E se vi dicessi che la pioggia non viene dall’alto mandereste a chiamare la croce verde? Probabile, ma magari prima di farlo vorrete dare un’occhiata all’argomento di oggi.
Si parla di precipitazioni, ovviamente, ma con attenzione particolare al contributo dello stato del suolo, ovvero dell’umidità in esso contenuta. L’argomento è controverso ed è stato spesso fonte di dibattito e di visioni diverse, anche espresse nella letteratura scientifica.
Sull’ultimo numero di Nature è però uscito un lavoro che potrebbe finalmente aiutare a dirimere la questione: piove più facilmente dove è già piovuto oppure no? La verità, come sempre accade, è nel mezzo.
Reconciling spatial and temporal soil moisture effects on afternoon rainfall
La formazione di nubi e quindi l’occorrenza di pioggia – se di origine termo-convettiva, ovvero essenzialmente innescata dal riscaldamento diurno e quindi relativa alle stagioni con elevata energia termica in gioco – è generalmente più probabile in ambiente umido reso tale anche dal contributo del suolo, magari per precedente accumulo di precipitazioni. Ma dall’analisi dei dati di eventi di pioggia e stato del suolo condotta in questo studio, risulta che pur essendo confermato questo principio generale, le precipitazioni avvengono poi nelle zone con umidità del suolo eterogenea, cioè umidità disponibile generalmente alta ma con aree più secche, perché queste sono più facilmente soggette al riscaldamento e quindi al sollevamento necessario perché si inneschino i processi convettivi.
Per cui da un punto di vista temporale, la pioggia segue quella già avvenuta, ma dal punto di vista spaziale tende a prediligere aree dove non è piovuto o dove comunque il suolo contiene meno umidità. La combinazione spazio-temporale restituisce un’immagine di precipitazioni pomeridiane termo-convettive facilitate da eventi recenti ma più probabili dove questi hanno lasciato meno umidità al suolo.
Su tutte queste valutazioni, tuttavia, pesa come un macigno il tema della misura dello stato del suolo, che è difficilissima da misurare. Un tema con cui mio malgrado mi sono confrontato – non senza clamorosi insuccessi – nel tentativo di valutare l’ora di innesco dei primi moti convettivi nelle giornate estive. Sono certo che tra i lettori di CM c’è ne è almeno uno che sa di cosa parlo ;-).
NB: qui il commento al paper di Science Daily.
Il piovasco o temporale termo-convettivo è di grande interesse per ogni pilota di aliante che, volando sempre a pochi minuti da un atterraggio forzato, gioca con l’atmosfera una continua “partita a scacchi” — ogni mossa vincente lo porta avanti di qualche chilometro, anche per centinaia di chilometri (tremila il record!) ma se perde la partita finisce per terra.
.
In giornate normali, ogni precipitazione pomeridiana inizia con una corrente ascendente che parte dal terreno scaldato dal sole.
.
In base alla mia esperienza personale, due sono gli aspetti principali da tenere presente, dei quali uno sembra ignorato nell’articolo — ma lo dico sottovoce, con l’atteggiamento di un pescatore che, per quanto conosca bene il mare, sa che non sarà mai un oceanografo!
.
Partiamo, seguendo l’articolo, dalle caratteristiche del terreno.
.
Qui, secondo me, l’umidità gioca un ruolo modesto, perché per esperienza posso affermare che una zona umida tende a richiedere molto più tempo per scaldarsi e per far partire una corrente ascendente — tanto è così che durante le competizioni di volo a vela memorizziamo le zone di pioggia del giorno precedente. per evitarle con cura il giorno successivo.
.
Molto più importante è la natura del terreno in termini di assorbimento della radiazione solare e della sua diffusività termica, che dipende a sua volta dal calore specifico del materiale (cresce molto con l’umidità) e dalla sua conducibilità termica: da questi parametri dipende la temperatura superficiale del terreno e la sua capacità di trasmettere calore all’aria. A mio parere un terreno umido, scaldandosi più lentamente, “bucherà” l’inversione notturna ben più tardi, spesso non riuscendoci.
.
Ma l’articolo non sembra considerare un’altro aspetto importante.
.
Per generare un piovasco o temporale è fondamentale l’energia ricavata dalla condensazione nelle nuvole e a tal fine un “pescatore” atmosferico come il sottoscritto, scusandosi per la terminologia approssimativa, osserverà sul diagramma termodinamico l’umidità già presente in quota tra i 4 e i 6mila metri, fondamentale per innescare un temporale.
.
Anche in presenza di una forte instabilità, spesso l’umidità necessaria a quelle quote è insufficiente, ma può essere accumulata in impulsi successivi con le correnti ascendenti più umide che partono da terra.
.
Questa accumulazione è facilitata o frustrata del vento in quota e con il tempo il volovelista impara ad osservare il diagramma termodinamico ed il profilo verticale del vento per farsi un’idea assai affidabile sulla probabilità di piovaschi e temporali pomeridiani.
.
Ritengo che collegare le caratteristiche di umidità del terreno alla probabilità di precipitazioni pomeridiane senza considerare questo meccanismo molto variabile di accumulazione attorno ai 500 mb possa portare a risultati statisticamente deboli — ma potrei sbagliarmi!
.
Un caro saluto da 😉