La zona di convergenza intertropicale (ITCZ) è quella fascia compresa tra i tropici dove l’incontro degli Alisei di entrambi gli emisferi generano una persistente attività temporalesca che ha il compito di trasportare il calore verso l’alto in quell’area del pianeta dove il trasporto di energia è devoluto interamente alla convezione. E’ una fascia che subisce delle oscillazioni latitudinali con l’alternarsi delle stagioni, oscillazioni che la portano nella direzione dell’emisfero soggetto a riscaldamento.
Dalla convezione, ovviamente, scaturiscono intense precipitazioni, scandendo letteralmente le fortune delle aree ad esse soggette. Tra queste aree, le zone monsoniche del continente indiano e l’Australia. Due aree appartenenti a diversi emisferi, quindi, a livello intuitivo, anche soggette a variazioni della piovosità direttamente ascrivibili ai movimenti lungo la latitudine della ITCZ,
Un gruppo di ricercatori, tra cui anche Willie Soon, noto alle cronache climatiche degli ultimi tempi per aver commesso l’imperdonabile errore di accettare finanziamenti per la sua ricerca dai soggetti sbagliati (pecunia non olet solo se sostenibile, ultimamente), ha deciso di investigare sulle oscillazioni della ITCZ durante il lungo periodo di raffreddamento noto come la Piccola Età Glaciale (circa 1400-1850). A livello intuitivo, una fase climaticamente fredda, come quella della PEG, avrebbe dovuto essere caratterizzata da una ITCZ bassa di latitudine, cui avrebbe dovuto corrispondere una diminuzione dell’intensità del Monsone estivo indiano ed una accentuazione del Monsone estivo in Australia. I dati di prossimità analizzati dallo studio di cui stiamo parlando oggi, mostrano in realtà qualcosa di diverso, ovvero più che altro una contrazione spaziale della ITCZ, tracciabile nella simultanea diminuzione della piovosità tanto nelle aree del Monsone indiano quanto in quelle del Monsone australiano.
Dynamics of the intertropical convergence zone over the western Pacific during the Little Ice Age
Della PEG, tuttavia, nonostante la sua esistenza e dimensione globale sia stata spesso oggetto di discussione, si sa che arrivò per effetto di un prolungato periodo di attività solare molto bassa, di cui si ha traccia nelle serie storiche delle macchie solari, cui si sono sommati brevi periodi con ulteriore contributo al raffreddamento di una intensa attività vulcanica.
Le contrazioni della ITCZ, le variazioni della piovosità da essa indotte, quindi, porterebbero la firma dell’attività solare, che una volta di più torna ad essere protagonista della scena climatica, una scena da cui sarebbe inspiegabilmente uscita solo nelle ultime decadi del secolo scorso, quando, pur essendo molto sostenuta, non avrebbe avuto alcun ruolo nel repentino aumento delle temperature superficiali globali. Strano soggetto il nostro Sole, e strano il suo modo di influenzare il clima. Guarda il caso, quando l’attività solare è tornata a scendere, la temperatura media globale ha smesso di aumentare. Ma questo ditelo piano, altrimenti la CO2 se ne potrebbe accorgere.
é record! L’ITCZ dal 1989 non è mai stata così bassa in seconda decade di Aprile:
lat,lon
11.6,-15
10.3,-10
10.1,-5
10.3,-0
10.1,5
9.4,10
10.1,15
9.6,20
10.0,25
9.8,30
10.1,35
Se meno attività solare comporta meno energia ai tropici penso naturale dedurne che le due celle di Hadley si indeboliscano e che dunque l’ITCZ si indebolisca anch’essa.
Peraltro questo potrebbe essere il feedback che vanno da tempo cercando i sostenitori della teoria solare. Ovviamente il problema per accreditare un tale feedback sta nel trovare il meccanismo che trasforma la causa (meno di 1 W m-2 di calo nell’energia media annua in arrivo dalla nostra stella rispetto ai valori attuali, secondo la figura 3 del’articolo) nell’effetto (comportamento di ITCZ).
Buondì… Chissà se nei prossimi decenni si sentiranno gli effetti di questo ciclo solare e (secondo le previsioni) del prossimo. Anche se si abbasseranno le T mi sa che diranno che è merito della riduzione (anche se non ci sarà) della Co2
Si dirà che è colpa (non merito, colpa!) degli aerosol, del carbone bruciato che emette sia tanto sporco che tanta CO2, delle eruzioni vulcaniche (quelle che fino a 10 anni fa non influivano perché troppo piccole, ed oggi sono tra le indiziate per la stasi del GW), di feedback imprevisti, del vapore acqueo, dell’AMO e della PDO, della casuale variabilità naturale, e forse sottovoce anche dell’attività solare. E comunque si dirà che la diminuzione delle temperature è minima, e si troverà qualche algoritmo che corregge i dati delle stazioni a terra al rialzo, e copre di “macchie calde” le zone non battute (Africa centrale, Artide ed Antartide, oceani).