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Energia, acqua e cibo: perché le attuali policy sono inefficaci

Diverse volte su queste pagine abbiamo affrontato le questioni legate alle problematiche energetiche ed alla lotta alla fame nel mondo. Qualche giorno fa il commento di un lettore di CM relativo alle fonti energetiche rinnovabili in Alto Adige, mi ha riportato alla mente un articolo pubblicato su “Le Scienze” nello scorso mese di aprile

Energia più acqua più cibo: un puzzle per il pianeta  di M. E. Webber, ricercatore presso l’Università del Texas ad Austin che si occupa di problematiche energetiche.

In questo articolo l’autore analizza alcuni casi di studio in cui il sistema elettrico di intere nazioni è andato in tilt in modo apparentemente inspiegabile se si considerano solo gli aspetti esclusivamente elettrici. Tra questi, particolarmente interessante, quello che nel luglio del  2012 coinvolse ben tre reti elettriche regionali del sub continente indiano che si disattivarono determinando un black out che coinvolse oltre 600 milioni di persone.

La crisi del sistema elettrico indiano fu determinata da problemi non elettrici, ma idrici. A causa della grave siccità che in quel periodo colpiva diverse regioni indiane, gli agricoltori attinsero dalle falde idriche immense quantità d’acqua mediante miriadi di pompe elettriche. Nella precedente stagione delle piogge i fenomeni meteorologici particolarmente intensi  avevano dilavato enormi quantità di terreno vegetale e li avevano accumulati alle spalle delle dighe riducendone la capacità. L’eccessivo prelievo idrico dagli invasi, messo in atto per ridurre gli effetti della siccità, determinò un ulteriore riduzione dei quantitativi di acqua accumulati nei bacini artificiali e, quindi, una riduzione della produzione di energia idroelettrica. Il “combinato disposto” di queste due circostanze provocò la crisi elettrica che coinvolse centinaia di milioni di cittadini indiani.

Questo e gli altri casi citati nell’articolo di Webber,  dimostrano che è illusorio poter gestire il nostro attuale sistema di supporto delle attività economiche e sociali senza tener conto delle interazioni tra i vari settori che lo caratterizzano. Detto in altri termini non si può affrontare il problema del cibo senza tener conto delle problematiche idriche ed energetiche e viceversa. Secondo Webber il problema alimentare in molte aree del mondo non può essere imputato solo alla siccità, ma anche alla carenza di energia legata ai vincoli ambientali ed ai costi sempre più elevati. Con accenti e parole diverse l’autore esprime alcuni concetti molto familiari ai lettori di Climatemonitor: la fame nel mondo non si risolve con l’energia ad alto costo e con infrastrutture dotate di bassa o nulla resilienza. In altre parole non possiamo rispondere a chi ci chiede pane di mangiare brioche.

Il premio Nobel R. Smalley,  nel 2003 individuò i dieci maggiori problemi dell’umanità. Ai primi tre posti dell’elenco troviamo energia, acqua e cibo. Egli non aveva tenuto conto, però, delle interazioni tra ognuna di queste problematiche. Nell’ipotesi in cui potessimo disporre di energia illimitata, potremmo avere quantità illimitate di acqua in quanto saremmo in grado di dissalare quella degli oceani, scavare pozzi in grado di raggiungere falde molto profonde e spostare acqua da un continente all’altro. Avendo a disposizione, invece, acqua in quantità illimitata, potremmo produrre tutta l’energia che vorremmo. In entrambi i casi potremmo risolvere tutti i problemi alimentari e non. Il problema è che al mondo non esistono risorse illimitate per cui è necessario fare i conti con la dura realtà. Ciò rende estremamente probabile, in un mondo caratterizzato da una popolazione in aumento e soggetto a cambiamenti climatici (naturali o artificiali che siano), l’innesco di nuove crisi a cascata in grado di provocare migliaia se non milioni di vittime e miliardi di dollari o euro di danni. Allo stato dell’arte noi consumiamo circa l’80% dell’acqua per usi irrigui; il 13% della produzione energetica mondiale è destinato al trattamento delle acque; una percentuale ulteriore di energia alla produzione di fertilizzanti, pesticidi, carburanti per i mezzi agricoli e via cantando. Altra energia è necessaria per la conservazione, trasporto e conservazione dei prodotti agricoli. Basta che uno solo dei pezzi che compongono questo grande puzzle vada in crisi e tutto il sistema cesserà di funzionare.

Accertato lo stato di forte interconnessione che caratterizza l’organizzazione della società moderna ciò che maggiormente preoccupa Webber è la sua scarsa resilienza, cioè la scarsa capacità dello stesso a resistere a shock improvvisi. In questa ottica è del tutto inutile continuare a progettare il mondo con le gli stessi criteri utilizzati fino ad ora: non si risolve il problema energetico solo costruendo nuove centrali elettriche progettate secondo principi antiquati o quello del cibo incrementando la superficie coltivata senza innovare le tecniche di coltivazione o quello dell’approvvigionamento di energia primaria incrementando semplicemente l’estrazione di petrolio e gas naturale.

Secondo Webber la prima soluzione al problema è la riduzione dei rifiuti: nel caso del cibo il 25% si perde a causa di porzioni troppo grandi, mancata vendita del raccolto, mancato raccolto e via cantando o semplicemente a causa delle date di scadenza dei prodotti alimentari. Particolarmente interessante quest’ultimo caso: si tratta di date convenzionali che ci fanno mandare in discarica milioni di confezioni ancora perfettamente commestibili: inserire nella confezione sensori in grado di rilevare interruzioni nella catena del freddo o tracce di sostanze che ne segnalano il deterioramento eviterebbe tutto ciò.

Altro settore in cui possono essere effettuati dei risparmi è quello della gestione del rifiuto umido che potrebbe essere utilizzato in digestori per la produzione di metano. Anche le acque reflue potrebbero essere riutilizzate a scopi irrigui evitando inquinamento dei corpi idrici superficiali e depauperamento delle falde. Il riutilizzo di questi reflui, previo trattamento, ovviamente, direttamente nei centri urbani in “fattorie verticali” da un lato ridurrebbe i costi di trasporto,  immagazzinamento e conservazione, dall’altro ridurrebbe drasticamente le spese di depurazione delle acque reflue.

Anche la tanto vituperata CO2  prodotta dalle centrali termoelettriche e dalle altre fabbriche potrebbe essere riutilizzata per fertilizzare (si, così si esprime l’autore) vasche per la produzione di alghe da destinare all’alimentazione animale o alla produzione di biocombustibili. Altro utilizzo della CO2 proposto da Webber è la sua iniezione in falde profonde di acque salmastre in modo da emettere in superficie metano che può essere utilizzato per la produzione di energia. Questo qualora la si voglia eliminare dall’atmosfera, ovviamente.

Altro modo per aumentare la resilienza del sistema è quello di coltivare zone desertiche. Molte aree desertiche sono caratterizzate, infatti, da sole e vento in grandi quantità e da acque salmastre a profondità accessibili. Tali acque, meno salate di quelle degli oceani, sono dissalabili molto più economicamente di quelle marine e per farlo si potrebbe utilizzare l’energia eolica e solare prodotte in situ. Lo stesso potrebbe farsi con il gas naturale prodotto negli impianti di estrazione petrolifera che oggi viene disperso in atmosfera o bruciato in loco, quindi sprecato.

Risparmi notevolissimi potrebbero essere ottenuti migliorando “l’intelligenza” delle reti di distribuzione idriche ed elettriche. A questo proposito vorrei far notare che le nostre reti idriche sono dei veri e propri colabrodo che disperdono gran parte del fluido che dovrebbero trasportare: una buona occasione di investimento per gli enti pubblici che avrebbe un ritorno di beneficio immediato in termini di minori costi per i cittadini e pungolo per l’economia asfittica di questi anni.

L’aspetto più interessante, almeno secondo il mio punto di vista, dell’articolo di Webber riguarda le sue conclusioni. Secondo l’autore il principale ostacolo all’introduzione delle tecniche che possono portare ad un miglioramento della resilienza della nostra società sono di natura ideologica e politica. Oggi decisori politici, tecnici ed imprenditori sono rigidamente separati da steccati ideologici che non consentono loro di dialogare. Chi pianifica nel settore energetico presume di avere acqua illimitata a disposizione, viceversa i progettisti di reti idriche pensano di poter utilizzare immense quantità di energia. Nel caso di progettazione integrata dei vari sistemi e sottosistemi, invece, potrebbero essere realizzate reti idriche che richiedono bassi utilizzi di energie e reti elettriche che  hanno bisogno di limitate quantità di acqua.

Oggi come oggi siamo avviati verso direzioni sbagliate, secondo Webber. Egli scrive, infatti:

 … le politiche concentrate ossessivamente solo sulla riduzione del livello di CO2 in atmosfera potrebbero portarci a scelte energetiche con basse emissioni di carbonio, ma un notevole dispendio di acqua come le centrali nucleari o quelle a carbone con cattura del carbonio.

Il messaggio che emerge potentemente da tutto l’articolo di Webber è che

 …il mondo è un unico sistema complesso ed è necessario cercare soluzioni e interventi sulle politiche che favoriscano il sistema nel suo insieme (Nexus 2014: water, food, climate and energy conference – Chapel Hill, North Carolina).

Personalmente credo di essere in gran parte d’accordo con Webber. I problemi del mondo (oggi e domani) possono essere risolti solo grazie all’innovazione tecnologica ed a nuovi modi di affrontare la realtà. Abbiamo potuto esorcizzare le fosche profezie del Club di Roma e, prima ancora di Malthus, grazie alla rivoluzione verde ed ai progressi della scienza e della tecnologia. Allo stesso modo, credo, potremo risolvere i problemi attuali e quelli che avremo quando saremo nove miliardi. Altro che “decrescita felice” e ritorno all’era del “buon selvaggio” o del “mulino bianco”, abbiamo bisogno di nuove conoscenze, nuovi sviluppi tecnologici, nuove strategie di produzione del cibo, nuove fonti di energia a basso costo, modi innovativi e rivoluzionari per incrementare il rendimento degli utilizzatori di energia. Oggi i produttori enfatizzano le emissioni di CO2 dei loro manufatti trascurando tutto il resto, sarebbe più opportuno, invece, porre maggiore attenzione al rendimento di macchine, attrezzature e processi vari utilizzati dagli esseri umani. Solo in questo modo potremo rendere il sistema più resiliente e più facilmente adattabile ai cambiamenti sociali, culturali e, perché no, climatici.

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Published inAmbienteAttualitàEnergia

4 Comments

    • donato

      Grazie per la segnalazione: articolo molto interessante che da punti di vista diversi, giunge a conclusioni molto simili a quello di Webber.
      Ciao, Donato.

  1. Luigi Mariani

    Caro Donato, ottimo articolo. In effetti l’approccio sistemico all’uso delle risorse è l’unico che oggi dovrebbe essere perseguito, rinunciando alla demagogia in favore di metodi quantitativi applicati all’interpretazione (anche previsionale) dei fenomeni. Stupisce invece vedere come la demagogia imperversi ancor oggi nei nostri paesi, che a livello globale dovrebbero almeno in teoria essere quelli con un approccio più razionale ai problemi. Peraltro nel fango della demagogia razzolano pescecani, iene e serpenti di tutti i generi, come ci mostrano gli scandali più recenti….

    • dnt

      Caro Luigi, l’autore dell’articolo non è uno scettico, ma, da quello che ho potuto capire, crede che il clima stia cambiando e ne attribuisce la colpa all’uomo. Nonostante ciò mi è parso corretto il suo approccio al problema: è inutile impiccarsi ad un’improbabile abbattimento della CO2, quando possiamo intervenire su elementi molto più realistici come la progettazione integrata (non quella cara ai pescecani, iene e serpenti che razzolano nel campo degli appalti di opere pubbliche basati su un altro tipo di progettazione integrata 🙂 ). In modo molto pragmatico il dott. Webber (che di queste cose se ne intende in quanto presidente di un’associazione che si occupa per statuto di problematiche energetiche) sembra volerci dire che è inutile tentare di togliere acqua, cibo ed energia al genere umano in quanto i popoli si ribellerebbero, ma è molto più facile ridurre le inefficienze e gli sprechi nell’utilizzo di acqua, cibo ed energia: non sarebbe necessario bloccare l’aspirazione, legittima, degli esseri umani a migliori condizioni di vita e, contemporaneamente si otterrebbe un risparmio energetico e, come sottoprodotto, una riduzione della CO2 (se fa male, ne trarremo beneficio, in caso contrario non ci abbiamo rimesso nulla).

      p.s.: grazie per i complimenti, ma una parte del merito è tuo e dei tuoi insegnamenti sulla rivoluzione verde e sui vantaggi che le tecniche agronomiche moderne, frutto della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche, hanno su quelle tradizionali in termini di resa e di qualità del prodotto.
      Ciao, Donato.

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