Il 29 luglio 2008 su Genome Biology fu pubblicato un divertente editoriale in cui si propone di misurare l’impact factor di Dio. Ebbene, il risultato è zero: infatti, Dio ha pubblicato un libro (anzi, una raccolta di libri) anziché un articolo, ha utilizzato una lingua diversa dall’inglese, non ha avuto peer-review e, soprattutto, l’esperimento non è ripetibile.
Finisce così un articolo uscito su Tempi (ripreso dall’Osservatore Romano) che affronta il tema delle frodi scientifiche e della gran quantità di ricerche che pur essendo state pubblicate sono poi soggette a ritiro perché in qualche modo viziate ove non addirittura falsificate.
Oltre ad alcuni casi davvero clamorosi, c’è tutto un sottobosco di situazioni poco edificanti che preoccupa non poco il mondo scientifico, i cui protagonisti dicono in buona percentuale di essere convinti che il problema sia reale, ma che solo in pochi (ovviamente) ammettono di esservi incappati. L’argomento è vasto e controverso e vi pesa da un lato la nascita delle cosiddette riviste scientifiche open access e dall’altro la necessità di mantenere un alto livello di penetrazione delle riviste a pagamento, cui si somma Ne hanno parlato di recente e a più riprese anche i media internazionali e questo pezzo fornisce una buona panoramica del problema. Lo trovate qui.
NB: grazie a Fabrizio Giudici per la segnalazione.
Piccola precisazione inutile: l’articolo originale è dell’Osservatore Romano, ripreso da Tempi.
Circa l’impact factor di Dio e parafrasando Lee Smolin, credo si potrebbe anche dire che “l’esperimento è tutt’ora in corso e tutti noi ne facciamo parte, scienziati compresi”