pace naturalmente.
Bibliografia
- Biondi F., Gershunov A., Cayan D. R., 2001. North Pacific Decadal Climate Variability since 1661 in Journal of Climate, vol. 14, nº 1, 2001, pp. 5–10
- Enfield DB, Mesta-Nunez AM, Trimble PJ, 2001. The Atlantic Multidecadal Oscillation and its relation to rainfall and river flows in the continental U.S. Geophys Res Lett 28: 10, 2077 – 2080. doi: 10.1029/2000GL012745
- Knudsen MF, Seidenkrantz M-S, Jacobsen BH, Kuijpers A , 2011. Tracking the Atlantic multidecadal oscillation through the last 8000 years. Nat Commun 2: 178, doi: 10.1038/ncomms1186 PMID:21285956
- Macias D, Garcia-Gorriz E, Stips A, 2013. Understanding the Causes of Recent Warming of Mediterranean Waters. How Much Could Be Attributed to Climate Change? PLOS ONE 8(11): e81591. doi: 10.1371/journal.pone.0081591 PMID: 24312322
- Schiermeier Q., 2014. Atlantic current strength declines, but more data are needed to indicate whether the slowing is a result of human-induced climate change, Nature, 13 may 2014, http://www.nature.com/news/atlantic-current-strength-declines-1.15209
- Yao S-L, Huang G, Wu R-G, Qu X, 2015. The global warming hiatus — a natural product of interactions of a secular warming trend and a multidecadal oscillation. Theor Appl Climatol, doi: 10.1007/s00704-014-1358-x
Mi scuso per il ritardo ma prima di commentare ho voluto scaricare i dati AMO aggiornati a maggio 2015 ( e l’ho fatto in condizioni un po’ precarie).
In http://www.zafzaf.it/clima/cfr-amo-noaa.pdf ho messo il confronto diretto tra AMO e le temperature globali NOAA di maggio 2015, sia i dati mensili che i dati filtrati con finestra di 11 anni (i dati NOAA sono detrended dal fit lineare). La somiglianza tra i grafici è notevole e forse è sufficiente da sola per giustificare una notevole parte dell’andamento delle temperature. L’analisi delle componenti principali è certo più dettagliata, ma nel caso in esame è relativa ai soli Stati Uniti.
Credo che Luigi Mariani abbia fatto benissimo a portare all’attenzione l’articolo di Kurtz, anche perché l’offensiva mediatica seguita alla stasi delle temperature non si fa mancare nulla per far credere che tutto si svolga secondo quando prevedono i modelli e che la variabilità naturale conti poco o, possibilmente, nulla.
Grazie a Luigi Mariani.
[…] Vedi articolo […]
Caro Donato, grazie per il commento che arricchisce di considerazioni molto interessanti il mio scritto.
Concordo ovviamente sul fatto che la ricerca sui determinanti fondamentali del clima (AMOC e AMO) è di per sè sempre utile, specie se condotta non partendo da tesi precostituite.
Ad integrazione di quanto scritto e sulla scorta delle “ottime” prestazioni dei GCM, osservo infine che estrapolando dallo schema a due segnali delle temperature globali potremmo ipotizzare un modello molto semplice per l’evoluzione delle temperature fino al 2100. Tale modello prevede:
– un trend lineare di +0.75°C / secolo che dovrebbe portare la temperatura globale al 2100 a +0.75°C * 85/100= + 0.64°C rispetto alla temperatura del 2015
– una componente oscillatoria che provocherà un minimo relativo intorno al 2030 e un massimo relativo intorno al 2060.
Ovviamente non è abbastanza catastrofico perché qualcuno ci ragioni.
Ciao.
Luigi
“Permettetemi una battuta finale: penso sia ormai giunta l’ora di finanziare un grande programma di ricerca assai dotato di quattrini e finalizzato a dimostrare che AMO e PDO sono frutto dell’attività antropica. C’è da vincerci il prossimo Nobel, per la pace naturalmente.”
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Caro Luigi, non credo che sia una battuta in quanto, anche se sembra strano, in ambienti pro-AGW è un’ipotesi che circola da parecchio e non sono pochi quelli che sostengono che l’influenza umana agisca anche su questi parametri del sistema.
In qualche occasione ho letto, infatti, che un ambiente più caldo sicuramente modifica anche i grandi cicli naturali AMO e PDO: non è ancora un’ipotesi mainstream, ma se diamo tempo al tempo…….
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Per il resto un articolo estremamente interessante in quanto, sulla falsariga di Macias et al., 2014 riesce ad individuare un meccanismo molto importante per spiegare gli andamenti del clima terrestre e spiega il motivo dell’inettitudine dei modelli a replicare il comportamento del sistema climatico terrestre. Questa mia ultima affermazione sarà fortemente contestata da chi, come G. A. Schmidt, per esempio, considera le osservazioni comprese nel margine di errore del composito dei modelli CMIP3 e, quindi, considera i modelli perfettamente rappresentativi del clima terrestre (almeno della temperatura globale): ad essi replico dicendo che il trend dell’ensemble dei modelli è fortemente diverso da quello delle osservazioni. Ed in ogni caso sarebbe opportuno buttare alle ortiche quei modelli (e sono la maggior parte) che sopravvalutano in modo sfacciato l’andamento delle temperature globali a causa di un eccessivo accento alle cause antropiche del riscaldamento globale.
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Anche se ragioniamo di temperature regionali, il fatto che il trend monotono (lineare) ha lo stesso peso (in alcuni casi molto inferiore) di quello periodico è una conclusione di non secondaria importanza in quanto consente di esprimere un giudizio fortemente riduttivo sulle forzanti antropiche (ovviamente legate al trend lineare) e, in senso lato, sulla sensitività climatica all’equilibrio.
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In merito al punto 6 del post, io concordo pienamente anche sulla base di Tzedakis et al., 2012 che vede proprio nell’interruzione di AMOC una delle cause dell’innesco delle glaciazioni e deglaciazioni .
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Tornando, infine, alla citazione con cui ho aperto il commento l’idea di investire adeguatamente sullo studio dei meccanismi di interazione tra atmosfera, idrosfera e criosfera per comprendere meglio il sistema climatico terrestre, sarebbe la benvenuta (è, tra l’altro, una delle conclusioni di Macias et al., 2014). Dimenticandoci per un attimo dell’influenza umana sul clima, ovviamente: non perché non ci sia, ma per valutare anche le altre cause del clima.
Ciao, Donato.