Questo post nasce dal tentativo di capire se la fiducia nella dendrocronologia, espressa da un vecchio amico in un suo libro sui rapporti tra clima ed eventi storici, fosse ben riposta, anche rispetto alla mia perplessità su come fosse possibile una ricostruzione di parametri climatici del passato, essenzialmente come estrapolazione all’indietro di curve basate su dati recenti.
Non avevo mai guardato nè scaricato dati dendrocronologici per cui, dal sito NOAA/NCDC qui, ho scaricato la prima serie di dati che mi è capitata (Allen et al.,2001, ausl027.rwl, da qui, dati misurati in Tasmania). Guardando questo tipo di dati per la prima volta, notavo che i valori definiti “width ring” non riportavano unità di misura e solo dopo ho scoperto che sono un indice adimensionale; notavo anche che i dati erano costituiti da 44 dataset distinti da una sigla (più tardi ho scoperto che quelli che io chiamavo dataset si chiamano “cronologie”).
Per giustificare la mia poca fiducia in questi dati ho graficato in fig.1 (pdf) le prime 26 delle 44 cronologie chiedendo al mio amico come fosse possibile estrarre qualcosa di sensato da quella nuvola informe.
Mi sono reso conto, però, che probabilmente stavamo parlando di due aspetti diversi della dendrologia: lui (per la cronaca, Giordano Cevolani, noto esperto di meteoriti; geofisico che “nasce” studiando la fisica dell’alta atmosfera con il prof. Ottavio Vittori; già direttore dell’area di ricerca CNR di Bologna) riponeva, giustamente, la sua fiducia nella capacità della dendrologia di definire accuratamente la data di eventi tipo Tunguska, mentre io mi riferivo alla accuratezza con cui si potevano ricostruire serie temporali del passato (temperatura, pressione, precipitazioni, ecc).
Successivamente mi sono chiesto se non fosse possibile estrarre qualche informazione dalla media delle 44 cronologie di ausl027 e dal loro confronto con le temperature medie dell’emisfero sud. Il risultato è in fig.2 (pdf).
Dal grafico in basso si nota che i massimi di accrescimento degli anelli avvengono sempre in una fase di stasi delle temperature o, al massimo, nelle fasi che immediatamente seguono o precedono la stasi. Non sono in grado di giustificare questa relazione: un ritardo stagionale o annuale sarebbe comprensibile ma sulla scala della fig.2 simili “lag” sarebbero difficilmente percepibili e le funzioni di cross-correlazione (fig.3) non mostrano tale evidenza.
Dopo aver identificato la relazione ho cercato di capire se fosse valida sia per altri dataset dell’emisfero sud che per l’emisfero nord: ho scaricato i dati di Ahmed e Ogden per la Nuova Zelanda, newz081.rwl, da qui (non ho trovato una pubblicazione a cui fare riferimento) e, per l’emisfero nord, i dati dalla California di Salzer e Hughes da qui (Salzer et al., 2009, ca667) e dati relativi al Monte Cusma (Appennino tosco-emiliano; qui li chiamo bologna o bo), derivati da una figura di una tesi di dottorato dell’Università di Bologna (disponibile in rete qui). La digitalizzazione manuale tramite carta millimetrata, alcune incertezze nella tesi (dati nominali dal 1860, ma niente prima del 1869; divisioni sul grafico poco leggibili) e solo 3 cronologie non rendono questo dataset il migliore possibile anche se poi fornirà indicazioni in linea con i dataset più “blasonati”.
All’inizio avevo usato usato anche i dati relativi alla penisola di Yamal (Siberia) pubblicati in Briffa et al.,2013, ma erano disponibili solo già calibrati in temperatura e fornivano risultati non del tutto soddisfacenti anche se compatibili con l’ipotesi iniziale (vedere i grafici nel sito di supporto). Solo dopo la pubblicazione di un post di argomento analogo su CM, un commento di Donato Barone mi ha permesso di recuperare i dati originali (raw o .rwl; 571 cronologie; yamal.rwl) di Yamal e di analizzarli allo stesso modo degli altri.
Quindi ho usato complessivamente 2 dataset per l’emisfero sud e 3 per l’emisfero nord con 90 e 885 cronologie, rispettivamente. Tutti i dati e i grafici intermedi, compresi auto e cross-correlazioni e spettri MEM, sono disponibili nel sito di supporto.
Qui presento i risultati a supporto dell’ipotesi iniziale < massimi di accrescimento (quasi) coincidenti con stasi delle temperature> nelle figure 3,4, e 5.
La fig.3 (pdf) mostra la funzione di cross-correlazione (ccf) tra i singoli dataset e la temperatura emisferica corrispondente.
Risalta particolarmente la ccf di bologna (nhbo), simile a quella di Yamal (nhyam) ma spostata in avanti di 19 anni: la curva nera (nhbo-19) è la curva arancione in cui il “lag” di 19 anni è stato annullato. I confronti successivi verranno fatti utilizzando anche la curva nera.
Nella fig.4 (pdf) sono mostrati i dati filtrati di tutte le serie e delle temperature emisferiche corrispondenti.
La fig.5 (pdf) è la fig.4 annotata con segmenti verticali che hanno lo scopo di mettere in evidenza le corrispondenze tra massimi di accrescimento e (quasi) stasi delle temperature.
La relazione tra temperatura e accrescimento prospettata qui è solo un’ipotesi di lavoro che andrebbe provata con dati più estesi, sia come numero di dendrologie che come distribuzione geografica delle stesse. In ogni caso, incunea un ulteriore piccolo dubbio sulla relazione diretta tra aumento dell’accrescimento e aumento delle temperature o, almeno, sulla sua affidabilità.
Nota:Dopo la scrittura del post e prima di mandarlo a CM ho analizzato altri 9 dataset (5 a nord e 4 a sud). I risultati sono elencati nel sito di supporto, sotto la banda di colore rosa (Other). Si confermano le conclusioni del post, tranne nel caso di britt055 (Irlanda del Nord) che mostra alcuni massimi di accrescimento in corrispondenza di massimi di temperatura. |
Tutti i grafici e i dati, iniziali e derivati, relativi a questo post si trovano nel sito di supporto qui |
Bibliografia
- Allen KJ, Cook ER, Francey RJ, Michael K. 2001. The climatic response of Phyllocladus aspleniifolius (Labill.) Hook. F. in Tasmania: Journal of Biogeography, Vol. 28, pp.305-316.
- Keith R. Briffa, Thomas M. Melvin, Timothy J. Osborn, Rashit M. Hantemirov, Alexander V. Kirdyanov, Valeriy Mazepa, Stepan G. Shiyatov and Jan Esper: Reassessing the evidence for tree-growth and inferred temperature change during the Common Era in Yamalia, northwest Siberia, Quaternary Science Reviews, 2013, 72, 83-107. doi: 10.1016/j.quascirev.2013.04.008
- Salzer, M.W., M.K. Hughes, A.G. Bunn, and K.F. Kipfmueller. 2009. Recent unprecedented tree-ring growth in bristlecone pine at the highest elevations and possible causes: Proceedings of the National Academy of Sciences, Vol. 106, No. 48, pp. 20348-20353, 1 December 2009. doi:10.1073/pnas.0903029106
Altro che piccolo cuneo!
F. Zavatti in modo indipendente è arrivato alle stesse conclusioni di J. Bouldin: utilizzare la dendrologia per stabilite le temperature in un certo periodo storico è un puro esercizio matematico che lascia il tempo che trova.
La scarsa correlazione tra temperature e larghezza degli anelli degli alberi (nel senso che a picchi di temperatura non corrispondono, necessariamente, maggiori larghezze degli anelli) dà un grosso colpo alla credibilità delle ricostruzioni delle temperature del passato basate sui dati di prossimità desunti dalle curve dendrologiche.
Credo, però, che la cosa non sia sfuggita ai ricercatori che si occupano di ricostruzione delle serie di temperatura del passato. Briffa et al., 2013, infatti, per poter collegare le temperature alla larghezza degli anelli degli alberi ha dovuto implementare un processo di trattamento dei dati (di tortura dei dati direbbero su WUWT 🙂 ) impressionante. Tale processo è basato su delle curve di normalizzazione regionale (RCS) che tendono ad individuare le cause non climatiche che influiscono sulla larghezza degli anelli degli alberi e, quindi, eliminarle dalle serie di dati in modo tale che i residui così calcolati rappresentino il segnale climatico cercato (per chi ne volesse sapere di più: http://www.climatemonitor.it/?p=32656).
Il tutto, però, presuppone che gli alberi crescano sempre nello stesso modo in presenza delle stesse condizioni climatiche e, purtroppo, questo non è sempre vero.
.
Detto in parole povere il lavoro di F. Zavatti ha messo in chiaro che legare le temperature alla larghezza degli anelli degli alberi è poco credibile e può portare ad errori anche grossi. Ne ero convinto, ma ora posso dire che ne abbiamo le prove. Con questo dobbiamo concludere che è inutile cercare di capire come sono variate le temperature del passato attraverso le analisi dendrologiche? Assolutamente no, ma non credo che sia corretto desumere da esse valori delle temperature a livello di 0,5°C e stilare classifiche da cui si evince che quelli che stiamo vivendo sono gli anni più caldi di sempre. Resto convinto, con J. Bouldin, che gli studi dendrologici siano di fondamentale importanza per capire il modo in cui gli alberi reagiscono ai cambiamenti climatici: usarli come termometri di precisione non serve a niente.
.
E per finire un sentito, grande ringraziamento a F. Zavatti per il grosso lavoro che sta dietro questo post e di cui ci si può rendere conto andando sul sito di supporto.
Ciao, Donato.
Grazie per i complimenti.
Lontano da me l’idea di gettare via i dati dendrocronologici: anzi, dalla
iniziale diffidenza sono passato da una buona fiducia in questo tipo di dati
(mi riferisco ai dati raw; per quelli calibrati in temperatura la penso come
te). Anche sapendo che sto probabilmente esagerando, mi sono trovato a verifica
conclusioni di M. Baillie sul fatto che la peste nera del 541 d.C. e
del 1348 (quella descritta nel Decamerone) dipendessero da fattori
ambientali (cicli solari deboli) registrati anche nella crescita degli
anelli. Ad esempio qui ho messo
in evidenza con due righe verticali gli anni dei due eventi di peste “visti”
dagli alberi in un sito cinese.
E qui ho
marcato con un’ellisse il periodo dell’esplosione di Thera-Santorini (circa
1650 a.C.) “vista” dagli alberi della California.
Baillie dice che questa eruzione ha lasciato tracce praticamente in tutti
gli alberi europei e io penso che forse è troppo pretendere una traccia tanto
visibile anche in California. Però è curiosa la presenza di un segnale
concomitante a così grande distanza.
Questa capacità di registrare segnali anche piuttosto deboli mi spinge
a valutare positivamente i risultati di questa scienza e a seguire gli
articoli scientifici con maggiore attenzione di quanto abbia fatto finora.