Lungi da me l’intento di fare un’invasione di campo. Tollero con molta difficoltà quelle altrui – e il cielo sa se in materia di clima e meteorologia sono all’ordine del giorno – da capire che è bene che ognuno faccia il suo mestiere.
Questo è infatti soltanto un invito alla lettura di un contributo interessante appena scritto da Roger Pielke Jr, che pure non ne sa molto di terremoti, ma ci sa fare abbastanza con i numeri. E così, lavorando proprio sui dati attualmente disponibili, si scopre che nel lungo periodo (1900-2014), i terremoti di magnitudo pari o superiore a 7 in cui rientra purtroppo quello del Nepal dei giorni scorsi, non mostrano alcun trend significativo. Se però si prendono in esame gli ultimi 25 anni (1990-2014), giusto o sbagliato che sia restringere così tanto l’analisi di eventi con elevatissima variabilità, questo genere di accadimenti pare sia in aumento.
La stessa cosa si evince dall’analisi delle perdite di vite umane, in diminuzione netta nel lungo periodo, in aumento nei tempi recenti.
Il trend positivo più recente, inoltre, è senz’altro condizionato o quantomeno influenzato dal fatto che tra il 1980 e il 1990 c’è stata, inspiegabilmente ma non è detto che debba esserci una spiegazione, una quasi assoluta assenza di eventi di forte intensità.
Tutto questo si presta a molte considerazioni, la più importante di tutte, probabilmente, è quella che in un contesto di lungo periodo in cui la resilienza tende a migliorare, sembra proprio che le dinamiche di sviluppo più recenti, in concomitanza con un casuale, ineluttabile e imprevedibile ‘risveglio’ dei movimenti tellurici più devastanti, abbiano fatto crescere l’esposizione.
Questi fenomeni sono tanto potenti quanto imprevedibili, c’è ancora molto da fare per mettersi in sicurezza. Sempre, ovviamente, nei limiti del possibile.
Nei giorni scorsi sono stato ad una conferenza sulla situazione napoletana (i due vulcani), dove appunto si è sottolineata la pericolosità (sembrerebbe maggiore, rispetto a quella del Vesuvio) del supervulcano flegreo.
Ho commentato nella mia pagina facebook.
Non essendo io un esperto di terremoti, e nemmeno un esperto di protezione civile, mi sono limitato a proporre dei pensieri, rivolti all’aspetto pratico di una popolazione che dovesse trovarsi nella fase di preallarme da terremoto a dover abbandonare la propria città.
Ho fatto alcune considerazioni a cui chiunque può aggiungere le sue, ed eventualmente correggere le mie. So infatti che ci sono persone qui con maggiori competenze in questo campo delle mie, modeste.
Ecco dunque cosa ho scritto:
Poniamo il caso che ci avvertano che sta per avvenire una eruzione del Vesuvio o del supervulcano flegreo.
Sarebbe importante riconoscere il segnale di preallarme e quello di preallarme.
1. come riconoscere questi segnali ?
2. insieme ai segnali, che dovrei già essere in grado di riconoscere, dovrei anche già sapere “dove” devo andare (compito del Comune, ma se non lo so in anticipo, sarebbe increscioso doverselo far dire sul momento)
Una volta che sia chiaro che si debba abbandonare la città mi sembra importante sapere
3. cosa devo portarmi dietro (documenti, soldi, medicinali, chiavi, acqua, viveri, un minimo di ricambi, ecc.)
può darsi che sia difficile, con tutta quella gente in fuga trovare beni di prima necessità
4. cosa posso portarmi dietro e in che quantità
(questa è una domanda da rivolgere anche a sé stessi, perché è evidente che meno ci si porta dietro, meglio è, fatte salve le cose essenziali – c’è gente che quando viaggia si porta un sacco di cose inutili, rendendosi la fuga onerosa se non compromessa)
5. caricata la macchina o quel che è (o le cose da portare addosso se non si ha nessun mezzo) controllare la benzina e le condizioni dell’auto in genere (sarebbe oltremodo antipatico doversi fermare per strada)
6. cercare di raggiungere l’autostrada.
E’ questa la parte più difficile di tutta la questione, perché Napoli si blocca per una pioggia, figuriamoci cosa succederebbe se fosse in gioco la vita delle persone… si bloccerebbe in pochi minuti.
Per evitare questo va ristudiata e rifatta l’intera rete stradale nell’ottica di sveltire l’allontanamento dalla città, evitando i blocchi. Inoltre la gente andrebbe istruita ed allenata a mettersi in ordinata, calma e spedita fuga. Niente fretta, niente ansia, niente panico, ma anche niente perdite di tempo. Se penso a quello che vedo ogni giorno nel traffico, o ai semafori, la vedo dura. E’ difficile capire che se una macchina blocca altre macchine, rischia pure di bloccare quella che blocca lei. Si chiama “deadly embrace” ed è dovuto al blocco reciproco. Meglio lasciar passare l’altro che bloccarsi entrambi. Sì, lo so, è difficile che lo capiscano tutti. Ma bisogna farglielo capire in un modo o nell’altro.
Raggiunta l’autostrada, che deve ovviamente essere lasciata libera (senza pedaggi), il più è fatto. Si sa dove si deve arrivare; si è avuto il tempo di studiarsi con calma il tragitto; basta non correre, per evitare di fare un incidente (che sarebbe drammatico per sé e per gli altri, a rischio di bloccare centinaia di persone).
Si è portato con sé un minimo di acqua e di cibo per le primissime esigenze. Non sottoporsi a stress; se si è stanchi far guidare una seconda persona, oppure fermarsi a riposare. Mantenere la calma, l’ansia non aiuta e può solo complicare o rovinare le cose. Ci si può mettere in ansia, se proprio si vuole, una volta arrivati a destinazione
Spero di non aver dimenticato niente di importante.
Se vi viene in mente qualcosa aggiungete o correggete.
Meglio un errore corretto ora che un errore durante l’eruzione.
un amico mi ha fatto notare che non avevo considerato treni, navi (e aggiungerei autobus), ma quelli sono mezzi pubblici, non mezzi privati, e il discorso si allargherebbe.
Troppo per un solo post.
a questo link:
– http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS37088#livelli –
trovi un po’ di risposte alle tue domande, sulla colonna di destra ci sono allegati molti documenti inerenti in maniera specifica vari aspetti della questione;
e sì, l’apparato vulcanico dei Campi Flegrei (inserito nella lista dei cosiddetti SUPERVULCANI), è decisamente molto più pericoloso del vicino Vesuvio, stando alla sua storia passata (può sembrare strano, data la vicinanza, ma i due sistemi non sono direttamente riconducibili ad un’unica origine, e sono indipendenti l’uno dall’altro);
mah;
considerando che la scala Richter delle magnitudo sismiche è stata sviluppata nel 1935, la definizione della magnitudo dei terremoti precedenti a quella data (anzi a qualche tempo dopo, quando l’unità di misura fu adottata estesamente per i sismi di tutto il mondo e non solo quelli californiani), si basa solo ed esclusivamente su dati indiretti NON MISURATI, derivanti dalle testimonianze storiche, archeologiche e/o geologico-geomorfologiche; quindi mi sento nel pieno diritto di dire che un’analisi statistica di questo tipo non ha nessun valore né significato;
😀
@Max
Questo articolo è uscito a gennaio: http://lithosphere.gsapubs.org/content/early/2015/03/12/L407.1
Di che si tratta?
gg
in breve (si fa per dire):
la faglia all’origine del terremoto dei gg scorsi in nepal in realtà è un sistema di faglie, molto estese in lunghezza, molto complesso; ora, le analisi geofisiche hanno da tempo identificato un settore, di questo sistema di faglie, esteso per circa 700 km, lungo il fronte di scontro tra la placca euroasiastia a nord e quella indiana a sud, che pare da almeno 2-5 secoli non sia stato all’origine di sismi, ovvero non sia stato interessato dalle rotture lungo i piani di faglia all’origine dei terremoti;
un anno fa, il periodo a cui risale lo studio che tu hai menzionato, poi publicato a gennaio 2015, le conclusioni (ovvie) dei ricercatori sono state: “Questo quiescenza sismica prolungata ha portato alla conclusione che questa regione, con una popolazione > 10 milioni, è in ritardo per un grande terremoto.”
E il terremoto è arrivato;
Oggi, altri gruppi di ricerca sostengono, pur ammettendo che il funzionamento di questi sistemi di faglia è ancore molto poco compreso, che, un po’ come quando si comincia a strappare un pezzo di stoffa, gli stress tensionali si trasferiscono sui lembi rimanenti di stoffa non ancora strappati, da qui la conclusione, per alcuni, che è lecito aspettarsi un nuovo forte sisma lungo la stessa direttrice tettonica, in questo caso più a ovest, in corrispondenza della regione dell’ Uttarakhand; esattamente dove e quando però, non è possibile prevederlo;
–
https://www.sciencenews.org/article/stronger-quakes-could-strike-other-segments-nepal-fault
–
la zona “ad alto rischio prossimo” di cui sopra è stata identificata correlando l’osservazione dei dati geomorfologici, la misura dei tassi di erosione (notevolmente più elevati rispetto al resto della regione) nei bacini idrografici in esame, e l’identificazione di elementi del territorio quali la evidente rottura di pendenza, elementi tutti che concorrono ad ipotizzare uno scollamento crostale profondo alla base del fronte di collisione che, in superficie, determina questi tassi di sollevamento e di erosione osservati;
vabbè, oggi sono dislessico:
placca euroasiatica 😀
Grazie Max.
gg
ecco:
purtroppo le previsioni sisono avverate quanto mai presto:
– http://earthquake.usgs.gov/earthquakes/eventpage/us20002ejl#general_summary –
– http://www.bbc.com/news/world-asia-32701385?OCID=fbasia&ocid=socialflow_facebook –
Nepal earthquake, magnitude 7.4, strikes near Everest
……………………….
Potrei concordare in termini assoluti, solo che il tempo di ritorno è un parametro riferito ad un dato sito. Qui si fa un discorso globale (quest’aggettivo cerco sempre di evitarlo, ma ‘sta volta l’ho dovuto citare…)
Da un punto di vista statistico i tempi di ritorno di terremoti di forte intensità sono molto alti per cui limitare la lunghezza delle serie di dati significa voler sbagliare l’analisi 🙂 .
Personalmente ritengo il periodo ultrasecolare (1900/2014) significativo, del tutto privo di significato quello ultradecennale (1990/2014), del tutto privo di senso quello decennale (1980/1990).
Ciao, Donato.