Ci siamo, ecco la conferma che la saggezza popolare, anche quella davvero molto popolare, ha sempre un fondamento di verità.
E’ uno studio appena pubblicato sul Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society. Da attenta osservazione, salta fuori che in estate e con le dovute condizioni a contorno, è più facile che un temporale si sviluppi in città piuttosto che in campagna. Le montagne e le colline, per ora, le lasciamo fuori, perché in quel caso entrano in gioco altri fattori.
C’è di più, quei temporali arrivano in numero più consistente dal lunedì al venerdì piuttosto che durante la fine settimana.
E’ la maledizione dell’impiegato? E’ un capriccio di questo tempo pazzo degli ultimi anni? Pare proprio di no, è piuttosto, a patto che le risultanze dell’analisi svolta in questo studio trovino conferma, una classica dimostrazione di impatto antropico a microscala, una dinamica innescata dal tessuto urbano, da un lato perché questo sviluppa molto calore potenzialmente disponibile alla convezione, cioè all’innesco della risalita delle bolle d’aria, dall’altro – qui rientrano in gioco gli impiegati – perché la produzione di aerosol portati in quota da quella convezione favorisce la nucleazione, cioè la condensazione del vapore acqueo quando la massa d’aria raggiunge il livello di saturazione.
Gli autori hanno aperto una finestra di osservazione sulla città di Atlanta, negli Stati Uniti sudorientali, zona che definiscono umida sub-tropicale, nel periodo 1997-2013. Per rendere oggettive le osservazioni, hanno definito le caratteristiche dell’incipit dei temporali in base ai dati provenienti dai radar meteorologici, arrivando alla definizione di un indice (Isolated Convective Initiation – ICI) e contando 26.000 eventi ICI per 85 mesi caldi. Per cui, ovviamente, si parla di fenomeni termo-convettivi isolati, i temporali estivi non frontali.
C’è da dire che, come specificano gli autori, si nota anche un segnale significativo inerente il contributo della ventilazione, per cui anche la morfologia del territorio e il suo comportamento in relazione a date condizioni sinottiche (a larga scala), ha nella fattispecie avuto il suo peso. Per consolidare questa ipotesi, quindi, sarebbe senz’altro necessario fare analoghe misurazione in altre aree urbane.
Si torna così a parlare di progettazione delle aree urbane, argomento che abbiamo sfiorato appena qualche giorno fa. C’è però da rilevare una differenza rispetto a quanto commentato in quel post sempre dedicato al contributo antropico alla piccola scala segnatamente alla variazione di destinazione d’uso del suolo. Nello studio all’origine del nostro post, sono state osservate le variazioni delle temperature e della ventilazione, mentre per le precipitazioni, specie quelle intense cioè temporalesche, non sono state riscontrate differenze rispetto alle aree rurali circostanti le città. In quest’altro lavoro, invece, a parità di condizioni, le precipitazioni sono più frequenti (probabili?) in città.
Interessante.
Signor guidi….l,antartide è cresciuto…di che medie parlate….è neve ovunque…io vedo questo
Cordialissimo guidò…le vorrei porre 2 domande che mi incuriosiscono…..che spessore in metri sono le due calotte glaciali ..antartide e Groenlandia……e poi…lei crede al global warming!!? O come sostiene Zichichi è una bufala costruita ad arte…grazie fin da ora….e complimenti per il bellissimo suo blog che seguo da anni
Melissa,
Io credo a ciò che vedo, quindi si, che la temperatura media del pianeta sia salita nei dati si vede. È un’immagine un po’ sfocata ma si vede. Tutto quello che dovrebbe esserci a valle invece non si vede e mi piacerebbe vederci più chiaro.
gg
Almeno la nuvola di Fantozzi era più… sostenibile di quella di Fuksas… 🙂