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ALCUNI CONCETTI INTRODUTTIVI
Sole e Terra dialogano scambiandosi energia ma in tale dialogo parlano lingue diverse. Infatti il Sole è un corpo a 6000 K e dunque la sua energia radiante che giunge al nostro pianeta si colloca per la gran parte nell’intervallo compreso fra visibile e infrarosso vicino (lunghezze d’onda fra 0.38 e 2.8 micron), con un massimo a 0.48 micron, in pieno visibile. Dal canto suo la Terra è un corpo a 300 K e dunque l’energia che emette verso lo spazio si colloca nell’infrarosso lontano (lunghezze d’onda superiori a 3 micron) con un massimo a 9.8 micron.
Il dialogo fra Sole e Terra è fondato sull’equilibrio energetico. Infatti la temperatura del pianeta è grossomodo stazionaria da milioni di anni ed è dunque spontaneo pensare che energia in arrivo dal Sole ed energia emessa dalla Terra verso lo spazio siano mediamente uguali fra loro. La differenza fra energia entrante dal Sole ed uscente dalla Terra è indicata come forcing radiativo ed in tal senso si parla di aumento del forcing quando tale differenza aumenta o di forcing negativo nel caso contrario.
Al dialogo fra Sole e Terra si lega il tema della “pistola fumante” dell’effetto antropico sul clima. Infatti uno degli svariati tentativi di cercare la tale pistola fumante consiste proprio nello studiare l’andamento dell’energia in ingresso dal Sole confrontandola con quella emessa dal pianeta verso lo spazio al margine esterno dell’atmosfera (TOA ovvero Top Of Atmosphere). Tale studio può essere oggi condotto utilizzando dati da satellite. Di tali dati vi sono già svariate analisi uscite su lavori scientifici. Ad esempio nel lavoro di Lindzen e Choi (2009) si analizzano dati del sensore ERBE mentre in quello di Loeb et al. (2009) si analizzano dati del sensore CERES. Quest’ultimo sensore è oggi il più utilizzato ed è installato sui satelliti MODIS Terra e Acqua. Per tale sensore disponiamo oggi di una quindicina di anni di dati.
Come analisi allo stato dell’arte dei flussi energetici solare e terrestre a livello di TOA possiamo citare la figura 2 del lavoro pubblicato su Nature Goesciences da Stephens et al (2012). In esso gli autori quantificano in +0.6 +/-0.4 W m-2 lo squilibrio (imbalance) fra energia entrante e uscente al TOA. Un dato analogo (squilibrio di 0.6 +/-0.4°C W m-2) viene proposto anche a livello di superficie terrestre. In sostanza secondo queste stime l’energia che entra supera quella che esce di 0.6W m-2 e dunque il pianeta starebbe accumulando energia.
Circa il dato di 0.6 +/-0.4°C indicato da Stephens occorre anzitutto dire che quel +/-0.4°C indica che l’incertezza di tale misura è assai elevata. Al riguardo occorre inoltre dire che l’attendibilità dei dati da satellite relativi al TOA è stata posta in discussione da diversi lavori. Ad esempio Halsen et al. (2011) scrivono che “The notion that a single satellite at this point could measure Earth’s energy imbalance to 0.1Wm−2 is prima facie preposterous. Earth emits and scatters radiation in all directions, i.e., into 4 steradians. How can measurement of radiation in a single direction provide a proxy for radiation in all directions? Climate change alters the angular distribution of scattered and emitted radiation. It is implausible that changes in the angular distribution of radiation could be modeled to the needed accuracy, and the objective is to measure the imbalance, not guess at it. There is also the difficulty of maintaining sensor calibrations to accuracy 0.1Wm−2, i.e., 0.04 percent. That accuracy is beyond the state-of-the art, even for short periods, and that accuracy would need to be maintained for decades.”
“The precision achieved by the most advanced generation of radiation budget satellites is indicated by the planetary energy imbalance measured by the ongoing CERES (Clouds and the Earth’s Radiant Energy System) instrument (Loeb et al., 2009), which finds a measured 5-yr-mean imbalance of 6.5Wm−2 (Loeb et al., 2009). Because this result is implausible, instrumentation calibration factors were introduced to reduce the imbalance to the imbalance suggested by climate models, 0.85Wm−2″. Insomma: si è misurato un +6.5 e lo si è poi portato a 0.85 perché i modelli climatici indicano tale valore come il più probabile, il che costituisce un’inversione del normale processo conoscitivo scientifico il quale prevede che si usino le misure per calibrare i modelli e non viceversa.
Circa poi gli effetti di CO2 sul forcing radiativo, è a tutti noto che CO2 in atmosfera aumenta in modo monotono, per cui secondo i dati rilevati a Mauna Loa dalle 315 ppmv del 1958 si è giunti alle 400 ppmv del 2015, con un incremento medio annuo di 1.47 ppmv. Una soglia particolarmente importante per chi si occupa di tale fenomeno è quella delle 560 ppmv, che costituisce il raddoppio rispetto ai livelli pre-industriali di 280 ppmv e cioè i livelli che si sono grossomodo mantenuti fino al 1850. In base all’equazione di Myhre et al (1998) Il raddoppio di CO2 porterà ad un incremento del forcing radiativo di 3.7 W m-2. Come conseguenza di ciò la legge di Stefan Boltzmann ci dice che si assisterà ad un aumento di temperatura di circa 1°C. L’aumento di 1°C è ovviamente stimato in assenza di feedback positivi e negativi mentre in realtà nel sistema climatico di feedback ve ne sono moltissimi ed alcuni ancora poco noti e/o scarsamente prevedibili nel loro comportamento futuro (feedback da nubi, da vapore acqueo, da effetto iride, da conservazione del gradiente pseudoadiabatico, da effetto delle coperture nevose sull’albedo, ecc.). Dall’effetto concomitante di tali feedback conseguirà un’amplificazione ovvero una riduzione dell’effetto termico finale del raddoppio di CO2.
In tal senso occorre evidenziare che i feed-back positivi possono aver effetti enormi. Si pensi al vapore acqueo che il maggiore responsabile dell’effetto serra terrestre in quanto determina il 51% del’effetto contro il 18% della CO2. Aumentando le temperature aumenta anche il vapore ceduto all’atmosfera da oceani e vegetali, il che fa aumentare ancora le temperature con ulteriore aumento del vapore ceduto e così via, con un effetto di feedback positivo a catena noto come runaway green house effect che potrebbe rendere in breve il pianeta inabitabile. Noi sappiamo però che esistono valvole di sicurezza per cui l’atmosfera del pianeta si libera dell’eccesso di vapore con le precipitazioni che agiscono da feed-back negativo (a tutto ciò si assiste periodicamente nella sequenza di El Niño, che sovraccarica l’atmosfera di vapore – La Niña, che libera l’atmosfera dell’eccesso di vapore con le piogge). Un ulteriore grande feedback negativo e potenzialmente in grado di mascherare del tutto gli effetti dell’incremento di CO2 è costituito dalle nubi, il cui andamento nel futuro è oggi impossibile da prevedere. L’effetto delle nubi sulla radiazione solare entrante è oggi stimato in – 47.3 W m-2 (il segno “-“ indica che trattasi di radiazione riflessa verso lo spazio e cioè di albedo planetario) per cui basterebbe aumentare del 3.7/47.3= 7.8% tale effetto per vanificare totalmente l’aumento del forcing dovuto al raddoppio di CO2. L’effetto dei feed-back negativi è probabilmente all’origine del fatto che a fronte di un incremento monotono di CO2 le temperature in superficie sono in sostanza stazionarie dal 1998.
I concetti di Transient Climatic Response (TCR) e di Equilibrium Climate Sensitivity (ECS) sono gli ultimi concetti oggetto di questa lunga ma doverosa premessa.
Secondo IPCC la TCR è da intendere come l’effetto del raddoppio di CO2 all’istante in cui tale raddoppio sarà conseguito mentre la ECS è da intendere come l’effetto del raddoppio di CO2 una volta che il sistema, dopo un congruo numero di anni, avrà raggiunto un nuovo punto di equilibrio. Più in particolare l’AR4 di IPCC ha stimato con modelli una TCR di +1.8 +/- 0.1°C ed una ECS di 3.2 +/- 0.2 °C.
L’ANALISI CONDOTTA DA WILLIS ESCHENBACH
Su tale tema è uscito di recente su WUWT un articolo di Willis Eschenbach dal significativo titolo “Climate Insensitivity”. In esso, utilizzando i dati CERES, viene analizzata la correlazione esistente fra forcing radiativo al TOA e temperatura in superficie. Da tale analisi (figura 1) si coglie anzitutto che il massimo di correlazione fra la variazione di forcing al TOA e la variazione di temperatura in superficie si ottiene se si considera un ritardo della risposta termica rispetto al forcing che a seconda delle celle va da 1 a 3 mesi.
L’autore poi estrapola cosa dovrebbe accadere al raddoppio di CO2 e cioè con un forcing al TOA di +3.7 W m-2 ed ottiene così un aumento medio della temperatura planetaria di +0.44°C. Osservando poi che per i 18 modelli AR4 si ha TCR=1.81°C e ECS=3.2°C, per cui ECS=1.77 volte TCR, l’autore stima un ECS pari a 0.44*1.77=0.78°C.
Fin qui tutto sembrerebbe reggere. Tuttavia ad un’analisi di maggior dettaglio il lavoro così come sviluppato suscita una serie di perplessità che mi provo ad elencare.
Anzitutto la correlazione fra forcing al TOA ed effetto termico in superficie viene ricavata cella per cella ignorando il fatto che nell’atmosfera esiste una circolazione che trasposta energia in modo molto efficiente. Ignorare tale fatto significa trascurare l’effetto di allisciamento indotto dal trasporto di energia; in tal senso se di TCR si tratta dovrà essere vista come valore complessivo a livello planetario ed essere tutt’al più considerata come un “lower bound”. Forse, come emerso dalla discussione, se si ragionasse solo della fascia intertropicale (che è quella fascia in cui il trasporto latitudinale è meno attivo perché dominano i processi convettivi) si potrebbe ottenere qualcosa più di simile alla TCR cosi come definita da IPCC.
Inoltre il ritardo di 2-3 mesi osservato da Eschenbach è probabilmente frutto degli effetti di volano stagionali, per cui ad esempio la massima termica si osserva a luglio – agosto a fronte di un massimo di radiazione solare che si raggiunge a giugno.
Ancora Eschenbach ragiona di meno di 15 anni di dati (da gennaio 2000 a maggio 2014) mentre la TCR di cui parla IPCC copre archi di tempo assai più elevati (il raddoppio di CO2 essendo atteso fra 80 anni al persistere dei livelli di crescita annua di CO2 degli ultimi 15 anni) e sui quali gli effetti di feed-back dovrebbero agire in modo assai più ampio e variegato.
Tali dubbi sono a più riprese emersi dalla discussione molto ampia che il post ha suscitato e che ho personalmente trovato molto interessante (peraltro molta della bibliografia citata in premessa è stata richiamata nel corso di tale discussione).
In conclusione segnalo comunque che il lavoro di Eschebach letto in chiave fenomenologica metta in luce alcuni aspetti interessati del sistema climatico terrestre. Un esempio è costituito dal fatto che il ritardo nella risposta termica all’aumento di Forcing al TOA è più grande per gli oceani che per le terre emerse. Ad esempio il Mediterraneo ha una risposta termica ritardata di circa 2 mesi mentre per le terre che circondano il bacino il ritardo è solo di 1 mese. Credo che ciò si leghi alla fornitura da parte del Mediterraneo di energia alle perturbazioni che irrompono nel bacino a fine estate (tempeste equinoziali autunnali).
Post scrittum:
Riflettendo sula questione sono giunto alla conclusione che la mia affermazione “Inoltre il ritardo di 2-3 mesi osservato da Eschenbach è probabilmente frutto degli effetti di volano stagionali, per cui ad esempio la massima termica si osserva a luglio – agosto a fronte di un massimo di radiazione solare che si raggiunge a giugno.” è sbagliata.
Se infatti si trattasse di un effetto stagionale, il massimo di correlazione si avrebbe anticipando le temperature di 1-2 mesi rispetto ala radiazione e ciò in quanto il minimo termico è a gennaio-febbraio ed il massimo termico a luglio-agosto mentre i minimi e massimi radiativi sono rispettivamente a dicembre e giugno (figura sotto).
Invece Eschenbach (come si vede dalla sua figura 2) ottiene il massimo di correlazione ritardando di 1-3 mesi le temperature rispetto al massimo radiativo al TOA. A questo punto resta aperta la domanda su cosa dia un tale effetto. E’ veramente un segnale legato alla sensibilità del clima al forcing radiativo e che si mantiene nonostante la riallocazione di energia dovuta alla circolazione? Quest’ultima ipotesi potrebbe legarsi al fatto che gli oceani hanno memoria lunga (come ben sa a chi li usa per fare previsioni stagionali) e dunque mantengono più a lungo l’impronta energetica legata al forcing.
Riferimenti bibliografici
- Hansen et al., 2011. Earth’s energy imbalance and implications, Atmos. Chem. Phys., 11, 13421–13449, 2011 (http://pubs.giss.nasa.gov/docs/2011/2011_Hansen_etal_1.pdf)
- Lindzen R.S. and Choi Y., 2009. On the determination of climate feedbacks from ERBE data, GEOPHYSICAL RESEARCH LETTERS, VOL. 36, L16705 (http://www.drroyspencer.com/Lindzen-and-Choi-GRL-2009.pdf)
- Loeb, N. G., Wielicki, B. A., Doelling, D. R., Smith, G. L., Keyes, D. F., Kato, S., Manalo-Smith, N., and Wong, T.: Toward optimal closure of the Earth’s top-of-atmosphere radiation budget, J. Climate, 22, 748–766, 2009.
- Loeb N.G., Lyman J.M., Johnson G.C., Allan R.P., Doelling D.R., Wong T., Soden B.J., Stephens G.L.. 2012. Observed changes in top-of-the-atmosphere radiation and upper-ocean heating consistent within uncertainty (Nature Geoscience Vol 5 February 2012)
- Myhre, G., E.J. Highwood, K.P. Shine, and F. Stordal, 1998. New estimates of radiative forcing due to well mixed greenhouse gases. Geophys. Res. Lett., 25, 2715-2718
- Stephens et al., 2012. An update on Earth’s energy balance in light of the latest global observations, Nature geosciences, VOL 5, October 2012. (http://www.aos.wisc.edu/~tristan/publications/2012_EBupdate_stephens_ngeo1580.pdf)
Senza nulla togliere alla validità dei commenti previ, credo utile segnalare – a memento della ricchezza di dettagli la cui influenza, prima di poterli ignorare, andrebbe ulteriormente soppesata – che la considerazione di una variabilità “estate – inverno” è un pò (scusatemi il temine mal inventato) “boreal-centrica”.
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Diamo un’occhiata alla distribuzione latitudinale delle terre emerse, vedi:
http://publishing.cdlib.org/ucpressebooks/view?docId=kt167nb66r&chunk.id=d3_2_ch02&toc.id=ch02&brand=eschol
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Se la proporzione oceani/terre emerse può influenzare l’andamento stagionale — un’ipotesi a priori non peregrina – nell’emisfero boreale abbiamo, in totale, circa il doppio di terre emerse rispetto a quello australe e – forse ancor più importante – nelle latitudini medie boreali c’è addirittura più terra che mare, mentre in quelle australi di terra emersa ne abbiamo molto poca.
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I fenomeni sottostanti sono talmente nonlineari da non poter nemmeno scartare a priori che una modifica globale – per es. una variazione dell’irraggiamento solare -possa generare evoluzioni sensibilmente difformi tra i due emisferi, rendendo non-estensibili all’altro le conclusioni raggiunte studiando solo uno dei due – nè, in seconda instanza, facilmente valutabile l’eventuale influenza della evoluzione climatica un emisfero, se difforme, sull’altro.
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In altre parole, un sistema molto, molto complicato – affermare che la sua conoscenza sia già “settled” mi pare pericolosamente arrogante.
Pienamente d’accordo. Peraltro la “forbice” fra i due emisferi è giù oggi visibile nei trend divergenti delle estensioni dei ghiacci oceanici dei due emisferi.
Riflettendo sula questione sono giunto alla conclusione che la mia affermazione “Inoltre il ritardo di 2-3 mesi osservato da Eschenbach è probabilmente frutto degli effetti di volano stagionali, per cui ad esempio la massima termica si osserva a luglio – agosto a fronte di un massimo di radiazione solare che si raggiunge a giugno.” è sbagliata.
Se infatti si trattasse di un effetto stagionale, il massimo di correlazione si avrebbe anticipando le temperature di 1-2 mesi rispetto ala radiazione e ciò in quanto il minimo termico è a gennaio-febbraio ed il massimo termico a luglio-agosto mentre i minimi e massimi radiativi sono rispettivamente a dicembre e giugno.
Invece Eschenbach (come si vede dalla sua figura 2) ottiene il massimo di correlazione ritardando di 1-3 mesi le temperature rispetto al massimo radiativo al TOA. A questo punto resta aperta la domanda su cosa dia un tale effetto. E’ veramente un segnale legato alla sensibilità del clima al forcing radiativo e che si mantiene nonostante la riallocazione di energia dovuta alla circolazione? Quest’ultima ipotesi potrebbe legarsi al fatto che gli oceani hanno memoria lunga (come ben sa a chi li usa per fare previsioni stagionali) e dunque mantengono più a lungo l’impronta energetica legata al forcing.
PS: Chiedo a Guido di mettere questo mio commento come nota in calce al post insieme ad un diagramma che esemplifica quanto da me affermato e che gli invierò a breve.
Sarà fatto Luigi.
gg
Alle perplessità di L. Mariani vorrei aggiungerne un’altra.
Dal 1880 ad oggi la temperatura media globale è aumentata di circa 0.8°C e, in tale periodo, la concentrazione di CO2 atmosferica è passata da 280/290 ppmv a 400 ppmv (110/120 ppmv) pari ad un po’ meno della metà delle 280 ppmv previste per il 2100.
Dato e non concesso che il legame tra temperatura e concentrazione di CO2 sia lineare, ne dovremmo dedurre che al raddoppio della concentrazione di CO2 si dovrebbe ottenere un raddoppio dell’incremento di temperatura registrato dal 1880 fino ad oggi ovvero 1,6°C che non è molto distante dagli 1,81°C ipotizzati dall’IPCC. Si tratta di “spannometria”, ma i numeri si trovano abbastanza. 🙂
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Se imputiamo l’aumento di temperatura globale per un 50% a fattori naturali e per la restante parte a fattori antropici (in accordo con N. Scafetta, per esempio), possiamo dire che l’aumento di CO2 ha determinato un incremento di temperatura di circa mezzo grado (0,40°C per la precisione). Estrapolando il ragionamento al 2100 dovremmo avere un aumento di temperatura di poco superiore ad 1° C.
Pur avendo operato con l’accetta e in assenza di elaborazioni numeriche su dati reali, sulla base di quanto successo in passato e su un intervallo di tempo piuttosto lungo, mi sento di dire che W. Eschenbach sia stato un po’ troppo ottimista in quanto la sensibilità climatica all’equilibrio da lui calcolata mi sembra eccessivamente bassa.
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E’ ovvio che tutte le ipotesi che ho fatto semplificano eccessivamente la questione, ma, a grandi linee, danno un’idea delle grandezze in gioco.
Per quel che riguarda la TOA non dobbiamo dimenticare, infine, che qualcuno considera questa grandezza piuttosto astratta e poco significativa in quanto non ben definita fisicamente anche se tutti i bilanci energetici fanno riferimento ad essa.
Ciao, Donato.
Donato, penso che i tuoi conteggi possano essere ragionevoli per un sistema che risponda in modo lineare ed ammettendo che a guidarlo sia CO2.
Non sono invece d’accordo nel definire TOA come “astratto e poco significativo”. Ciò in quanto TOA è fra le cose più concrete di cui disponiamo a livello fisico. Infatti a quel livello (e cioè fuori dalla zona in cui l’atmosfera interferisce) si riferisce tutta una serie di misure e/o stime che sono dei punti fissi per la nostra interpretazione del sistema climatico (costante solare, radiazione solare entrate, emissione planetaria).
Forse quando parli di astatto ti riferisci allo strato emittente?
Luigi, ieri avevo un po’ fretta (dovevo partecipare alla riunione di una commissione tecnica) per cui non avendo avuto modo, per motivi di lavoro, di sviluppare al meglio la discussione sulla TOA, ho chiuso piuttosto bruscamente il commento senza avere la possibilità di chiarire il mio pensiero, per cui alla fine è passato il messaggio che la TOA sia “…astratta e poco significativa in quanto non ben definita fisicamente…”. Mi rendo perfettamente conto che la cosa lascia perplessi, per cui è necessario chiarire meglio il mio pensiero.
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TOA significa estremità dell’atmosfera o anche parte superiore dell’atmosfera.
Cosa possiamo intendere con la locuzione “parte superiore dell’atmosfera”?
A seconda degli effetti potremmo considerare TOA la superficie a 120 km di altezza oltrepassata la quale cominciano a sentirsi gli effetti dell’atmosfera sui veicoli spaziali al rientro nell’atmosfera. Oppure la superficie di Karman posta a 100 km di altezza che rappresenta il limite oltre il quale un aereo diventa astronave. Oppure la superficie a 31 km di quota che rappresenta la frontiera che contiene il 99% dell’atmosfera terrestre. Oppure la superficie di Armstrong posta a 19 km di quota e che separa la zona dove la pressione di vapore dei fluidi corporei è maggiore di quella atmosferica e così via mano mano che si scende. E potremmo continuare.
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Tu scrivi che rappresenta la superficie che separa la zona ove gli strumenti di misura NON risentono dell’atmosfera terrestre. A seconda dello strumento che utilizziamo, però, credo che tale quota possa essere diversa per cui la sua posizione potrebbe essere “ballerina”. Detto in altri termini “parte superiore dell’atmosfera” si presta a diverse interpretazioni e in questo io vedevo il significato della parola “astratto”.
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Circa la circostanza che essa è “poco significativa” bisogna legare la proposizione con il pronome qualcuno e, in questa ottica, pensavo ai termini in cui ne ha parlato, per esempio, Tore Cocco qui su CM.
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Personalmente penso che sarebbe opportuno che gli organismi preposti definissero in modo univoco la TOA (anche convenzionalmente) in modo tale da fugare dubbi e perplessità come quelli che ho appena cercato di evidenziare. Ciao, Donato.
Caro Donato, avevo sempre considerato in modo univoco il TOA intendendolo come la cima e cioè “il livello al di sopra del quale l’interferenza del’atmosfera non si manifesta più”. Devo anche confessare che non mi erano mai venuti dubbi sulla bontà di tale definizione perché la stessa è in perfetta analogia con la definizione data al TOP del canopy layer, che è da intendere come cima della canopy e dunque cima degli edifici per le canopy urbane o cima dei vegetali per le canopy rurali.
Ti ringrazio dunque per avermi posto a conoscenza delle molte ambiguità, di cui peraltro trovo traccia qui: http://adsabs.harvard.edu/abs/2002JCli…15.3301L
Credo peraltro che se si dovesse normare il TOA a livello internazionale non si potrebbe che aderire alla definizione di cui sopra per poi eventualmente correggere misure effettuate al di sotto di tale limite convenzionale.
Come sempre, molto interessanti e ben supportati i pezzi del prof.Mariani. Avrei una domanda/osservazione in merito ai possibili processi feedback legati al ciclo idrogeologico dell’acqua sostanzialmente, e che lei ha già in parte affrontato nell’articolo riferendo dell’esistenza di valvole di sfogo naturali. In effetti, essendo il vapore acqueo un vapore, sarà soggetto a continui passaggi di fase, nel senso che una molecola di vapore atmosferico, nel giro di poco tempo torna sempre ad essere una gocciolina d’acqua, attaccandosi ad altre molecole d’acqua o al pulviscolo o a qualche superficie, in prossimità del suolo. Altre molecole d’acqua nel frattempo si trasformeranno in vapore, in un continuo ciclo ad alta frequenza di condensazione-evaporazione legato anche alla temperatura. Il dubbio quindi sul reale ruolo del vapore acqueo in merito al contributo effettivo all’aumento della temperatura (feedback positivo) mi viene anche dopo avere visionato alcuni grafici ricavati da Climate4you, nei quali in effetti non si noterebbe (se ho interpretato bene) nessun aumento medio del vapore acqueo complessivo nell’intera colonna d’aria troposferica (dati ISCCP). Completamente diversa è invece naturalmente la problematica relativa alla CO2 e agli altri gas serra, in quanto le scale temporali del ciclo sono completamente differenti. Lei cosa ne pensa? Ringrazio per l’eventuale risposta.
Gentile dottor Vomiero,
non credo di essere troppo enfatico se dico che il sistema climatico si fonda sull’acqua da cui dipende:
– il 79% dell’effetto serra planetario (di cui H2O è responsabile per il 51% come vapore e per il 24% come nubi).
– l’80% del trasferimento latitudinale dell’energia garantito dalla circolazione atmosferica (l’atmosfera ha bassissima capacità termica, per cui non sarebbe in grado di trasportare energia se non vi fossero i cambiamenti di stato dell’acqua -> passando da liquido a gassoso 1 g d’acqua assorbe 2450 J che poi libera con il processo inverso)
– il restante 20% del trasferimento latitudinale dell’energia garantito dalla circolazione oceanica.
Pertanto a mio avviso occorre diffidare dei climatologi che parlano solo di CO2 e si dimenticano di parlare di circolazione e di H2O.
Gli è poi che l’acqua non è un gas “well mixed”, nel senso che se la si spedisce in atmosfera non appena raggiunge strati più freddi condensa e ricade al suolo, per cui trattenerla in atmosfera è come tener su un ubriaco.
Peraltro i processi legati all’acqua si sviluppano su una gamma di scale vastissima (dai pori della mia mano a tutto il pianeta), per cui descrivere i fenomeni ad essa legati con strumenti matematici è a tuttoggi proibitivo. A tale riguardo ci si domanda come facciano i modelli climatici GCM, che lavorano su celle da 200×200 km o giù di lì, a descrivere in modo realistico i processi a microscala che hanno luogo nelle nubi e sui cui meccanismi conosciamo tuttora pochissimo.
Osservo infine che anch’io conosco i dati ISCCP (molto confortanti perché in effetti segnalano la totale assenza di trend nel contenuto atmosferico in acqua precipitabile).Tuttavia tali dati si fermano ad alcuni anni orsono e di nuovi non ne ho più visti, per cui inizio a temere che la fonte si sia esaurita…..
La ringrazio per la costante e cortese attenzione.
Luigi Mariani
Resta il fatto che misurare la CO2 su un vulcano attivo da decenni… che emette costantemente CO2… non so fino a che punto è corretto.
A mio parere quello della rappresentatività dei livelli di CO2 misurati a Mauna Loa è un problema minore, nel senso che CO2 come well mixed GHG diffonde rapidamente e si distribuisce in modo assai omogeneo nel nostro emisfero.
Da questo punto di vista penso che un buon elemento di giudizio sia dato da misure fatte in altre località al di fuori del Bundary Layer molto lontane da Mauna Loa (da noi in Italia al Monte Cimone ed al Plateau Rosa) che danno valori del tutto analoghi a quelli registrati a Mauna Loa, come emerge ad esempio da un post pubblicato su nel 2009 su CM da Claudio Gravina ( http://www.climatemonitor.it/?p=1667).