CM (qui) ha descritto i risultati di un lavoro (Jiang et al., 2015: nel corso del post mi succederà di identificare con la sigla j2015 sia questo lavoro che il file di dati pubblicato nell’articolo) che ha studiato l’influenza solare nell’Olocene nell’Atlantico del nord, partendo da carote di foraminiferi (diatomee) estratte a nord dell’Islanda, sul NIS (Piattaforma Nord Islandese o North Icelandic Shelf). Il NIS è, al tempo attuale, la zona di confine tra le masse d’acqua superficiale Polare e Atlantica, definite dalla corrente di Irminger (più calda e salata) e dalle correnti groenlandese e islandese (fredde), vedere Fig.1 a lato. Data la zona particolare si pensa che che anche piccoli cambiamenti nella circolazione marina possano essere registrati nei sedimenti e che le cause di queste modifiche possano essere dedotte dall’analisi delle carote.
Incidentalmente, circa due anni fa, Donato Barone su CM (qui) ha descritto un articolo di argomento simile e del quale uno degli autori è presente anche in questo lavoro.
La fig.1 a lato è la fig.1 di j2015 il cui abstract è qui. Il lavoro ne riprende un altro precedente (Jiang et al., 2005, citato qui anche come j2005) e lo estende al 9300 BP (Before Present=1950), proponendosi di verificare la relazione tra temperatura marina (SST) e attività solare trovata in j2005. Gli autori rendono disponibili i dati di temperatura che ho graficato in fig.2 a) (pdf), mentre in basso, b), riporto la spaziatura (backward, cioè x(i+1)-x(i)) tra due dati successivi. Le caratteristiche, riportate nella didascalia di fig.2, spiegano perchè la curva marrone appare dettagliata nella parte destra della figura e molto smussata nella parte sinistra (7-9 kyr BP).
Come sottolineato anche dagli autori, le temperature estive mostrano alcuni aspetti interessanti che cercherò di evidenziare, basandomi sulla più leggibile curva smussata, in marrone.
All’inizio (da sinistra), un periodo di mille anni, mediamente costante o in leggero calo, termina bruscamente con un’impennata della temperatura di circa 1.7 °C nel giro di 1-2 secoli e una serie di oscillazioni che portano, nel 7600 BP, il valore medio ad un massimo di circa 1°C più alto del valore medio precedente. Dal momento del massimo e fino ai giorni nostri (1950) si vede una diminuzione della temperatura (qui parliamo semnpre e solo di quella estiva) ininterrotta, anche se con accelerazioni e stazionarietà,e caratterizzata da oscillazioni con ampiezza di 0.1-0.2 °C e periodi di centinaia di anni (fino a mille).
Dal 5000 al 1000 BP la temperatura è quasi stazionaria con una diminuzione lenta, mediamente di 0.6-0.7 °C in 4000 anni o 15-17 millesimi di grado per decade.
Questo periodo (che, ricordiamolo, va dal 3000 a.C. al 1000 d.C.) vede la nascita di tutte le civiltà umane e la loro evoluzione, mentre si pensa che i mille anni precedenti -dal 4000 al 3000 a.C., all’uscita dal massimo di temperatura- abbiano visto la nascita della città come istituzione e la transizione dalla società egalitaria alla società complessa, caratterizzata dalla specializzazione (funzionari, sacerdoti, soldati, agricoltori, allevatori, scriba) e dalla stratificazione sociale (ricavabile dai diversi corredi funerari, ad esempio).
Devo confessare che leggere nelle diatomee dell’Atlantico a nord dell’Islanda una storia -approssimata quanto si vuole- almeno emisferica mi dà una strana e bella sensazione e rafforza in me la convinzione che le forze della natura sono davvero potenti e che difficilmente eventi, tutto sommato istantanei, come la tecnologia umana, possano provocare più che una leggera intaccatura nella loro evoluzione.
E non è finita: nella parte destra di fig.2 a), dopo 1 kyr BP (950 d.C.), si nota un altro salto improvviso (un break point) che si può vedere ingrandito nella fig.3 (pdf).
Questo “zoom” mostra il passaggio (attorno al 1315 d.C.) dal Periodo Caldo Medievale (PCM o MWP in inglese) alla Piccola Età Glaciale(PEG o LIA).
Tornando brevemente al massimo di temperatura attorno all’8000 BP, gli autori scrivono quanto segue, ancora, dico io, per sottolineare che il concetto di “unprecedented” deve essere assunto con cautela:
“Our data suggest that the highest summer SSTs during the Holocene Climate Optimum on the NIS were ~2-3 °C higher than the present day, and they are similar to the modern summer SSTs south and southwest of Iceland. Even the cold interval at 8250-8150 cal. yr B.P. exhibits a reconstructed summer SST close to the modern value on the NIS.” “I nostri dati suggeriscono che le più alte temperature marine estive durante l’Ottimo Climatico dell’Olocene sul NIS fossero 2-3 °C più alte di oggi e simili alle moderne SST estive a sud e a sud ovest dell’Islanda. Anche l’intervallo freddo a 8250-8150 BP mostra una SST estiva ricostruita vicina al valore moderno sul NIS2” |
Influenza solare
L’influenza solare sulle temperature marine estive della parte settentrionale del Nord Atlantico è l’argomento principale di j2015 che, già nell’introduzione, afferma
“Una relazione positiva significativa tra le SST estive da diatomee sul NIS e l’irraggiamento solare ricostruito da 14C e 10Be è stata dimostrata per i 1200 anni passati (Jiang et al, 2005). Questo è in accordo con i dati magnetici da sedimenti del core vicino MD99-2269 che mostra una serie di periodicità a ~200, 125 e 88 anni associate alla variabilità solare”. |
La parola che mi interessa mettere in evidenza è “positiva” perché, più avanti nel testo, si dice che sono stati calcolati i coefficienti di correlazione tra le SST e l’attività solare e (sottolineatura mia) “I risultati mostrano una robusta correlazione negativa tra SST e attività solare negli ultimi 4000 anni”. Questo è un punto importante e andrà discusso. Per ora noto che in j2005 per “attività solare” si è inteso il soleggiamento al sostizio d’estate e a 67° di latitudine (al Circolo Polare), derivato dai dati di irraggiamento di Bard et al., 2000 e che questi dati (cioè questa “attività solare”) non sembrano essere cambiati nel 2015, anche se non vengono citati nè Bard et al.,2000 nè Steinhilber et al., 2009 che nel frattempo ha prodotto l’irraggiamneto solare totale (TSI) esteso fino al 9312 BP.
Io qui, per il confronto SST-Sole, uso questi ultimi dati dei quali avevo calcolato e mostrato lo spettro nell’aprile 2013, su CM (qui).
In fig.4 (pdf) riporto i dati di Steinhilber et al, 2009, forniti come anomalie. Per lo spettro di questi dati faccio riferimento al post su CM appena citato o a grafico e dati nel sito di supporto.
Intanto elenco i periodi spettrali (in anni) ricordati a vario titolo in j2015: ~200, 175, 125, 110, 98, 88, 86, 76, 72.
I dataset j2015 e j2005 sono a passo variabile e questo obbliga a calcolare gli spettri con il metodo di Lomb oppure a interpolarli e ricavare serie a passo costante. Ho preferito usare Lomb che, però, richiede dati detrended che ho ricavato da un polinomio di 3.o grado, come nella fig.5.
Lo spettro calcolato nel modo descritto è mostrato in fig.6 per i periodi più lunghi e in fig.7 per quelli medi e brevi. Gli spettri sono annotati, in vari colori, con i periodi di cui ho fatto l’elenco sopra, con i periodi della TSI e con quelli ricavati dalle macchie solari (SSN).
La conclusione che si può derivare dagli spettri è che i segnali solari sono numerosi e visibili a vari livelli di importanza e che l’influenza (il forcing) solare sulle SST nord atlantiche estive è indiscutibile.
Lo stretto rapporto tra Sole e temperatura è confermato anche dal confronto tra TSI (opportunamente scalata) e j2015 visibile in fig.8 (pdf).
Dal quadro in alto sembra essere presente una differenza sistematica e così nel quadro in basso mostro la TSI spostata di 500 anni, con l’unico scopo di favorire il confronto. La relazione appare evidente soprattutto nella struttura generale, nella pendenza sistematica. Però -è sufficiente un cofronto con la fig.4- la fig.8 ci dice che la relazione è inversa (negativa); le temperature marine estive diminuiscono quando l’attività solare (l’irraggiamento) aumenta. Viene quindi confermata l’affermazione degli autori citata in precedenza, anzi è valida non più “agli ultimi 4000 anni” ma agli ultimi 9300.
In j2015 non si ritiene di dover commentare il cambiamento di segno della correlazione SST-TSI tra il positivo degli ultimi 1200 anni (j2005) e il negativo degli ultimi 4000 (j2015). Nella fig.9 (pdf) mostro le temperature (estive e invernali) j2005 insieme ai valori TSI scalati: diretti nel quadro a) e rovesciati in b). I dati coprono un intervallo di 2000 anni BP ma gli autori fanno riferimento al “1200 anni passati” e quindi alla riga gialla nella figura. Si vede abbastanza chiaramente che rovesciare la TSI non cambia in modo significativo la bontà della correlazione (nell’intervallo 0-1.2 kyr) e che, quindi, l’affermazione fatta in j2005 e ribadita in j2015 non è giustificata dai dati.
Credo che la correlazione negativa ricavata da j2015 possa essere usata senza problemi anche nei dati fino a 1200 anni BP di j2005.
Tutte le elaborazioni di j2015 sono state ripetute per j2005 e sono mostrate nel sito di supporto.
Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui |
Bibliografia
- Bard, E., Raisbeck, G., Yiou, F., and Jouzel, J., 2000, Solar irradiance during the last 1200 years based on cosmogenic nuclides: Tellus, v. 52B, p. 985-992.
- H. Jiang, J. Eiríksson, M.Schulz, K.-L. Knudsen, M.-S. Seidenkrantz: Evidence for solar forcing of sea-surface temperature on the North Icelandic Shelf during the late Holocene , Geology, 33,(1), 73-76, 2005 doi:10.1130/G21130.1
- H. Jiang, R. Muscheler, S. Björck, M.-S. Seide J. Sjolte, J. Eiríksson, L. Ran, K.-L. Knudsen, and M.F. Knudsen: Solar forcing of Holocene summer sea-surface temperatures in the northern North Atlantic , Geology, 43,(3), 203-206, 2015 doi:10.1130/G36377.1
- Steinhilber, F., J. Beer, and C. Fröhlich. Total solar irradiance during the Holocene. Geophys. Res. Lett., 36, L19704, 2009 doi:10.1029/2009GL040142
Il post già pubblicato su CM il 26.12.2014 ( http://www.climatemonitor.it/?p=37141 ) è stato ripubblicato ieri con un nuovo ID: http://www.climatemonitor.it/?p=37717
Franco
@Max e Donato
Sono d’accordo con voi e potrei tentare di chiudere il discorso con qualche
bella frase tipo “parole sante” o simili.
Invece preferisco seguire il consiglio di Max “approccio “estesamente”
(passatemi il termine) multidisciplinare” riproponendo un grafico già
pubblicato su CM ( http://www.climatemonitor.it/?p=37141 ), fig.2, sulla
crescita degli anelli negli alberi californiani, con l’aggiunta di un suo
zoom per il periodo 900-2005 ( http://www.zafzaf.it/clima/cm37/ca667-zoom.pdf ).
Noto che la crescita degli anelli, attorno al 1330 e nel giro di pochi anni, passa da quasi 600 a circa 120, con un rapporto di 4-5:1. Noto anche che le prime due strutture nella LIA distano tra loro circa 150 anni (letti dal grafico, senza guardare i numeri) e che la terza dista poco di meno. Il Periodo Caldo Medievale qui è meno
distinguibile dalla LIA ma credo che le similitudini con le SST derivate dalle
diatomee siano abbastanza evidenti.
Franco
Stupefacente il modo in cui l’evento traumatico verificatosi intorno al 1300 sia stato registrato dalle dendrocronologie e dai sedimenti marini.
Ciao, Donato.
Scrive F. Zavatti: “Cerco di non dimenticare la differenza di capacità termica tra atmosfera (eventualmente raffreddata dalle polveri) e oceano che, secondo me, è abbastanza insensibile a quello che succede in atmosfera, in particolare per eventi rapidi come un’eruzione.”
.
L’obiezione all’ipotesi dell’eruzione vulcanica come causa scatenante della forte oscillazione nelle SST registrata nel 1315 appare fondata. In effetti la sua influenza sarebbe stata giustificata per le temperature atmosferiche meno per quelle oceaniche. I dati forniti da F. Zavatti nell’ultima risposta a Max, relativamente all’eruzione del 1783, rendono tale obiezione ancora più fondata e condivisibile.
Max ci ha fatto notare, però, che intorno al 1300 si è verificata un’imponente eruzione vulcanica che si è protratta per circa un anno e le cui conseguenze potrebbero essersi fatte sentire per diversi anni. Se a questo fenomeno di tipo terrestre associamo un evento periodico concomitante (il picco di 139 anni di natura non solare, ad esempio) potrebbero essersi venute a creare delle particolari circostanze in grado di determinare lo spostamento del sistema da una condizione di equilibrio più calda ad una più fredda. Vorrei far notare il grande uso di condizionali ed ipotetiche che caratterizza la mia prosa: questo la dice lunga circa l’attendibilità di quanto ho scritto! 🙂
Si tratta di ipotesi che devono essere provate, ma non mi sembrano del tutto campate per aria.
.
Vorrei far notare, infatti, che una situazione del genere si è verificata anche in tempi molto recenti per l’estensione dei ghiacci marini artici. Nel decennio compreso tra il 1997 ed il 2007 le anomalie nell’estensione dei ghiacci marini artici hanno subito un brusco sussulto: mentre prima del 1997 le anomalie oscillavano intorno ad una media di +0,5 milioni di chilometri quadrati, dal 2007 ad oggi la media si è portata intorno ad un valore di ben 1,5 milioni di chilometri quadrati inferiore alla precedente. Dopo un periodo caratterizzato da oscillazioni ad altissima ampiezza, oggi le oscillazioni sembrano essersi stabilizzate intorno ad un valore di -1 milione di chilometri quadrati rispetto allo zero. ( http://arctic.atmos.uiuc.edu/cryosphere/IMAGES/seaice.anomaly.arctic.png ) Questo ipotizzando che quella attuale sia una condizione di equilibrio duratura e non si verifichino altri bruschi salti (in positivo o in negativo).
.
Le cause? Il riscaldamento globale che ha innestato una spirale di morte che è solo mascherata da effimere “pause” nella tendenza di lungo periodo, secondo i più; fenomeni ciclici di lungo o lunghissimo periodo, secondo altri; il cambio dei sistemi di rilievo satellitare, secondo qualcuno. Per quel che mi riguarda bisogna vedere ciò che ci riserva il futuro anche se propendo per il passaggio da una condizione di equilibrio ad un’altra di un sistema complesso regolato da uno o più attrattori strani.
Un meccanismo simile potrebbe spiegare il brusco gradino nelle SST fatto registrare intorno al 1315 a seguito dell’azione concomitante di diverse azioni (astronomiche e non).
Ciao, Donato.
Comunque, tornando all’argomento del post iniziale, lo studio di Jiang et alii ha preso realmente in considerazione la distribuzione delle specie delle diatomee per ricostruire le fluttuazioni delle temperature superficiali. Anche perché alle alte latitudini, spesso le condizioni di temperatura impediscono la formazione di altro fitoplancton, mentre le diatomee non hanno problemi a colonizzare anche quegli ambienti;
Tutte le specie (sono tantissime quelle note, più di 90.000 !!!) di diatomee presentano limiti di tolleranza e valori ottimali rispetto alle condizioni dell’ambiente acquatico, quali la concentrazione di nutrienti, l’inquinamento organico e il livello di acidità. Variazioni di temperatura, salinità, ossigeno disciolto, velocità di corrente e sostanza organica caratterizzano la loro ecologia e determinano la distribuzione ed abbondanza delle varie specie nei differenti habitat.
La distribuzione di tutte le specie (planctoniche o bentoniche che siano) è ristretta alle acque superficiali (meno di 100 m) per poter ricevere i raggi luminosi ed attuare la fotosintesi, quindi è facilmente comprensibile perché sono utili come indicatori ambientali, con riferimento ai parametri di cui si parla nella ricerca in oggetto: i rapporti isotopici O18-O16 nella silice delle forme fossili possono rivelare la temperatura assoluta nei depositi quaternari. E’ comunque interessante sapere che (ragionando su intervalli cronologici più ampi rispetto a quelli presi in considerazione nello studio di cui sopra), sebbene non si siano verificate estinzioni nel Cenozoico che abbiano ridotto la diversità di questo gruppo biologico, si verificarono importanti eventi di cosiddetto turnover (taxa sostituiti da altri nello stesso ambiente) in corrispondenza di cambiamenti delle condizioni oceanografiche. I più imponenti turnover si verificarono alla fine dell’Eocene inferiore, nell’Oligocene medio e nel Miocene medio, assieme ad altri eventi meno significativi alla fine dell’Eocene medio ed al limite Eocene-Oligocene. Ciascuno di questi turnover coincide con periodi di rapido raffreddamento delle aree di alte latitudini, tanti piccoli elementi di un trend generale di raffreddamento del Cenozoico, interrotti da periodi più stabili.
Oggi sono studiate anche (quelle bentoniche soprattutto) per monitorare la salute di corsi d’acqua, essendo molto sensibili alle variazioni di velocità di corrente, temperatura, pH, luce, composizione chimica del corpo idrico.
Ciao 😀
Intanto complimenti per l’inquadramento delle diatomee, della loro
diffusione e della loro importanza come proxies in climatologia. Ne avevo
davvero bisogno. Grazie ancora.
Poi i vulcani: niente da eccepire sull’influenza nel raffreddamento
atmosferico, almeno emisferico, avuto dalle potenti eruzioni elencate, ma
qui il fatto è che il “PCM” e la “PEG” si vedono bene nelle temperature
oceaniche (o almeno in quelle a nord dell’Islanda). Ho usato le virgolette
perché questi periodi sono essenzialmente terrestri con, appunto, le
carestie, i fiumi ghiacciati e le grandinate. L’oceano ha una capacità
termica che è circa 1000 volte quella dell’atmosfera e questo
significa che non è l’atmosfera a scaldare (raffreddare) l’oceano ma il contrario. Le
possibilità che riesco a vedere sono
1) che le diatomee, vivendo relativamente vicino alla superficie, abbiano
registrato queste variazioni di temperatura-soleggiamento e che quindi le
temperature da loro derivate siano solo quelle della parte superiore
(100 metri) dell’oceano o in qualche modo connesse (magari tramite la
funzione clorofilliana) a situazioni atmosferiche e solari.
2) che la dorsale atlantica, di cui l’Islanda è parte integrante, abbia
prodotto in quel periodo (un po’ prima, per via dell’inerzia dell’oceano)
potenti eruzioni sottomarine, tali da scaldare quella parte dell’Atlantico
del Nord.
Entrambe le ipotesi, per quanto ne so, sono nient’altro che illazioni, la
prima per mia manifesta e dimostrata ignoranza; la seconda perché non mi
risultano dati sul vulcanesimo sottomarino islandese (forse qualcuno li ha,
ma non io).
In ogni caso è molto apprezzabile avere tutte insieme le informazioni sui
vulcani della zona.
Un altro punto (o forse sempre lo stesso):
“….L’estate del 1783 fu la più rovente mai registrata fino ad allora su
gran parte del continente: un’inusuale area di alta pressione si stabilì
sull’Islanda, facendo sì che i venti trasportassero la nube venefica verso
sud-est….”.
Questi sono parte dei dati pubblicati da Jiang et al, 2015:
Core depth (cm), Age (cal yr B.P.), Summer SSTs (°C)
47.5 136 7.1 !anno 1824
50.5 140 6.5
52.5 143 7.0
55.5 147 7.0
57.5 149 7.3
60.5 153 6.8
62.5 157 7.0
65.5 163 6.8
67.5 167 7.2 !anno 1783
70.5 173 6.3
72.5 177 6.9
75.5 183 7.3
77.5 187 6.8
80.5 193 7.2 !anno 1757
Le SST registrate in quegli anni non sembrano mostrare particolari variazioni.
Franco
ti ringrazio per gli apprezzamenti e per i dati finali, che effettivamente non mostrano apprezzabili conseguenze a lungo termine dell’eruzione Laki 1783;
sul punto 1 che citi, a proposito delle diatomee, è sicuramente come dici tu; la nicchia ecologica che occupano determina inevitabilmente che i dati che se ne desumono sono riferiti alla fascia più superficiale dell’oceano;
su tutto il resto, e allargando un po’ il discorso, colgo l’occasione per ribadire un mio pensiero costante, come spesso ho avuto modo di dire su queste pagine, anche supportato da Donato e altri:
la quantità di variabili in gioco è talmente elevata (e, aggiungo io, in buona parte anche poco conosciuta), che non si può prescindere da un approccio “estesamente” (passatemi il termine) multidisciplinare, raccogliendo, quando e dove possibile, tutti i dati provenienti da ogni ambito scientifico che afferisca all’ambiente, al funzionamento degli ecosistemi, alla geofisica, astronomia, etc etc, insomma al funzionamento del pianeta nel suo complesso (e l’aggettivo “complesso” in questo caso ha anche il significato letterale del termine); men che mai si può ridurre tutto o quasi a milioni di operazioni fatte da super computer, che però hanno poi poca attinenza con quanto si sperimenta nel presente…
è ancora molto lunga la strada per la comprensione di questi meccanismi…ma è proprio questo il bello!
Dopo aver letto questo bel post di Franco Zavatti non posso fare a meno di “citarmi”: il clima terrestre è un sistema estremamente complesso che facciamo fatica a decifrare. 🙂
.
La complessità del sistema climatico terrestre e le nostre difficoltà interpretative sono ben presenti nel post. In primo luogo l’anticorrelazione tra SST e TSI che porta a registrare temperature estive a nord dell’Islanda maggiori nei periodi di minimo solare (bassa TSI) e minori nei periodi di massimo solare evidenzia la presenza di meccanismi di redistribuzione del calore legati, molto probabilmente, alle correnti oceaniche, al sistema atmosferico ed alle loro interazioni.
Questa circostanza mi fa ricordare un altro studio di cui abbiamo parlato su CM (http://www.climatemonitor.it/?p=35935) che metteva in evidenza come le temperature emisferiche fossero correlate con i cicli solari, ma sfasate temporalmente di circa undici anni: il tempo impiegato dalla circolazione termo-alina per portare il calore immagazzinato all’equatore alle alte latitudini. Se a ciò aggiungiamo le oscillazioni legate all’AMO il quadro diventa ancora più complesso. E ci siamo limitati a considerare solo due degli svariati indici che sono utilizzati dagli studiosi.
.
Concordo, inoltre, con F. Zavatti sul fatto che appare sorprendente la concordanza strutturale e la tendenza delle SST e della TSI. Sembrerebbe che nel lungo periodo le due grandezze siano strettamente correlate; nel medio e nel breve periodo, invece, le ondulazioni dell’una e dell’altra appaiono meno correlate. La cosa fa apparire probabilmente inutili le diatribe che contrappongono coloro che cercano correlazioni tra le TSI e le SST nel breve periodo: hanno ragione coloro che non riescono ad individuarle, ma non hanno torto, alla luce di questi dati, per esempio, quelli che le invocano in quanto è difficile sostenere che nel lungo periodo esse non esistono.
.
Una brevissima considerazione riguarda il salto che ha introdotto la LIA dopo l’ottimo medioevale: in qualche decennio le temperature si sono abbassate di quasi due gradi! La causa? Secondo me un evento traumatico in grado di modificare bruscamente la temperatura emisferica e, forse, globale come un’eruzione vulcanica. Tale ipotesi fu avanzata da Kokfelt et al. 2012 e mi sembra molto verosimile.
.
Mi complemento, infine, con F. Zavatti per essere riuscito a replicare buona parte dei risultati degli autori dello studio con metodi diversi.
Ciao, Donato.
Donato, direi che, come al solito, hai un’ottima “mira” quando si tratta di
centrare i problemi e gli aspetti più significativi; e anche nel sottolineare
le connessioni tra le varie sfaccettature possibili.
“Una brevissima considerazione riguarda il salto che ha introdotto la LIA
dopo l’ottimo medioevale: in qualche decennio le temperature si sono
abbassate di quasi due gradi!”
Dalla fig.3 mi sembra che il salto tra MWP e LIA sia stato davvero
impressionante anche se, per fortuna, la temperatura si è poi stabilizzata
a circa mezzo grado meno dell’Ottimo medievale.Il periodo delle oscillazioni
durante la LIA è forse definito dal picco a 139 anni visibile in fig.6 e che
è tra quelli che non sono riuscito ad associare all’attività solare
(assomiglia molto a due volte il periodo dell’AMO ma non credo di potermi spingere oltre).
Sulle cause del salto non so cosa dire: da un’eruzione mi
aspetto una diminuzione di temperatura, non una salita di un grado e poi una
diminuzione di due gradi: quelle di cui stiamo parlando sono SST e non so bene chi può aumentare le temperature dell’Oceano Atlantico (o anche solo della zona interessata) di così tanto per poi farle scendere del doppio così in fretta. Cerco di non dimenticare la differenza di capacità termica tra atmosfera (eventualmente raffreddata dalle polveri) e oceano che, secondo me, è abbastanza insensibile a
a quello che succede in atmosfera, in particolare per eventi rapidi come
un’eruzione.
Ciao. Franco
a proposito del picco e discesa intorno al 1315:
non saprei il picco positivo da cosa farlo derivare, forse però vi interessa sapere che nel 1300 il vulcano HEKLA, in Islanda, ha avuto la sua seconda più grande eruzione della sua storia, durata per ben 12 mesi, e da cui risultano emessi non meno di 500 milioni di metri cubi di ceneri e gas (ha ricoperto circa 30.000 km quadrati di territorio); non proprio un’inezia, insomma;
e se poi consideriamo che nel 1783 il LAKI, sempre nella “terra degli elfi” ha eruttato per ben 8 mesi di seguito contribuendo sicuramente ad un breve ma deciso peggioramento climatico dell’europa centro-settentrionale (c’è che sostiene che anche le carestie all’origine della immediatamente successiva Rivoluzione Francese possano aver trovato concause in questa eruzione), chissà che l’eruzione del 1300 dell’ HEKLA, associata ad altre forzanti (sole in primis) non abbia dato il via alla PEG, almeno nell’emisfero nord….
dimenticavo una cosa:
all’indomani dell’eruzione del Laki nel 1783, il primo e tangibile effetto climatico in nord europa e in Gran Bretagna fu la nota estate rovente conosciuta come “sand summer” a causa dell’ingente e continua caduta al suolo di cenere;…
chissà, se tanto mi da tanto….
“….L’estate del 1783 fu la più rovente mai registrata fino ad allora su gran parte del continente: un’inusuale area di alta pressione si stabilì sull’Islanda, facendo sì che i venti trasportassero la nube venefica verso sud-est. Questa si diresse dapprima verso la Norvegia; poi si estese sui cieli dell’Europa centrale. Praga e la Boemia furono raggiunte il 17 giugno, Berlino il 18, Parigi il 20, Le Havre il 22 e la Gran Bretagna il 23. La nebbia era così fitta che le navi furono bloccate nei porti, e il Sole acquistò una tonalità rosso sangue.
Il diossido di zolfo non mancò di causare vittime tra la popolazione inglese. La città di Chartres registrò 40 morti tra agosto e settembre. Le vittime furono soprattutto tra coloro che lavoravano all’aperto. Nel Bedfordshire, nel Lincolnshire e lungo la costa orientale dell’isola si ebbe un tasso di mortalità 2-3 volte più alto del normale. Le vittime totali causate dall’aerosol vulcanico furono, secondo alcune stime, 23.000.
L’aerosol di diossido di zolfo causò un incremento del calore estivo su tutto il continente; violenti temporali e grandinate si abbatterono sulla Gran Bretagna fino all’autunno. In alcuni casi la grandine uccise capi di bestiame. L’inverno che seguì fu uno dei più rigidi nella storia del Paese: la città di Selborne, nell’Hampshire, visse 28 giorni di gelo consecutivi, e 8.000 furono i morti causati dal freddo in tutta la nazione. La Germania e il resto dell’Europa centrale ricevettero abbondanti nevicate, che causarono disastrose inondazioni nel periodo del disgelo.
Gli effetti dell’eruzione del Laki sul clima europeo si fecero sentire anche negli anni successivi. In Francia si ebbe un surplus di raccolto nel 1785, con conseguente caduta dei prezzi dei raccolti, che impoverì i contadini; seguirono poi siccità, rigidi inverni ed estati pessime. Nel 1788 si verificò una violenta grandinata che devastò le messi. Questa successione di anni con avverse condizioni meteorologiche contribuì ad espandere la povertà e la carestia, che a loro volta possono essere annoverate tra i fattori scatenanti della Rivoluzione Francese nel 1789. L’eruzione del Laki non fu l’unico evento eccezionale in un decennio di anomalie climatiche: contemporaneamente si verificò anche l’eruzione del Grímsvötn, ed alcuni studiosi aggiungono a tutto ciò la presenza, tra il 1789 e il 1793, di un intenso episodio di El Niño….”
ehm…. le diatomee sono alghe (unicellulari a base silicea), non sono foraminiferi…. giusto per fare il puntualizzatore 😀
Puntualizzazione quanto mai opportuna. Infatti nella versione preliminare del post, scritta a mano, riporto “alghe unicellulari” cancellato e sovrascritto con “foraminiferi”. Credo che i ricordi scolastici abbiano funzionato istintivamente ma che poi un tentativo di capire meglio abbia dato risultati non troppo brillanti (si fa per dire).
Grazie.