Lo stimolante articolo “La CO2 ritarda la glaciazione? Viva la CO2!”, postato il 7 giugno 2015 da Guido Guidi, ha suscitato molti commenti, anche molto scettici sulla possibilità che le popolazioni preistoriche abbiano potuto influenzare il clima. Io ovviamente concordo con chi sostiene che i 10 milioni di individui preistorici non potevano che emettere (direttamente) una frazione insignificante della quantità di gas-serra che emettiamo noi (che siamo oltre 7 miliardi, e almeno in parte benestanti e spreconi…).
Tuttavia, riporto qui sotto un diagramma tratto dai lavori del già citato Prof. Ruddiman (Si veda anche: William F. Ruddiman “Quando iniziammo ad alterare il clima” Le Scienze, 31/5/2005) (Attenzione: i tempi vanno da destra a sinistra, da 15.000 anni fa ad oggi):
- il primo diagramma dà gli andamenti della insolazione estiva alle alte latitudini Nord, rispettivamente dovuta alla obliquità dell’asse terrestre (Obl: curva continua) ed alla precessione (Prec: curva tratteggiata): come si vede, tale insolazione, dopo il massimo che ha provocato la fine dell’ultima era glaciale, negli ultimi 10.000 anni si è già sensibilmente ridotta, e avrebbe già dovuto rendere evidenti i prodromi di una nuova era glaciale, come avvenuto in precedenti interglaciali arrivati allo stadio astronomico in cui ci troviamo noi adesso;
- il secondo diagramma dà gli andamenti del volume dei ghiacci (crescente verso il basso), calcolati con modelli climatologici che distinguono i contributi delle due forzanti astronomiche (ancora: per l’obliquità dell’asse terrestre, curva continua; per la precessione, curva tratteggiata): questo volume avrebbe già dovuto crescere sensibilmente negli ultimi millenni, come avvenuto durante interglaciali analoghi all’attuale; la curva in neretto, invece, fornisce il volume dei ghiacci effettivamente osservato, rimasto sostanzialmente costante negli ultimi cinquemila anni;
- il terzo ed il quarto diagramma forniscono, rispettivamente per CH4 e CO2, gli andamenti delle concentrazioni conseguenti all’evoluzione delle forzanti astronomiche e verificatosi in altri interglaciali analoghi al nostro (linee tratteggiate) e gli andamenti misurati sperimentalmente, tramite carotaggi di calotte glaciali, per l’attuale interglaciale (linee continue): come si vede, tali concentrazioni, invece di diminuire come in altri interglaciali, stanno risalendo (per il CH4 da circa 5000 anni fa, e per la CO2 da circa 8000 anni fa).
La “congettura” che fa Ruddiman per spiegare queste notevoli anomalie è un possibile intervento antropico, non certo dovuto a enormi immissioni dirette di gas-serra come sta avvenendo da almeno un secolo, ma conseguente ad una modifica graduale e sistematica, e a tutt’oggi sostanzialmente irreversibile, dell’ecosistema planetario, avvenuta nel corso degli ultimi cinque-ottomila anni, e spiegabile anche con la presenza di soltanto qualche decina di milioni di individui che durante migliaia di anni deforestano metodicamente con tagli e incendi vaste aree continentali, e poi introducono coltivazioni come le risaie, e gli allevamenti di bestiame, notevoli fonti di CH4.
Da quattro o cinque millenni, poi, sono esistite sulla Terra anche organizzazioni umane di tipo imperiale, in Cina, nella penisola indiana, in Medio Oriente, nei Paesi circum-mediterranei, e poi anche nelle Americhe: queste organizzazioni portarono la popolazione umana al livello delle centinaia di milioni di individui, basandosi largamente sull’uso del legname come materiale da costruzione e fonte di energia (si pensi a quante foreste ha distrutto Roma per costruire le sue flotte commerciali e militari, e per riscaldare le sue terme, diffuse in tutto l’impero…).
Non pare quindi azzardato ritenere che, se non fosse esistito l’Homo sapiens, gran parte delle vaste aree continentali dell’Emisfero Nord sarebbero tuttora coperte da foreste (di latifoglie alle medie latitudini, di conifere alle alte). Anche Sahara ed Arabia per diversi millenni, durante l’optimum climatico dell’Olocene, furono verdeggianti, benché prevalentemente sotto forma di savana.
Oggi invece abbiamo vastissime aree deforestate (anche se verdeggianti di pascoli e coltivazioni, che spesso però emettono grandi quantità di metano come le risaie): si pensi alla Cina, alla penisola indiana, alla Russia, al Medio Oriente, ma anche all’Europa Mediterranea ed alle grandi pianure delle Americhe. Si tratta di una superficie globale deforestata dell’ordine di decine di volte quella dell’Italia, e si tenga presente che tre volte l’Italia sarebbe già un milione di chilometri quadrati… L’effetto antropico sul bilancio del carbonio nell’atmosfera potrebbe quindi essere stato tutt’altro che trascurabile!
Per una approfondita analisi della “congettura” di Ruddiman, si può poi vedere l’articolo:
Climatic Change (2010) 99:351–381
Climate model simulation of anthropogenic influence on greenhouse-induced climate change (early agriculture to modern): the role of ocean feedbacks John E. Kutzbach · W. F. Ruddiman · S. J. Vavrus · G. Philippon
dal quale qui riporto uno stralcio delle conclusioni:
6 Conclusions
This paper reports several new steps in our continued testing of the early anthropogenic hypothesis (Ruddiman 2003, 2007). The new Dome C ice core records of the natural trends in carbon dioxide and methane associated with two earlier interglaciations, stages 17 and 19, support previous conclusions, based on stages 5, 7, 9 and 11, that the natural trend in these greenhouse gases is downward, contrasted with the Holocene, stage 1, in which these greenhouse gases trended upward beginning several thousand years ago. These new ice core records reinforce earlier conclusions that the trends of these two greenhouse gases in stage 1 are absolutely different than natural trends, and support the anthropogenic hypothesis of Ruddiman (2003, 2007) (or demand some alternative explanation of why stage 1 is different). Isotopic records also provide direct observational evidence that the past several thousand years of the Holocene, stage 1, are anomalously warm compared to earlier interglaciations. New studies of the extent and timing of early agriculture, and modeling of the associated carbon emissions, also confirm early land use changes and at least some direct carbon emissions related to these activities.
aggiornamenti:
http://www.lescienze.it/lanci/2015/08/13/news/cnr_la_mano_dell_uomo_sul_clima_arriva_3mila_anni_fa-2728460/?ref=nl-Le-Scienze_14-08-2015
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http://www.cnr.it/news/index/news/id/6265
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il lavoro originale intero:
http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/2015GL064259/pdf
… beh, qualche piccola conferma a quello che avevo affermato sopra… forse è troppo facile sottostimare uso e consumo di risorse naturali di periodi storici lontani, dando per scontato la correlazione “poche persone=poco consumo”…
buon ferragosto a tutti
🙂
Permettetemi di postarvi un link:
https://twitter.com/BigJoeBastardi/status/611671567827910656?utm_source=fb&fb_ref=Default&utm_content=611671567827910656&utm_campaign=BigJoeBastardi
Poi ognuno tragga le dovute conclusioni!
“La paleontologia ci insegna che la sopravvivenza media di una specie vivente è compresa tra 0,5 e 3 milioni di anni”
Appunto. “Le specie si sono sempre estinte sulla Terra, ben prima che ci fossimo noi. Quindi, non capisco che differenza fa – a livello di sistema – se una specie si estingue per causa dell’uomo o per motivi “naturali”. Beninteso, che far estinguere il tonno rosso perché non si disciplina la pesca è una grossa idiozia. Ma da una prospettiva puramente umana, perché è una risorsa che facciamo sparire dalla disponibilità delle generazioni future. Cosa diversa è incrementare il rateo delle estinzioni e ridurre la biodiversità; ma anche, in questo caso, la natura ha fatto ben di peggio in passato con vulcani e asteroidi (zappando” con il telecomando sto or ora passando su Quark che sta proprio parlando delle estinzioni di massa). Il sistema ha trovato una via evolutiva comunque. Di nuovo, la vera differenza è tutta in prospettiva umana.
interessante articolo.
Credevo di essere perfettamente in linea con il pensiero di Donato e Filippo, poi l’obiezione di Luigi mi ha disorientato…. 🙂
per quanto riguarda l’attività solare, materia non di mia competenza, ritengo anche io che debba essere presa in considerazione, ma non capisco da dove derivi il peso che Bernardo ne dà quale “…causa principale (98%) dei cambiamenti climatici…”
da dove deriva questa importanza? possibile che nessun altro al mondo sappia che il 98% della verità stia lì?
ho trovato in rete comunque diversi riferimenti a lavori che in realtà studiano e considerano anche questo fattore, ma nessuno ne dà una quantificazione così decisa (forse è un po’ troppo perentoria e da verificare, credo);
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http://wattsupwiththat.com/2009/08/27/ncar-spots-the-transistor-effect-small-solar-activity-fluctuations-amplify-to-larger-climate-influences/ –
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http://wattsupwiththat.com/2009/09/10/solar-wind-suprise-this-discovery-is-like-finding-it-got-hotter-when-the-sun-went-down/ –
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cito da wikipedia: ” ….Approfonditi studi portati a termine nel 2009 da scienziati statunitensi e tedeschi del National Center for Atmospheric Research (NCAR) a Boulder, Colorado, avvalendosi di più di un secolo di osservazioni meteorologiche e delle tecnologie più avanzate attualmente disponibili, sono riusciti a dimostrare come avviene tale legame tra attività solare e fluttuazione del clima terrestre, spiegando in dettaglio la complessa interazione tra la radiazione solare, l’atmosfera e l’oceano.
I risultati degli studi, pubblicati sul Journal of Climate e su Science, dimostrano come anche un piccolo aumento di attività solare influenza in maniera determinante l’area tropicale e le precipitazioni di tutto il globo terrestre. In particolare gli effetti di una maggiore attività solare si fanno sentire in maniera forte nel riscaldamento della troposfera tropicale (dove aumenta la quantità di ozono prodotta dai raggi UVA), nell’aumento della forza dei venti alisei, nell’aumento dell’evaporazione nella zona equatoriale e nell’aumento dell’annuvolamento e delle precipitazioni. Lo studio rileva come ci sia una indubbia associazione fra il periodico picco dell’attività solare e lo schema delle precipitazioni e della temperatura superficiale delle acque del Pacifico. Il modello messo a punto dai ricercatori mostra anche le influenze che i picchi solari hanno con due importanti fenomeni collegati al clima: La Niña e El Niño che sono originati da eventi associati ai cambiamenti nella temperatura delle acque superficiali del Pacifico orientale. In particolare l’attività solare risulta influire su La Niña e El Niño, rafforzandoli o contrastandoli…”
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altrettanta attenzione viene data anche all’ attività dei raggi cosmici e all’interazione con la nostra atmosfera e campo geomagnetico:
“…Quando l’attività solare aumenta, aumenta anche il vento solare, un flusso di particelle cariche che propaga nello spazio insieme al suo forte campo magnetico. Ma tale campo magnetico posto tra il Sole e la Terra deflette i raggi cosmici, velocissime particelle cariche provenienti dal sole e dallo spazio intergalattico, i quali, stante la loro elevata energia di urto, hanno la proprietà di ionizzare l’atmosfera, specie là dove questa è più densa (e quindi gli urti sono più numerosi) ovvero nella parte più prossima al suolo. Le molecole d’aria elettrizzate dai raggi cosmici sono però, insieme al pulviscolo atmosferico, nuclei privilegiati per coagulare su di sé il vapore acqueo circostante, favorendo in tal modo la formazione di nubi nella bassa atmosfera. A sua volta, le nubi basse hanno la proprietà di raffreddare la Terra. Quindi quando l’attività solare è più intensa l’atmosfera ha meno copertura nuvolosa perché i raggi cosmici saranno maggiormente deviati dal vento solare così che maggiore energia giunge fino alla superficie terrestre (contribuendo così al riscaldamento climatico). Invece quando l’attività solare è più debole sarà maggiore la copertura nuvolosa dell’atmosfera terrestre per cui diminuisce l’energia che arriva sino alla superficie, energia che viene respinta dalle nuvole. In quest’ultimo caso diminuisce il riscaldamento climatico….”
domanda personale: se questo tipo di parametri influenti è legata alle variazioni di attività solare, che come risulterebbe hanno ciclicità di circa 11 anni, non è anche plausibile, statisticamente parlando, che queste stesse oscillazioni, e i loro effetti, se si analizza un periodo di tempo lungo migliaia di anni come quello di cui si parla nell’articolo iniziale di Agostino, si compensino vicendevolmente fino ad annullarsi e quindi a legittimare che un valore medio di TSI sia fondamentalmente più rilevante?
🙂
Max, il dato del 98% l’ho letto in uno studio scientifico o un articolo che dovrei ritrovare. Il valore mediamente viene fatto oscillare tra l’80-85% e il 99.x% e va considerato “comprensivo” degli effetti raffreddanti dei Raggi Cosmici. Il 98% è quello che, stando a quanto ho appreso fino ad oggi, si avvicina maggiormente alla realtà dei fatti.
Tuttavia bisogna distinguere bene tra Attività Solare di breve periodo, quella cioè legata al ciclo undecennale delle macchie solari e quella di medio-lungo periodo. I cicli solari sono numerosi… e con varie durate che variano da qualche decennio fino ad arrivare a migliaia di anni. Alcuni sono già stati individuati e studiati abbastanza bene e risultano riconoscibili anche nello storico delle SSN registrati ufficialmente. Altri sono troppo lunghi… ma risultano comunque “evidenti” andando a ricostruire l’attività solare del passato sulla base degli isotopi di Berillio e altri elementi chimici riscontrabili nei carotaggi. Elementi la cui formazione viene più o meno influenzata dall’attività solare.
L’attività magnetica del Sole è poi alla base anche della “forza” del Campo Magnetico Terrestre e sappiamo, da altri studi, che quando si ha un Campo Magnetico Terrestre particolarmente debole, si ha un forte aumento dei terremoti e delle eruzioni vulcaniche. E sappiamo bene che l’emissione di grandi quantità di aerosol e SO2 da parte dei vulcani, influenza pesantemente le temperature e il clima mondiale (l’eruzione del Pinatubo del 15/06/1991, provocò un raffreddamento quantificato in -0.6°C per alcuni anni).
In tutto questo marasma di informazioni, poi, andrebbe analizzato attentamente lo “stato” iniziale del contesto nel quale si opera… ovvero, com’era il clima nel periodo studiato nell’articolo?
Se consideriamo che la ricrescita delle foreste tropicali è talmente rapida da ricoprire un sentiero realizzato a colpi di macete in meno di 12 ore, possiamo immaginare quanta vegetazione possa esserci stata a quei tempi in zone particolarmente inospitali e che oggi, purtroppo, risultano totalmente o parzialmente prive di vegetazione d’alto fusto (boschi).
Dare per scontato che le attività umane di allora, con una densità della popolazione non certo elevata come quella attuale, possa aver contribuito a pesanti variazioni climatiche… boh… la vedo come una pesante forzatura… quasi a cercare una via “semplicistica” per raggiungere un risultato!
Bernardo, correlazioni statistiche certe e valide tra variazioni di campo magnetico da una parte, e grandi terremoti (M > 7) ed Grandi eruzioni dall’altra non sono mai state dimostrate, anzi tutt’altro:
– http://geomag.usgs.gov/downloads/publications/grl50211.pdf –
– http://geomag.usgs.gov/downloads/publications/grl50846.pdf –
e personalmente faccio fatica a crederci, visto che i meccanismi della tettonica a zolle, della formazione degli archi vulcanici in zone di margine convergente, le dorsali oceaniche e i rift in zone di margine divergente, etc etc, e sismicità connesse, sono ben osservabili e altrettanto ben spiegabili senza ricorrere ad interventi e cause “extraplanetari” (attività solare);
sull’origine del campo magnetico terrestre, ancora oggi si brancola nel buio, tante teorie ma nessuna dimostrata (ovvio, è un po’ complicato), men che mai si spiegano esaurientemente le fluttuazioni della sua intensità, la migrazione dei poli magnetici, l’inversione della polarità etc etc etc…
E’ ovvio, e anche banale, considerare che nelle profondità del nostro pianeta, dove ci sono i motori e i meccanismi di origine di tutto quanto nominato sopra, ci siano legami di causa/effetto tra tutti questi fenomeni, ma come per tanti aspetti del mondo naturale e dei sistemi complessi che lo costituiscono, prima di affermare “certezze”, troppo tempo ancora dovrà passare, per pensare che qualcuno possa dire ” HO CAPITO”…
il documento a cui fai riferimento riguardo ” il 98% del clima è dovuto all’attività solare” è del 2000 ed è questo:
– http://www.hs.uni-hamburg.de/cs13/day1/03_Solanki.ppt
in questo documento non si riconosce affatto l’ “…attività solare quale causa principale (98%) dei cambiamenti climatici….”, ma, molto più semplicemente, che il confronto tra i dati osservati (macchie solari) ed estrapolati ( dalla % di isotopo del Berillio 10 nelle carote di ghiaccio) , relativi all’andamento delle anomalie di T° media, del SOLO emisfero settentrionale, e relativamente SOLO agli ultimi 1150 anni – esclusi gli ultimi 35 – mostrano una correlazione statistica di circa il 98%;
per l’emisfero australe questa correlazione non è per nulla verificata;
è un bel po’ diverso da come tu ponevi l’argomento 🙂
Ciao Max.
no, il documento non è quello e parlava chiaramente del fatto che il clima terrestre dipende al 98% circa dalle variazioni dell’attività solare e dal 2% circa da altre cause… ivi comprese quelle dei gas serra… che contengono, tra le altre cose, un 4% circa di CO2 (la quale è composta al 3.4% circa da CO2 di origine antropogenica).
Per quanto riguarda le interconnessioni tra attività solare ed eventi geologici, il legame c’è ed è stato studiato in varie occasioni. E tempo fa ho avuto modo di visionare una piccola parte del documento, in lingua inglese, che ne spiegava i termini.
Ad ogni modo… in linea puramente indicativa….
…l’Attività solare determina la “forza” del Campo Magnetico Terrestre (CMT). Se il CMT è forte, la struttura geologica è stabile. Se il CMT è debole, la struttura geologica è instabile. Detto questo, l’aumento dei sismi e delle eruzioni vulcaniche, però, dipende da tutt’altro motivo…. ovvero….
l’attività solare influenza anche il tempo di dimezzamento della radioattività naturale INTERNA al mantello e al nucleo. Maggiore è l’attività solare, maggiore è il tempo di dimezzamento (se non erro). Il tutto si traduce comunque, durante le fasi di minima attività solare, in un aumento dell’energia contenuta all’interno del pianeta. Tale energia tende, durante le fasi in cui l’attività solare è minima e il CMT è debole, a risalire verso la superficie terrestre rendendo il mantello più fluido e quindi determinando una maggior “scorrevolezza” della crosta terrestre. In ambito vulcanico, invece, l’aumento dell’energia interno al pianeta si traduce in un aumento della temperatura e della pressione interne… che spingendo dal basso sui vulcani, ne determina l’eruttività (ovvero la capacità di eruttare).
Parlo di eruttività perché in realtà le cause che producono gli eventi geologici, vanno trovati invece tra la ionosfera e la magnetosfera. I terremoti infatti sono la risposta geologica del pianeta, ad eventi di microcompressione della magnetosfera. Un po come avviene sulla superficie di un palloncino gonfio d’aria quando la premiamo con un dito. Se premiamo troppo rischiamo di farlo esplodere.
E’ comunque tutto collegato all’attività solare e alla quantità di energia che arriva sul nostro pianeta sotto forma di CME e Flare solari. Non tutti i Flare e le CME comunque causano aumento di sismicità ed eruzioni vulcaniche. Ma tutte, indistintamente, contribuiscono all’aumentano l’energia interna del nostro pianeta.
Per farvi capire meglio come avviene immaginiamo di stare in un bar di classe… e il barman ha appena realizzato una piramide di coppe per lo spumante. Ad un certo punto prende una prima bottiglia e inizia a versarne il contenuto sulla prima coppa… che si riempie fino all’orlo… Lo spumante allora straripa ed inizia a riempire anche gli altri 2 bicchieri… e cosi’ via… bottiglia dopo bottiglia. Ogni volta che lo spumante straripa da una delle coppe… avviene un sisma. Quando il barman ha terminato di riempire tutti i bicchieri, basterà dare un colpo al bancone per far “straripare” una parte dello spumante di qualche bicchiere… causando altri sismi.
Ora, non sapendo quanto sono grandi le coppe (faglie) e non sapendo quanto spumante (energia) c’è dentro ogni singola coppa, non è possibile calcolare (prevedere) con precisione quando, dove e con quale intensità si verificherà un sisma. Ma sappiamo che la geologia terrestre (la piramide di coppe per lo spumante) NON TOLLERA gli sbalzi di energia… (flare potenti o CME fronte terra)… e quindi non tollera neanche gli sbalzi di velocità e densità del Vento Solare… che si trasformano in delle “frustate” alla magnetosfera terrestre e agli strati più alti dell’atmosfera… esercitando una sorta di compressione istantanea sulla litosfera.
Questo è, in termini molto spiccioli e sbrigativi, l’interazione Sole-Terra a livello geologico.
Se ora andiamo ad analizzare i singoli elementi del discorso, tornando all’argomento principale, troviamo che l’attività solare, oltre ad influire direttamente sul clima terrestre mediante TSI, lo fa anche indirettamente andando ad influenzare il numero di raggi cosmici che colpiscono il pianeta, ma anche modificando le “caratteristiche” del Campo Magnetico Terrestre e l’energia interna al pianeta. L’ultima volta che ho parlato con il mio amico scienziato (americano) che ha studiato anche questi argomenti… mi ha spiegato che l’energia nel pianeta entra ed esce di continuo… se quella entrante è maggiore, quella uscente è minore… e quindi sismi ed eruzioni vulcaniche diminuiscono, ma al contempo aumenta la temperatura media. Se quella entrante diminuisce, aumentano le eruzioni vulcaniche, i terremoti e diminuisce la temperatura.
Statisticamente è tutto correlato perfettamente. Ma ovviamente bisogna considerate TUTTI i sismi del pianeta… e non solo quello che ci fanno comodo.
Scusate se sono andato fuori tema.
Bernardo
Poi, comunque, qualcuno sta andando avanti con altre ricerche parallele… e sembra stia riscontrando risultati positivi: http://www.ltpaobserverproject.com/pubblicazioni.html
Ringrazio anch’io per l’interessante articolo.
Una possibile obiezione alla teoria di Ruddiman si lega a mio avviso al fatto che gli ecosistemi utilizzano CO2 per produrre biomassa ed in questo momento il global greening in atto incamera quote rilevanti dell’eccesso di CO2 in atmosfera fissandolo in biomassa vegetale. In sintesi l’uomo emette oggi 26 GT ma l’incremento annuo della CO2 atmosferica è di sole 15 GT, il resto essendo incamerato dagli ecosistemi.
Tale effetto in epoche pre-industriali a fronte di livelli di popolazione e di emissioni di gran lunga inferiori ai nostri avrebbe dovuto annullare l’effetto delle emissioni umane, almeno per quanto attiene a CO2.
Luigi, touchè!
Vorrei, però, fare qualche altra considerazione in proposito.
Secondo alcune teorie l’innesco della deglaciazione avviene per motivi astronomici e prosegue grazie a profonde modifiche dell’AMOC (altalena bipolare), ma senza il degassamento degli oceani e l’aumento dei gas serra non si potrebbero spiegare completamente tutti i fenomeni che lo caratterizzano. La glaciazione dovrebbe seguire il processo inverso: riduzione della CO2 (immagazzinata nelle biomasse sviluppatesi durante l’interglaciale), modifiche dell’AMOC e concomitanti condizioni astronomiche. Temperature più fresche produrrebbero maggiori quantità di CO2 immagazzinate negli oceani e, quindi, un processo a cascata con aumento dei volumi dei ghiacci (terrestri e marini).
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Secondo Ruddiman questa catena di eventi ha cominciato a subire dei cambiamenti a causa delle modifiche ambientali verificatesi con l’avvento di Homo sapiens che ha cominciato a distruggere con il fuoco la vegetazione d’alto fusto e ad utilizzare le foreste come fonte di energia (processo che è proseguito fino agli inizi del 20° secolo). La riduzione delle superfici delle foreste avrebbe determinato un minor immagazzinamento della CO2 atmosferica che sarebbe stata libera di accumularsi nell’atmosfera. A questo punto, se la sensibilità climatica fosse alta (quanto stimano i più pessimisti sostenitori del runaway greenhouse effect) i giochi sarebbero fatti.
In questa ottica l’ipotesi di Ruddiman sarebbe verificata e quindi l’arrosto climatico prossimo futuro sarebbe una certezza.
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Altri studi sembrerebbero dimostrare che la sensibilità climatica è molto più bassa. Ciò renderebbe poco plausibile lo scenario delineato da Ruddiman e, quindi, bisognerebbe cercare altrove le cause che hanno impedito l’innesco della fase fredda in presenza di condizioni astronomiche favorevoli. Quali potrebbero essere queste cause? Francamente non lo so, ma non mi sentirei di escludere uno sfasamento temporale di qualche secolo: a fronte dei millenni che caratterizzano un interglaciale due secoli rappresenterebbero un “errore” inferiore al 2%. E la causa di questo ritardo potrebbe tranquillamente essere di natura antropica.
Un’altra spiegazione potrebbe essere individuata nella natura caotica del sistema climatico. In questo caso la perturbazione antropica potrebbe aver modificato la condizione di equilibrio del sistema nello spazio delle fasi per cui la glaciazione è stata rinviata a data da destinarsi 🙂 fino a che i meccanismi di autoregolazione del sistema provvederanno a rimettere le cose a posto (ammesso che la trasformazione sia reversibile).
Detto in altri termini restiamo neutri e chi vivrà, vedrà.
Ciao, Donato.
Donato, in realtà a livello globale il processo di deforestazione sta proseguendo, come emerge dal report mondiale FAO sulle foreste che è del 2012 (http://www.fao.org/docrep/016/i3010e/i3010e00.htm – vedi il diagramma in figura 1 a pagina 9).
Debbo anche dirti che sull’ipersensibilità del sistema climatico nutro parecchi dubbi che si basano ad esempio sul fatto che l’oscillazione del sistema fra glaciale e interglaciale è in piedi da oltre due milioni di anni e tutto si muove all’interno di una banda di variabilità relativamente ristretta. In tal senso è a mio avviso anche da considerare il fatto che CO2 è un tassello del sistema climatico, cui contribuisce con il 18 % dell’effetto serra. Il sistema climatico tuttavia va sostanzialmente ad acqua (da cui dipende il 79% dell’effetto serra e il 100% del trasporto latitudinale di energia).
Circa infine il pensiero di Ruddiman segnalo il seguente articolo sull’antropocene:
http://www.annualreviews.org/doi/pdf/10.1146/annurev-earth-050212-123944
Infine il
http://www.annualreviews.org/doi/pdf/10.1146/annurev-earth-050212-123944
Luigi, grazie per la segnalazione.
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L’articolo di Ruddiman è molto interessante ed offre numerosi spunti di riflessione. Gli ho dato una prima occhiata, ma bisogna approfondire diversi aspetti. Due le cose che mi hanno particolarmente colpito:
– l’impossibilità di definire l’inizio di un eventuale Antropocene;
– una sensibilità climatica variabile.
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In merito al primo punto Ruddiman conclude che a suo giudizio non si può parlare di Antropocene in quanto tale definizione dovrebbe abbracciare buona parte dell’Olocene e, quindi, tutto l’Olocene dovrebbe essere definito Antropocene. Si tratterebbe di un’evidente forzatura per cui è più opportuno utilizzare tale termine in modo informale piuttosto che contraddistinguere con esso un ben preciso periodo geologico (l’attuale interglaciale). Sono d’accordo.
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In merito all’altro punto noto che sulla scorta delle simulazioni eseguite, il sistema climatico sembrerebbe reagire in modo differente alla concentrazione di CO2 in atmosfera. La sensibilità climatica sarebbe, infatti, molto alta per piccole concentrazioni di CO2 (tra 200 e 250 ppmv), diminuirebbe tra 200 e 400 ppmv e si ridurrebbe ulteriormente oltre le 400 ppmv.
Quest’ipotesi non è isolata in quanto mi è capitato di leggerla in altri lavori scientifici di cui in questo momento non ho riferimenti bibliografici, e mi sembra molto intrigante anche se sotto certi punti di vista sembra un’ipotesi ad hoc. Se fosse vera riuscirebbe a spiegare perché piccole variazioni di CO2 sono in grado di produrre forti cambiamenti climatici e perché, con l’aumentare della concentrazione di CO2, il sistema reagisce molto più lentamente. Ci troveremmo di fronte ad un meccanismo di auto-regolazione del sistema.
Ciao, Donato.
Donato,
la relazione tra CO2 e temperatura è, al netto dei feedback, logaritmica, per la progressiva saturazione della banda di assorbimento. Quindi segue la stessa logica che hai descritto. Se la sensibilità climatica, che tiene conto dei feedback (beninteso, quelli noti) si comporta allo stesso modo o comunque in modo simile, può significare che i feedback si compensano. Questo spiegherebbe perché, comunque, pur con oscillazioni importanti, il range di variazione della temperatura è comunque piuttosto stretto negli interglaciali.
gg
@ G. Guidi
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Si, proprio questo mi sembra l’elemento interessante di tutto il discorso. In altra parte del paper Ruddiman allerma, infatti, che in epoca pre-industriale l’effetto “riscaldante” della CO2 (che quantifica in un 10%) è stato completamente compensato da un “raffreddamento” che l’autore attribuisce a “cause naturali”. Dal contesto mi sembra di capire che i prodromi della glaciazione (cause naturali) siano state compensate dall’effetto serra (cause antropiche).
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Ad ogni buon conto, altri impegni permettendo, sto cercando il lavoro in cui la sensibilità climatica si considerava variabile in funzione della concentrazione di CO2.
Ciao, Donato.
Ancora una volta mi ritrovo a dover commentare un ottimo articolo basato su stronzate e approssimazioni scientifiche che fanno rigirare nella tomba tutti i grandi della scienza passati a miglior vita.
Nel primo grafico vengono riportati essenzialmente 2 “input” ed un “output”. Ovvero…
Input 1 = obliquità dell’asse terrestre
Input 2 = precessione
Output = insolazione
A qualcuno è mai passato per la mente che, forse, c’è un altro input da considerare?
Nel secondo grafico si ripete l’errore…:
Input 1 = obliquità dell’asse terrestre
Input 2 = precessione
Output = volume dei ghiacci
Qui è ancora più evidente… e, ancora una volta, viene totalmente omesso il 3° e fondamentale input: l’attività solare!
Capisco che per molti l’attività solare è totalmente ininfluente ai fini climatici, ma la realtà è differente.
Leggendo i grafici così come vengono proposti (ma anche altri articoli in tema), si evince che l’attività solare non viene inserita nel contesto perché ritenuta “costante”.
Nella migliore delle ipotesi viene considerata una variazione inferiore all’1% per la TSI che, comunque, non modificherebbe più di tanto le condizioni del sistema climatico.
Ancora una volta… a qualcuno è mai passato per la mente che, forse, le cose stanno in tutt’altro modo?
Quando si studia elettrotecnica, uno degli argomenti fondamentali è il TRASFORMATORE.
Si tratta essenzialmente di 2 avvolgimenti totalmente separati, la cui interazione avviene mediante un campo magnetico. In questo modo si ha il trasferimento di una parte dell’energia del primo avvolgimento… nel secondo avvolgimento e questo permette di alimentare, a tensioni diverse, gli apparati elettrici ad esso collegati (scusate l’estrema semplificazione).
Il Sole agisce, sul sistema Terra, in un modo estremamente simile.
L’attività solare, infatti, non va intesa e misurata solo tramite la TSI, ma va vista in modo più ampio… e ne va misurata l’interazione “magnetica” con il Campo Magnetico Terrestre.
Inoltre la TSI (o qualcosa di molto simile), non agisce SOLO sulla porzione del pianeta illuminata dal Sole, ma agisce su tutta la porzione della MAGNETOSFERA rivolta verso il Sole. Una Magnetosfera che subisce una interazione magnetica dal Campo Magnetico Solare che, sappiamo, dipende fortemente da alcuni parametri estremamente variabili dell’attività solare.
Pertanto l’attività solare VARIA in modo molto evidente nell’arco di tempo considerato nei suddetti grafici. E dimostra in modo inequivocabile che l’andamento dei ghiacci non segue “solo” i 2 input considerati, ma segue soprattutto quello (deliberatamente?) omesso dell’Attività Solare!
Per la CO2 e il CH4 il discorso è IDENTICO.
La quantità di CO2 assorbita o rilasciata dagli Oceani, dipende dalla temperatura degli stessi… e questa dipende non dall’inclinazione dell’asse terrestre, ma dall’attività solare. Cioè dal fatto se fa o meno caldo. E la quantità di CH4 riemesso dal permafrost, dipende anch’esso dall’attività solare.
Tra l’altro l’attività solare influenza anche la quantità di raggi cosmici che arrivano ad impattare contro l’atmosfera terrestre… provocando nuvole, pioggia e fulmini. Pertanto l’Attività Solare determina in modo sostanziale l’evoluzione climatica.
Voler spiegare l’evoluzione climatica del pianeta Terra senza considerare minimamente il principale fattore che ne determina la variabilità, equivale a voler fare il conto senza l’oste!
Liberi di crederci… per carità… ma fare scienza significa prima di tutto analizzare TUTTE le possibili cause di un “problema” e non quelle che ci fanno comodo (economicamente parlando).
Bernardo Mattiucci
Bernardo,
che il mainstream scientifico non prenda in considerazione l’attività solare nel suo complesso ma solo la TSI è un fatto accertato. Su queste pagine lo abbiamo ripetuto mille volte. Questo non impedisce di discutere delle ipotesi. Cerchiamo di mantenere la calma, il riferimento è al primo paragrafo del tuo commento.
gg
Capisco Guido… ma se mi trovo in una stanza ad indagare sul “come hanno fatto i ladri ad entrare se la finestra era chiusa”, per prima cosa andrò a controllare se anche la porta era chiusa o aperta. Non trovi? A me invece pare che sempre più spesso si fanno analisi e ricerche ignorando deliberatamente l’attività solare quale causa principale (98%) dei cambiamenti climatici. Perché?
Forse perché ciò significherebbe buttare all’aria 20 anni di ricerche sul clima basate sull’assunto, sbagliato e mai dimostrato veritiero, che la causa principale dei cambiamenti climatici sono le attività antropiche dell’essere umano. E questo, oltre a significare una grandissima brutta figura, significa anche aver sprecato… quanto? 1 milione di miliardi di dollari? Bastano? Oppure sono troppi considerando che solo con i certificati verdi si muoveva qualcosa come 2000 miliardi di dollari l’anno?
E per di più ci si allontana sempre più dalla retta via….
Come ti ho accettano in privato… ci sono ben altre motivazioni sul perché dei cambiamenti climatici. E tutto ruota, sempre e soltanto, intorno all’attività solare. Ora il problema da risolvere al fine di prevedere l’evoluzione del clima, è capire quali siano le reali cause delle variazioni dell’attività solare. E lì, come ben sai, ci sono essenzialmente 2 possibili spiegazioni. Ma è tutto molto complicato… anche perché di dati precisi non ne abbiamo più molti…. visto che sempre più spesso si scopre che NOAA e NASA rivedono i dataset delle temperature per “allinearli” a non so che cosa!
Questo è ciò che penso. Non si fa scienza se si omette di considerare la principale fonte di energia del Sistema Solare!
Ottimo articolo.
Come sovente accade nella storia della scienza, ci troviamo di fronte ad un fatto: dal punto di vista astronomico dovremmo trovarci in una condizione favorevole alla fine dell’interglaciale attuale ed all’inizio di una nuova fase fredda. Dal punto di vista climatico non riusciamo a vedere i segni di questo raffreddamento del clima: i ghiacciai terrestri non aumentano il loro volume.
Questi i fatti. Di fronte ad un fatto la scienza si interroga e formula delle ipotesi che devono essere sottoposte a verifica sperimentale per accertare se siano vere, scientificamente parlando, oppure false. Ruddiman, 2003, 2007 sulla base del fatto che le concentrazioni di CH4 e CO2 non sono diminuite come accadeva alla fine dei precedenti interglaciali, formula l’ipotesi che la causa del mancato innesco della fase fredda debba essere individuato nella concentrazione di questi due gas e ne attribuisce la responsabilità all’uomo. Il ragionamento non fa una grinza, l’ipotesi è correttamente formulata, deve essere sottoposta a verifica sperimentale.
In Kutzbach e colleghi, 2010 (conclusioni) è scritto:
“[…] (or demand some alternative explanation of why stage 1 is different).”
In altri termini: noi propendiamo per la natura antropica della mancata diminuzione dei gas serra e, quindi, del mancato raffreddamento del clima, se ciò non dovesse essere vero è necessaria una diversa spiegazione del fenomeno. Anche questo ragionamento è perfettamente condivisibile.
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A questo punto siamo, però, in mezzo al classico guado: dobbiamo decidere. E la decisione diventa difficile in quanto manca l’evento dirimente ovvero la verifica sperimentale. Detto in altri termini non siamo in grado di sottoporre a verifica l’ipotesi di Ruddiman in quanto non abbiamo un modello sperimentale del nostro pianeta in cui modificare le concentrazioni di gas serra a piacere e vedere cosa succede. Ci troviamo di fronte ad un dilemma simile a quello che caratterizzò la fisica negli anni ’60 del secolo scorso allorché fu formulata l’ipotesi dell’esistenza del bosone di Higgs. Dopo circa 50 anni l’ipotesi è stata verificata sperimentalmente e Higgs ha ricevuto il Nobel. In campo climatologico i ricercatori, di fronte all’impossibilità di verificare sperimentalmente le ipotesi, hanno fatto ricorso ai modelli matematici per rappresentare le possibili evoluzioni del sistema climatico. Il ragionamento non è affatto sbagliato, a patto di conoscere in modo perfetto le equazioni che regolano il sistema. Nella scienza e nella tecnica moderna i modelli matematici funzionano perfettamente e sono alla base della nostra società. Il sistema ABS che troviamo in quasi tutti i moderni veicoli, è basato su un modello matematico. Quando il comportamento del veicolo differisce da quello individuato dal modello matematico, il sistema di controllo entra in azione e cerca di ricondurre il veicolo a quelle che sono le condizioni previste dal modello: viene ridotta la pressione nel circuito frenante e si sbloccano le ruote.
In climatologia purtroppo le cose non sono così semplici in quanto non siamo ancora riusciti a comprendere in modo completo la fisica del sistema o, per essere più precisi, ad individuare le equazioni in grado di esprimere le relazioni tra le varie grandezze che caratterizzano il sistema. Solo per fare un esempio le equazioni fluidodinamiche e termodinamiche che sono utilizzate per schematizzare la convezione umida non riescono a descrivere in modo esatto il fenomeno e lo stesso può dirsi per quel che riguarda le nuvole ed i loro effetti sul clima.
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E per chiudere, tornando al tema del post, personalmente non ho assolutamente nulla da obbiettare sul fatto che l’uomo ha completamente modificato l’ambiente in cui vive: equivarrebbe a negare la realtà. L’uomo ha disboscato selvaggiamente, ha modificato le caratteristiche del suolo, ha determinato l’estinzione di specie animali e vegetali, ha modificato il regime delle acque superficiali e sotterranee costruendo dighe ed estraendo acqua dalle falde freatiche: ha fatto di tutto e di più.
Tutto questo è stato positivo o negativo? Per le specie estinte o in via di estinzione il giudizio è sicuramente negativo. Per la nostra specie è sicuramente positivo in quanto abbiamo modificato il mondo in maniera tale da consentirgli di sopportare ben sette miliardi di esseri umani in condizioni mediamente migliori di quelle dei nostri antenati. Dal punto di vista ecologico l’uomo è una specie di successo. Lo sarà a lungo? Non lo so, forse no, forse si, ai posteri l’ardua sentenza.
La paleontologia ci insegna che la sopravvivenza media di una specie vivente è compresa tra 0,5 e 3 milioni di anni, quindi anche la nostra specie subirà la stessa sorte delle altre: si evolverà in altre specie o si estinguerà. Il problema è sapere non se, ma quando ciò accadrà.
Qualora l’ipotesi di Ruddiman fosse reale (e sotto certi punti di vista lo è) le sorti della nostra specie sono nelle nostre mani: le nostre azioni decideranno le nostre sorti, il mondo, dal canto suo, continuerà ad esistere anche senza di noi. Sarà diverso da come lo conosciamo, ma la vita continuerà anche senza Homo sapiens sapiens così come è continuata senza i dinosauri.
Qualora l’ipotesi di Ruddiman fosse sbagliata ed il ritardo della glaciazione avesse altre cause dobbiamo continuare a cercarle e l’uomo tornerebbe ad essere una semplice pedina in balia della Natura assolutamente non idonea ad influenzare l’ambiente in cui vive.
Personalmente sono propenso ad accettare, almeno in forma debole, l’ipotesi di Ruddiman: l’uomo modifica l’ambiente in cui vive ed è in grado di modificare almeno in parte (non so in che percentuale) anche il sistema climatico.
Ciao, Donato.
In linea di principio concordo, ma a mio avviso mancano due ulteriori quanto importantissimi test: anzi, direi che senza questi due, non andiamo da nessuna parte.
Prima di tutto, bisogna dimostrare che la tendenza degli ultimi 5milla anni sia al riscaldamento, cosa che non solo non è scontata, ma pare anche sconfessata dai dati raccolti es. nei ghiacci groenlandesi. Dove addirittura la tendenza di lungo periodo sarebbe verso il raffreddamento e l’attuale periodo “caldo” sarebbe comunque inferiore agli optimum medievale e romano, e nettamente inferiore a quello post-glaciale. Insomma, in parole molto povere, oscillazioni (eventualmente influenzate dall’Uomo) con tendenza al ribasso.
In secondo luogo, bisogna capire con quali margini di incertezza stiamo discutendo. Perché io posso provare tutto ed il contrario di tutto, soprattutto se il margine di incertezza è sufficientemente ampio: ovvero, non posso provare nulla se non riesco ad avere o dati migliori o un’incertezza più contenuta.
Aggiungo un terzo punto, sempre tanto banale quanto dimenticato in climatologia: i modelli computerizzati, come qualunque studente di università dovrebbe aver imparato massimo al secondo anno, non spiegano e non confermano nulla. I computer non sono artifici magici in grado di creare teorie o fare predizioni, ma sono semplici calcolatori, che danno in output un risultato che è necessariamente in accordo con la maniera in cui vengono programmati. In parole povere, da un programma per computer non può uscire un risultato in contrasto con la teoria del programmatore, né tantomeno potrebbe uscire una nuova teoria! Quindi, se i modelli per computer vedono “poco Sole e molta CO2”, è perché sono programmati così, e non perché altrimenti non riescono a simulare le oscillazioni di temperatura dell’ultimo secolo. Per fare un esempio, il calcolo strutturale si basa su decenni se non secoli di dati ed esperienza (iniziati ben prima dell’era informatica), e quindi sappiamo che la teoria di base è corretta, o che almeno “funziona bene” nel suo campo di applicazione; lo stesso non si può certo dire della climatologia, che ha davanti a sé ancora un lungo cammino (si spera sempre meno condizionato da questi errori elementari di epistemologia).
Comunque sia, trovo assolutamente corretto il tuo punto di vista, addirittura banale: l’Uomo ha modificato pesantemente l’ambiente, a suo uso e consumo, ed è sbagliato pensare che le superfici coltivate (ovvero dedite al pascolo) siano tanto più naturali di una città. Lo stesso, però, è sbagliato pensare che l’azione umana sia sempre e comunque dannosa per la Natura, macchina ottima ma non perfetta (vedi i boschi “coltivati”, che vivono in condizioni migliori dei boschi “selvatici”).