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Che clima farà e che clima avrebbe dovuto fare

Questa mi era sfuggita. Quando ancora doveva iniziare a rimbombare l’eco attorno all’anno più caldo di sempre che non si sa se lo è stato oppure no, il 2014, il Met Office aveva già pubblicato le sue previsioni per il 2015 e per i prossimi dieci anni. Esercizio scontato il primo, perché a meno di cataclismi il 2015 sarà un altro anno tra i più caldi, periglioso il secondo perché dieci anni fa nessuno tra color che sanno avrebbe messo un penny sul fatto che la temperatura media del pianeta avrebbe smesso di crescere. Ergo, se quella più a breve termine è una previsione di quasi sicuro successo perché improntata alla persistenza di un sistema con molta inerzia, quella a medio termine (climatico) è seriamente a rischio di brutta figura.

Circa il 2015, considerato il fatto che le medie globali ci hanno messo decenni a salire, è davvero difficile ove non impossibile che scendano tanto da rientrare nella media di riferimento del trentennio 61-90. Perché questo possa accadere in modo tanto repentino da riempire il breve volgere di dodici mesi ci vorrebbe un’eruzione vulcanica stile Pinatubo, ma forse non basterebbe. Considerati i danni che questi eventi provocano ne faremmo comunque volentieri a meno, e comunque sarebbe imponderabile. Sicché, dopo aver sottolineato che alcuni pattern climatici riconoscibili persisteranno con l’andamento attuale, i climatologi inglesi stimano una temperatura per quest’anno tra 0.52 °C e 0.76 °C oltre la media di lungo periodo del 61-90 di 14°C, con un valore centrale di 0.64 °C. Il riscaldamento del Pacifico tropicale, le deboli condizioni di El Niño, il tepore (warmth, sic!) dell’Artico e la prosecuzione dell’aumento della concentrazione di CO2, prevedendo che siano simili in ampiezza alle condizioni del 2014, dovrebbero quindi regalarci tra un annetto un altro bel dibattito sulla misurabilità dell’anno più caldo di sempre. Tuttavia, e questo lo si capisce anche dai numeri, lo scarto positivo dalla media di riferimento previsto per il 2015, sebbene elevato, è comunque vicino a quello degli ultimi anni in modo da risultare indistinguibile se si tiene conto dell’incertezza che accompagna la stima.

Per la prossima decade invece il discorso come detto si fa più spinoso e infatti gli amici del Met Office adottano un linguaggio parecchio più prudente. Ma è anche un argomento molto più interessante, almeno per come viene affrontato nel documento che è stato diffuso. Inoltre, per una volta si tratta di previsioni climatiche verificabili nel breve volgere di un decennio, cosa che le rende molto più comprensibili e, ove affidabili, anche utili, se non altro a capire se si sta andando nella direzione giusta nel capire come funziona il sistema.

E qui viene la parte interessante, perché, sì, anche al Met Office sono convinti che il futuro del pianeta sia quello di un riscaldamento da eccesso di gas serra potenzialmente pericoloso, ma, con riferimento alla prossima decade: “Sebbene la previsione indichi generalmente che le temperature globali resteranno elevate, non è ancora possibile prevedere con esattezza quando finirà il rallentamento del riscaldamento superficiale“. Cioè, la pausa c’è e non sappiamo quando finirà, tanto basti a quanti continuano a parlare di sufficienti conoscenze ormai acquisite.

L’esercizio che compiono al Met Office è poi interessante perché, prendono i modelli impiegati per l’ultimo report IPCC la cui distanza dalla realtà indica palesemente una discrasia tra osservazioni e previsioni, e li fanno girare inizializzandoli con i pattern osservati nel periodo più recente, in modo da fornir loro almeno una base di partenza più solida. Ne risulta, ad esempio per l’ultimo quinquennio, che alcuni pattern regionali sono stati previsti in modo soddisfacente, come il riscaldamento accentuato delle alte latitudini artiche  e il raffreddamento dell’Oceano meridionale e del gyre sub-polare del Nord Atlantico, ma altri e ben più significativi pattern climatici come l’ENSO (El Niño, La Niña), l’indice PDO (Pacific Decadal Oscillation),  e l’indice AO (Artic Oscillation) hanno fatto segnare valori molto lontani dalla previsione, tanto che il documento si chiude così: “Questo è consistente con il fatto che i sistemi di previsione decadale non sono ancora in grado di prevedere l’andamento della PDO e dell’AO per gli anni a venire“.

Ora, il sistema clima è uno solo, sebbene i fattori e le dinamiche che lo determinano siano innumerevoli e agiscano in modo diverso e a scale spaziali e temporali diverse, ma la PDO, L’ENSO e l’AO sono fattori primari e irrinunciabili ai fini della replica del suo comportamento, sia in valore assoluto, sia in sede di valutazione degli impatti che valori diversi di questi indici hanno su molte zone del pianeta. Infatti con il super El Niño del 1997-1998, è poi arrivato l’anno più caldo delle serie storiche e sono arrivati, per il recupero del sistema, anche gli anni di stasi delle temperature; le oscillazioni della PDO, sono riconoscibili nel trend di lungo periodo delle temperature, pur nel contesto di un segnale di sovraimposto riscaldamento; e l’AO, infine, derivando dalla distribuzione della massa atmosferica tra le medie e le alte latitudini boreali, segna letteralmente il carattere degli inverni del Nord America e dell’Eurasia.

In assenza di progressi nella prevedibilità di questi fattori, è davvero difficile che le cose possano andar meglio in termini di affidabilità delle previsioni – ‘inattesa’ pausa del riscaldamento globale che dura da oltre quindici anni per esempio – ma ciò non vuol dire che si debba rinunciare a tentare. Staremo a vedere.

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