Ho trovato questa ultima fatica di Franco Zavatti veramente interessante e illuminante, specie nella sua parte terminale. Si dimostra infatti come, anche solo analizzando pochi dati disponibili, salti immediatamente all’occhio l’impronta di una variabilità naturale quanto mai dinamica e importante. Dove possano essere stati impegnati a guardare tutti quelli che l’anno sin qui giudicata ininfluente continua a restare un mistero.
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Continuando a cercare altre informazioni per integrare quanto avevo scritto dell’Islanda e della sua SST su CM qui, ho visitato il blog Hide the Decline che analizza criticamente il modo di trattare i dati climatologici. Qui vengono analizzate le temperature di alcune stazioini islandesi e si mostra che negli ultimi anni le temperature disponibili al KNMI (Servizio Meteo Olandese) per Reykjavik presentano un salto improvviso, non presente nei dati originali e in altri dataset.
Partendo da qui, ho “esplorato” un po’ il sito del Servizio Meteo Islandese dove ho scoperto (nella sezione /climatology/data/) l’esistenza delle serie più lunghe disponibili in Islanda e, tra loro, delle due serie delle stazioni di Stykkishólmur (dal 1823) e di Teigarhorn (dal 1873). Le altre serie (lunghe) iniziano nel 1931 e mi sono sembrate troppo recenti per un possibile confronto con i dati di Jiang et al., 2015 (v. il post su CM citato sopra). Delle due serie sono disponibili le temperature medie mensili e le medie annuali fino al 1999 e delle stesse due stazioni esistono, su file separati e apparentemente non comunicanti, dati che, sbagliando, potrei definire “recenti” in quanto terminano in un caso oggi (febbraio 2015) e nell’altro nel 2008 (con dati sparsi per il 2009).
Con lo stesso criterio sbagliato potrei definire le serie più vecchie “storiche”. Per distinguere i due gruppi di dati userò, nei nomi dei file, l’iniziale maiuscola (S e T) per le serie “storiche” e la minuscola (s e t) pe le “recenti”.
Le due serie “recenti” non sono uguali: stykkishólmur.txt parte dal 1949 e, senza interruzioni, arriva a febbraio 2015. teigarhorn.txt inizia nel 1937, ha un “buco” di tre anni (1947.49) e 3 mesi (12/1996, 01/1997, 08/2008) mancanti che ho sostituito con i corrispondenti mesi di stykkihólmur (e spero che la giustificazione sia evidente più avanti). Intanto, in fig.1 localizzo le due stazioni usate, notando che non sono molto vicine alla località del settore nord-est (circa il segno arancio) dove è stata estratta la carota usata da Jiang et al., 2015.
I dati delle serie “storiche” (notare la maiuscola iniziale nei nomi) sono mostrati in fig.2 (pdf) come temperature medie annuali. Accanto a molte e ben visibili differenze, si nota una notevole concordanza nell’andamento complessivo delle serie, concordanza che mi ha permesso di sostituire nelle serie “recenti” i 3 mesi mancanti in un dataset con i valori corrispondenti dell’altro dataset (3 valori su 708 complessivi).
Dalla Fig.2 appare una situazione a due facce: una parte iniziale di circa un secolo con grandi oscillazioni, fino a 3°C nel giro di 2-3 anni, ma con una media annuale stabile a circa 3°C. Si notano anche deboli oscillazioni di bassa frequenza, con massimi attorno al 1845 e al 1910 e un minimo tra il 1870 e il 1880, mascherate dall’ampia variabilità. Poi un aumento di temperatura, di circa 2.5°C nell’arco dei 10 anni centrati nel 1925, una quasi costanza (o debole diminuzione) per i 35-37 anni successivi; forti oscillazioni tra il 1962 e il 1982 e ancora una quasi costanza (o leggera risalita) tra il 1982-83 e il 1999 (fine serie). Nel suo complesso, il periodo 1925-1999 mostra una discesa delle temperature. Da notare che il “salto” (o break point) del 1925 avviene in entrambe le serie e quindi in stazioni diametralmente opposte dell’isola. Pertanto non può essere considerato un fenomeno locale o della singola stazione meteo.
Il confronto con le temperature marine superficiali (SST) ricavate da Jiang et al., 2015 non mostra nulla di particolare se non un’attesa, minore variabilità delle temperature marine. Questo confronto, della durata di circa 50 anni, si vede nella fig.3 (pdf).
Da questo momento decido di passare da temperature ad anomalie anche se uno dei vantaggi delle anomalie – l’eliminazione delle fluttuazioni stagionali – qui non si applica perché uso solo le medie annuali.
Calcolo quindi le medie dei singoli mesi nei 30 anni dal 1961 al 1990 (i file con estensione .ave nel sito di supporto), sottraggo dai valori mensili la media corrispondente e ricavo l’anomalia media annuale.
Questi dati sono in fig.4 (pdf) insieme ai fit lineari delle due parti della serie Stykkishólmur (fino al – dopo il 1925). Anche i valori numerici mostrano che la pendenza è praticamente zero nella prima parte e significativamente negativa nella seconda.
Ho cercato in letteratura qualche evento, geotermico data la natura dell’Islanda, che avesse potuto innescare e mantenere per 10 anni l’aumento di temperatura ma non ho trovato nulla. Il passo successivo è stato quello di estendere le serie con i dati “recenti” di stykkihólmur e teigarhorn (notare le iniziali minuscole) trasformati in anomalie.
La fig.5 (pdf) mostra questi dati, i fit di fig.4 e i fit calcolati a partire dal nuovo break-point individuato nel 2001.
I fit della zona più a destra del grafico mostrano pendenze sia positive (i dati più estesi) sia negative; anche il fit calcolato dal 2002 ha pendenza positiva (in basso a destra) ma i tre valori sono caratterizzati da incertezza relativa superiore al 100%, il che rende lo zero il valore più probabile (pausa della crescita delle temperature dal 2001).
Il 2001 definisce il punto intermedio di un aumento di temperatura di poco meno di 2°C in circa 5 anni e costituisce il secondo salto significativo nella storia di queste temperature. Ovviamente questa “storia” è molto ricca di variazioni rapide ma tutte terminano col riportare i valori finali ai valori medi precedenti, tranne quelle del 1925 e del 2001.
Con due break-point nella serie ho pensato che le modulazioni della temperatura non fossero causate da eventi geotermici e ho cercato le oscillazioni atlantiche. In fig.6 (pdf) mostro le temperature insieme all’indice AMO (Oscillazione Multidecadale Atlantica) e all’inverso della NAO (Oscillazione Nord Atlantica), entrambe scalate come indicato nelle didascalie del grafico.
Mi sembra che, ancora una volta, il “respiro” naturale del nostro pianeta dia conto piuttosto bene di quanto si osserva, senza tirare in ballo distruttive attività umane (e cattivissima CO2) che pure, in qualche misura, devono essere presenti e registrate nei dati.
Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui |
Bibliografia
- H. Jiang, R. Muscheler, S. Björck, M.-S. Seide J. Sjolte, J. Eiríksson, L. Ran, K.-L. Knudsen, and M.F. Knudsen: Solar forcing of Holocene summer sea-surface temperatures in the northern North Atlantic , Geology, 43,(3), 203-206, 2015, doi:10.1130/G36377.1
Analizzando i dati delle stazioni meteorologiche islandesi F. Zavatti aveva due possibilità: considerare una retta interpolatrice unica dal 1820 al 2012 o, come ha fatto, individuare dei tratti caratterizzati da pendenze dei fit lineari più o meno costanti inframezzate da punti di salto. Personalmente concordo con la sua scelta, ma non voglio rinunciare neanche alla prima possibilità. Detto in altre parole, ho l’impressione che ci troviamo di fronte ad una tendenza crescente delle temperature misurate che, però, non è costante, ma varia nel tempo: una scala con diversi pianerottoli intermedi.
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Non faccio fatica ad ammettere che ciò che più mi affascina in tutto il discorso sono proprio i gradini che vengono a formarsi tra i vari pianerottoli. I grafici elaborati da F. Zavatti evidenziano delle lunghe fasi di equilibrio separate da repentini e forti cambiamenti. Ho l’impressione di trovarmi di fronte ai salti di un sistema caotico da uno stato di equilibrio ad un altro diverso dal precedente. La cosa interessante, secondo me, è che in circa duecento anni non siamo mai più tornati a quelle che erano le condizioni di equilibrio iniziali. Questo potrebbe significare che il sistema climatico sta evolvendo verso condizioni di equilibrio diverse da quelle originarie o che ci troviamo di fronte ad oscillazioni multisecolari di cui stiamo vivendo la fase ascendente al termine della quale ci avvieremo verso una fase discendente. La prima spiegazione (evoluzione del sistema verso una nuova condizione di equilibrio) è quella più inquietante in quanto la nuova condizione di equilibrio potrebbe non essere stabile o indice di condizioni climatiche poco piacevoli. Considerando le vicende paleo-climatiche del nostro pianeta, personalmente, reputo più probabile la seconda spiegazione (fase ascendente di un ciclo plurisecolare).
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Per quel che riguarda il legame tra le temperature, l’AMO e la NAO credo che esso giustifichi le variazioni a medio e breve periodo (fino a 60 anni), ma non il trend pluri-secolare.
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Molto interessante, infine, l’ipotesi avanzata da L. Mariani circa le condizioni di innevamento intorno alle stazioni, modulate dal forcing atmosferico a macroscala. Meriterebbe, però, una verifica.
Ciao, Donato.
Non sono sicuro di aver capito bene il senso del commento: certamente è
ragionevole pensare che la mancanza di innevamento in aree che fossero
rimaste a lungo innevate costituisca un feedback positivo, comunque innescato
dalle oscillazioni atlantiche e, semmai, in grado di amplificarle.
Ma, da una veloce occhiata ai dati mensili (di Stykkisholmer: Teigarhorn si
comporta allo stesso modo), vedo che i mesi di giugno, luglio e agosto non
hanno mai (o quasi mai) temperature inferiori ai 6C e le
due stazioni sono sul mare (la seconda nella zona dei fiordi) in zone dove
le correnti calde predominano (dalla fig.3 si vede che le temperature marine
sono circa 3-4C più alte di quelle dell’aria).
Mi aspetto quindi che entrambe le stazioni non siano state “a lungo
innevate”, intendendo con “a lungo” almeno i 100 anni di temperatura media
piatta.
Certo, durante quei picchi negativi che portano la temperatura media annuale
a calare di circa 3C (tra il 1860 e il 1893; penserei a eruzioni vulcaniche)
l’innevamento sarà stato presente per tutto l’anno, ma nei circa 20 anni
precedenti l’inizio della salita centrata nel 1925, la temperatura si è
stabilizzata sulla media di circa 3C, con temperature estive dell’ordine di
10C e quindi con innevamento ridotto o del tutto assente in estate.
Devo confessare di non aver guardato i dati di innevamento delle due
stazioni e ribadire che molto probabilmente sono io a non aver capito
cosa intendesse davvero il prof. Mariani, e di questo mi scuso.
Franco
Guardando in http://www.climate4you.com/ alla voce di menu “polar temperature” il primo diagramma dall’alto presenta i dati hadCRUT4 dal 1900 a oggi per la fascia latitudinale fra 70 e 90°N. Tale serie mi pare del tutto coerente con quelle islandesi presentate, il che farebbe propendere per la buona qualità dei dati islandesi.
Tuttavia a me sorge il sospetto che l’aumento di temperatura centrato sul 1925 e quello centrato sul 1990 possano essere effetti di un feedback positivo che amplifica i dati AMO e NAO, e mi spiego. Se nelle condizioni precedenti le stazioni erano in aree a lungo innevate le temperature erano per forza più basse. Scomparsa la neve per effetto del forcing circolatorio atmosferico e oceanico a macroscala, le temperature di stazione aumentano in modo rapido. In tal caso si porrebbe un problema di scala, nel senso che le stazioni sarebbero influenzate da effetti a microscala legati all’innevamento e che amplificano il segnale sinottico.
Per inciso il sospetto di cui sopra mi è stato istillato anni fa’ dallo stesso Ole Humlum (gestore di Climate4you) quando lo interpellai circa le ragioni di un aumento rapido delle temperature segnalate da una stazione aeroportuale alle Svalbard. In quel caso Humlum mi segnalò che il balzo termico era dovuto alla minor durata dell’innevamento.