Dal dipartimento “prevedere è difficile, soprattutto il futuro” arrivano due pubblicazioni di per se interessanti, che hanno però già il difetto di aver previsto qualcosa che non sta accadendo, almeno in parte.
Va detto che l’articolo da cui ho tratto notizia di queste due pubblicazioni è di un paio di mesi fa, però, in effetti alla luce dei fatti degli ultimi giorni, la previsione di assenza di eventi El Niño almeno fino al prossimo novembre è sbagliata. Già, perché la NOAA è passata dalla condizione di “watch” a quella di “advisory”, per cui, debole o latente che sia, adesso c’è El Niño.
Concediamo comunque a queste due pubblicazioni il beneficio di inventario, perché in effetti si parla di eventi di picco, per cui la debolezza che l’attuale evento è previsto che abbia potrebbe rientrarci comunque. Nelle due pubblicazioni, di fatto parte prima e seconda dello stesso lavoro, gli autori identificano nel Sole il “pacemaker” dell’alternarsi di fasi calde, fredde e neutre per l’area del Pacifico equatoriale. Sarebbero l’eccentricità dell’orbita terrestre e altre ciclicità di 2 e 3 anni a dare il ritmo a quello che sin qui si riteneva che fosse un ritmo di avvicendamento casuale tale da imporre un ritorno delle condizioni di El Niño in periodi varianti tra 2 e 7 anni. Ricordiamo che La Niña, pur molto diversa negli effetti e nelle teleconnessioni, non è l’opposto del Niño, quanto piuttosto un’accentuazione delle condizioni di neutralità e di normalità, in quanto sia la fase neutra che quella fredda sono determinate dalla normale o più accentuata intensità degli Alisei, i venti che soffiano con direttrice est-ovest tra i Tropici e l’Equatore; viceversa, la fase calda o di El Niño, è soprattutto identificabile per l’inversione della ventilazione, che finisce per soffiare da ovest verso est.
Secondo gli autori, per la combinazione di varie ciclicità, la Terra può restare bloccata in fasi di due o tre anni o in assenza di qualsiasi fase con cambiamenti repentini da una fase all’altra.
Nel primo studio, The Sun is the Climate Pacemaker I, gli autori hanno individuato queste ciclicità nelle temperature di superficie dell’Oceano Pacifico equatoriale fino al 2013 aggiornando uno studio precedente che si era fermato al 2008, partendo comunque dal 1870. Nel secondo lavoro, The Sun is the Climate pacemaker II, l’analisi è stata estesa anche agli strati inferiori e a livello globale, individuando, sempre secondo loro, la propagazione al resto del pianeta del segnale proveniente dalle oscillazioni dell’ENSO. Il periodo di propagazione del segnale, scrivono, sarebbe di circa due mesi.
Torna quindi (se ne era mai andato?) ad essere protagonista il Sole nelle dinamiche del clima. Al riguardo, merita una menzione anche un altro lavoro, sempre di recente pubblicazione, in cui gli autori dicono di aver individuato anche un altro segnale riconducibile al forcing solare, ossia quello relativo ai raggi cosmici ed alla teoria per cui le modifiche al campo magnetico prodotte dall’attività solare permetterebbero flussi più o meno intensi di raggi cosmici diretti verso il pianeta e in grado di influire sui processi di nucleazione, cioè sulla formazione delle nubi.
Tale contributo tuttavia sarebbe piuttosto debole e non in grado di spiegare il trend positivo che le temperature medie superficiali globali hanno assunto nel periodo post-industriale. In poche parole, secondo questo lavoro, i l’attività solare e i raggi cosmici avranno pure un ruolo ma non hanno niente a che vedere con il riscaldamento globale.
Invece il documentario su Raidue al minuto 14/15 il dottor Tinsley suppone che il flusso di elettroni e di raggi cosmici possano apportare cambiamenti climatici:
http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html?day=2015-03-12&ch=2&v=488572&vd=2015-03-12&vc=2#day=2015-03-12&ch=2&v=488572&vd=2015-03-12&vc=2
“Sarebbero l’eccentricità dell’orbita terrestre e altre ciclicità di 2 e 3 anni a dare il ritmo a quello che sin qui si riteneva che fosse un ritmo di avvicendamento casuale tale da imporre un ritorno delle condizioni di El Niño in periodi varianti tra 2 e 7 anni.”
.
Toh, chi si rivede! Nei dati delle temperature NOAA analizzati da F. Zavatti avevamo individuato un periodo di circa tre anni che Franco definì “non solare”. Adesso lo stesso periodo è stato individuato nelle oscillazioni ENSO ed attribuito all’eccentricità dell’orbita terrestre. Facendo due più due mi sa che abbiamo capito a chi imputare quel periodo “strano”. Andrò a vedere i due articoli sperando che L. Svaalgard non li demolisca come ha fatto (forse a ragione) con il terzo. 🙂
Ciao, Donato.
Errata corrige: L. Svalgaard e non L. Svaalgard. 🙁
Ciao, Donato.
Ho dato un’occhiata ai due articoli (a quello che sono riuscito a reperire in rete, veramente perché sono a pagamento 🙂 ).
Un’obiezione di fondo: i dati presi in esame partono dal 1990. La serie è troppo breve perché i risultati possano generalizzarsi. Mi sa che le conclusioni dei due articoli non sono molto robuste.
Ciao, Donato.
// Sarebbero l’eccentricità dell’orbita terrestre e altre ciclicità di 2 e 3 anni a dare il ritmo a quello che sin qui si riteneva che fosse un ritmo di avvicendamento casuale tale da imporre un ritorno delle condizioni di El Niño in periodi varianti tra 2 e 7 anni. //
// gli autori dicono di aver individuato anche un altro segnale riconducibile al forcing solare, ossia quello relativo ai raggi cosmici ed alla teoria per cui le modifiche al campo magnetico prodotte dall’attività solare permetterebbero flussi più o meno intensi di raggi cosmici diretti verso il pianeta e in grado di influire sui processi di nucleazione, cioè sulla formazione delle nubi. //
Mi fa piacere che anche altri prestino attenzione a questi fattori, che io menzionai svariato tempo fa.
🙂