L’atmosfera è un motore termodinamico, questo si sa sin dai tempi del lavoro fondamentale di Carnot. A metterlo in moto il calore proveniente dal Sole ricevuto in modo disomogeneo, ossia in grande abbondanza tra l’equatore e dintorni e in quantità minimali ai poli. Nel processo di redistribuzione una parte dell’energia è convertita in energia cinetica, quella che sostiene la circolazione atmosferica contro la dissipazione.
Ma è un motore efficiente? Lo è per i suoi scopi, indubbiamente, un po’ meno nel senso del motore ideale di Carnot, perché l’energia distribuita sulla superficie tra fonti e assorbimento è circa doppia di quella che si stima essere la produzione di energia cinetica dei moti atmosferici.
Che fine fa il resto?
Secondo un paper di recente pubblicazione su Atmospheric Dynamics, il resto, ovvero la differenza, è nel ciclo dell’acqua, che con le sue dinamiche riduce appunto la produzione di energia cinetica. Attraverso la dissipazione che avviene nelle microturbolenze generate dalle precipitazioni e attraverso l’evaporazione. Già, perché dal ciclo dell’acqua non nascono solo nuvole e pioggia, ma anche il loro opposto, il tempo stabile e soleggiato, quando le masse d’aria recuperano il vapore perso durante le precipitazioni.
Constrained work output of the moist atmospheric heat engine in a warming climate
Applicando una nuova metodologia di rappresentazione semplificata a dati di rianalisi e simulazione del ciclo termodinamico globale, l’energia cinetica prodotta si riduce di circa un terzo per effetto del ciclo idrologico. Una conferma che però ha valore solo a larga scala, giacché nulla di quanto avviene per dimensioni inferiori a 100 chilometri, appunto la scala spaziale a cui questi dati sono disponibili è potuto entrare nel conteggio. C’è da immaginare, quindi, che la funzione del ciclo dell’acqua possa essere ancora più importante.
Sicché, come mi ha fatto notare Luigi Mariani in uno scambio di mail inerente questa pubblicazione, il fatto che il ciclo idrologico cosituisca un vincolo per il sistema climatico che gli impedisce di generare energia cinetica oltre certi limiti sembra interessate in quanto pone ancora una volta al centro del sistema l’acqua (e non la CO2). L’acqua che impedisce un runaway greenhouse effect alla fine di ogni El Niño semplicemente facendo piovere o che, in questo caso, impedisce che gli eventi estremi (es: cicloni tropicali) lucrino più di tanto sull’energia in più presente in un’atmosfera più calda di 0.85°C rispetto al 1850. In sostanza siamo forse di fonte ad un altro meccanismo di regolazione del quale si dovrebbe forse tener conto nelle simulazioni.
Su Science Daily, in effetti, l’accento viene posto proprio su questo potenziale potere limitante del ciclo dell’acqua in relazione al riscaldamento cioè ad una maggiore disponibilità di vapore, che funzionerebbe in due direzioni, da un lato aumentando l’energia disponibile per gli eventi più intensi, dall’altro inibendo quelli meno intensi, nel contesto di una ulteriore perdita di efficienza del motore termico causata da un ciclo dell’acqua più forte. Questo il virgolettato di uno degli autori:
Gli eventi intensi si rafforzano a spese di quelli più deboli … Riteniamo che la circolazione atmosferica si adatterà a questa forma meno efficiente di trasferimento del calore e potremmo vedere sia eventi generalmente meno frequenti sia eventualmente un ulteriore indebolimento di quelli più comuni, i più deboli.
Si suggerisce quindi una ulteriore chiave di lettura oltre a quella in chiave climatica, e cioè che nonostante una ipotetica maggiore disponibilità di energia per il sistema dovuta al riscaldamento, questa finisca per ridurne l’efficienza piuttosto che aumentarne il potenziale esplosivo.
Lavoro che conferma quanto L. Mariani ha sempre sostenuto su queste pagine: l’eccesso di energia del sistema si scarica sotto forma di pioggia.
Allo scopo di evitare, però, eccessive semplificazioni, voglio riportare le parole di L. Mariani estrapolate da un suo commento di qualche anno fa ( http://www.climatemonitor.it/?p=34873 ):
“1. l’acqua evaporando negli strati atmosferici più prossimi al suolo (boundary layers) raffredda le superfici: Priestley in un suo lavoro del 1966 osservò che se tutta la superficie terrestre fosse coperta da un prato irriguo la temperatura di superficie non potrebbe eccedere i 33-34°C
2. l’acqua è il principale attore dell’effetto serra planetario (nubi + vapor acqueo danno grossomodo il 75% dell’effetto serra complessivo). Lasciando stare le nubi e limitandoci al vapore acqueo, possiamo dire che, in virtù del suo ruolo chiave nell’effetto serra, è atteso che Il vapore acqueo atmosferico amplifichi sostanzialmente il modesto incremento termico dovuto all’incremento di CO2 in atmosfera (aumenta CO2 -> aumenta la temperatura -> aumenta il vapore acqueo, soprattutto per evaporazione dagli oceani -> aumenta ulteriormente la temperatura -> aumenta ulteriormente il vapore acqueo per evaporazione… e così via con quello che in termini tecnici è noto come runaway greenhouse effect, fino al brasato finale).
Tuttavia, come capita di vedere nel ciclo di El Nino, l’atmosfera usa liberarsi dell’eccesso di vapore acqueo con le precipitazioni, il che impedisce di fatto l’instaurarsi di un runaway greenhouse effect.
3. l’iride adattivo di Lindzen è un altro feed-back negativo mitigatorio, molto discusso e legato invece al comportamento dei cumulonembi in atmosfera tropicale.”
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Ciao, Donato.