Più o meno di questi tempi 12 mesi fa, si cominciava a parlare del possibile ritorno del Niño, cioè della fase calda sull’Oceano Pacifico equatoriale. Una tale possibilità, dopo una lunga permanenza di fasi fredde (La Niña) o neutre, è stata subito oggetto di discussione con gran clamore mediatico circa l’eventualità che un cambio di segno per il bacino termico più vasto del pianeta, oltre a generare una serie di effetti diretti abbastanza noti in termini di tempo atmosferico, avrebbe fatto risorgere anche il riscaldamento globale, ossia la tendenza delle temperature medie superficiali del pianeta a crescere, fatto che non accade da otre 15 anni.
L’incipit al dibattito lo diedero una temporanea attenuazione degli alisei e la comparsa di una poderosa Kelvin Wave (onda planetaria oceanica) in fase di downwelling sul settore occidentale del bacino, segnale di trasporto di acqua calda verso est e spesso primo vagito di un El Niño. Molti modelli di simulazione dell’ENSO, indice che descrive l’alternarsi di fasi fredde e calde, interpretarono l’intensità della Kelvin Wave come prodromi di un El Niño molto prossimo e molto intenso, addirittura alla stregua del precedente più significativo dei tempi moderni, il super El Nino del 1998. Questo accadeva nonostante si fosse, come ora, molto prossimi a quella che i modellisti definiscono Spring Predictability Barrier, che è in sostanza una nota diminuzione delle performance dei modelli se inizializzati durante i mesi primaverili.
Una barriera che ha funzionato a metà, come a metà hanno funzionato i modelli. Infatti i successivi mesi estivi e autunnali, che avrebbero dovuto condurre al picco dell’El Niño (arriva sempre tra dicembre e gennaio ecco perché si chiama così in America Latina), sono stati caratterizzati dall’alternarsi di altre fasi di downelling e upwelling di Kelvin Waves via via meno intense, con i valori traccianti per le condizioni di El Niño che hanno oscillato tra il segno positivo e la neutralità dando luogo ad un evento debole e tutto sommato piuttosto anomalo, ovvero con alcune delle condizioni tipiche a soddisfare le aspettative e altre a negarle. Tra tutte una sostanziale diffusione e quindi generica attenuazione del forcing convettivo lungo l’equatore in luogo di una concentrazione sul settore orientale del bacino, e una solo parziale attenuazione delle condizioni di siccità tipiche delle fasi negative o neutre per le coste occidentali del continente americano.
Ora è passato un anno e siamo davanti ad un’altra barriera di primavera. Gli esperti della NOAA, basandosi sull’innesco recente di una nuova Kelvin Wave in fase downwelling (che segue però una significativa fase di upwelling che potrebbe aver messo fino a questo evento) stanno mantenendo lo stato di allerta al livello di El Niño watch, forti di un residuo 50-60% di probabilità che si inneschi una fase calda più persistente per la fine dell’inverno, pur mantenendo anche circa un 35% di probabilità che persistano condizioni di neutralità e un 15% residuale di probabilità che si vada verso una fase fredda (La Niña). Le previsioni del multimodel ensemble dell’IRI (in testa a questo post) vanno comunque per un evento da debole a moderato (media tra i modelli), mentre l’ECMWF vede nuovamente l’innesco di un El Niño potente nei prossimi mesi.
A questo link, sul blog che i previsori della NOAA hanno attivato già da qualche mese, c’è una discussione molto interessante sulla performance dei modelli di previsione. Risulta che in fondo le osservazioni degli ultimi mesi sono state sempre all’interno del range di previsione, con uno o l’altro dei modelli che si sono alternati avvicinandosi alla realtà osservata, sebbene questo non risolva il problema intrinseco di questo genere di approccio prognostico. Infatti, disporre di più previsioni aiuta a definire uno spazio entro il quale cadrà l’osservazione, ma non dice mai quale tra quelle previsioni sarà quella giusta, se non, ovviamente, a posteriori.
A breve quindi ricomincerà il dibattito sugli effetti previsti/potenziali di una evoluzione come quella prospettata dalle previsioni ma, come si legge proprio sull’ENSO blog, il problema delle previsioni su El Niño non era risolto l’anno scorso e non lo è ora, per cui, sarà meglio innanzi tutto aspettare che passi la barriera di primavera e che, soprattutto, si manifestino via via anche i segnali atmosferici oltre a quelli oceanici, giacché è stata proprio l’assenza della risposta della componente atmosferica ad aver di fatto scompaginato le carte delle previsioni durante i mesi scorsi. A meno che l’evento non si consolidi nel breve volgere di qualche settimana e quindi più che di una transizione dalla neutralità al segno positivo si possa avere a che fare con la persistenza di quest’ultimo, pratica in cui i modelli sono molto più performanti.
Qui, infine, trovate l’ultima discussione settimanale sulla situazione.
Sii il primo a commentare