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Scopertona! In città fa più caldo!

Al giorno d’oggi oltre la metà della popolazione mondiale vive nelle aree urbane, siano esse grandi città o agglomerati ad alta densità abitativa. Una proporzione inoltre destinata a crescere ulteriormente, così come ancora nelle prossime decadi, prima di raggiungere un plateau e poi tendere a diminuire, continuerà a crescere la popolazione rendendo le aree urbane sempre più grandi e popolose. In realtà non è una porzione particolarmente significativa della terra disponibile, ma è anche quella dove si concentrano le attività umane e dove quindi i problemi, se ce ne sono, contano.

Qualche giorno fa, attraverso Science Daily, sono venuto a conoscenza dell’uscita di un nuovo studio in cui i ricercatori hanno scoperto…l’aria calda, letteralmente. Si tratta di una analisi dei dati di serie storiche di parametri atmosferici su aree urbane da cui risulta chiaramente che in città fa più caldo e c’è meno vento ma piove come fuori città. Sarebbero aumentati infatti i giorni e le notti estremamente caldi e sarebbero diminuiti quelli con molto vento, mentre non si ravvisano segnali importanti per quel che riguarda gli eventi precipitativi estremi, quelli per intenderci che sono all’origine di fenomeni alluvionali. Da una attenta valutazione statistica dei dati gli autori desumono che queste variazioni debbano essere attribuite a cambiamenti attinenti alla larga scala spaziale. Un modo come un altro per dire che c’è lo zampino del climate change. Lo scopo del loro lavoro, scrivono, non è quello di entrare nel merito dell’influenza dell’urbanizzazione sul microclima, quanto piuttosto, essendo questo stato oggetto di altri studi, di dimostrare che i cambiamenti sono per lo più attribuibili a variazioni a scala spaziale più ampia, nonostante l’effetto suddetto.

Changes in observed climate extremes in global urban areas

Tutto questo, naturalmente, perché gli estremi atmosferici, siano essi meteorologici o climatici, hanno certamente un impatto significativo sulle infrastrutture e la popolazione delle aree urbane. Su queste, capita spesso di vedere fantastici progetti per il raggiungimento di standard elevati di vivibilità e sostenibilità (specie per chi ci vive), ma è un fatto che nella maggior parte dei casi le aree urbane sono tutto fuorché vivibili e sostenibili, quando non rappresentano addirittura, pensiamo alle megalopoli dei paesi in via di sviluppo, delle autentiche tragedie umane o irreparabili disastri ambientali.

Ho così deciso di chiedere lumi ad un ricercatore amico mio e di CM, Teodoro Georgiadis, che ha deciso negli ultimi anni di ampliare le sue conoscenze in campo climatico con quelle nel settore dell’architettura, proprio per provare a lavorare sulla vivibilità e sostenibilità delle nostre città.

Con il suo solito impagabile umorismo, Teodoro ha commentato l’articolo rallegrandosi per il fatto che pare sia stato di nuovo scoperto il programma dell’esame di fisica 1 all’università. Con una rete osservativa mondiale prevalentemente urbana, fatto questo di cui molti tra quelli che lavorano nel settore fanno fatica a convincersi ma è sempre più evidente, le temperature in città crescono più che altrove per effetto dei flussi di calore; le temperature massime delle ore notturne aumentano per l’effetto di rilascio di calore dei materiali (che diavolo c’entra la CO2 e quindi la larga scala, a meno che non si parli di quella emessa per fare il cemento…) e le infrastrutture urbanistiche fanno calare la ventilazione disaccoppiando l’area urbana dal resto del territorio. Bastano infatti appena 500 metri di palazzi dal perimetro esterno verso il centro dell’area urbana perché si annulli quasi completamente l’effetto di ricambio dell’aria quando c’è scarsa ventilazione e si attenui considerevolmente il vento forte. Per chi conosce Roma e ha visto la commedia Rugantino, basta pensare alla scomparsa del Ponentino e ai palazzoni che hanno annullato la distanza della città dal mare. E le piogge? Beh, le piogge, quelle sì, sono per lo più riconducibili alla larga scala, e infatti non sono cambiate un gran che, fatta eccezione per quella parte pur significativa relativa al contributo del particolato nei processi di nucleazione, comunque certamente non riconducibili ad eventi intensi.

Ora, capisco che in questo studio non si volesse affrontare il tema del contributo diretto dell’urbanizzazione o cambiamento nell’uso del suolo agli estremi atmosferici nelle aree urbane, ma continuo a nutrire qualche dubbio sul fatto che si possa statisticamente dimostrare che ad agosto in centro a Roma si crepa di caldo perché clima e tempo sono cambiati anche in campagna dove invece si respira. Di sicuro deve essermi sfuggito qualcosa ;-).

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Published inAttualità

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