Non so voi ma io propendo per la seconda ipotesi, quella cioè che fa un po’ fatica, o se non altro riflette un po’ di più, quando si tratta di incorporare neologismi cui nella maggior parte dei casi si associa un grande potere comunicativo solo perché tutti li usano, non perché ne abbiano davvero.
E non si tratta degli orripilanti ‘attimino’, ‘la qualunque’ o ‘anche no’, che più che neologismi sono strafalcioni e tali restano, quanto piuttosto di quei termini che trovano le luci della ribalta perché qualcuno ce li porta, diventano virali e lì restano. Di questo parla un divertente Mattia Ferraresi sul Foglio di qualche giorno fa, intento a tirare le somme di cosa convenga evitare di proporre all’Accademia della Crusca o ai più robusti editori di vocabolari onde scongiurarne lo sdoganamento finale. Una tradizione, quella della lista delle parole inservibili, che oltreoceano è nata quasi per gioco e si è poi consolidata. Da noi, come da tradizione, ci si affida al caso e al dibattito. Inservibile pure quello.
Curiosamente, ma dal mio punto di vista neanche tanto, è proprio dai temi affini a queste pagine che si dovrebbe partire per buttare le cose nuove che non sempre sono meglio di quelle vecchie. Dal ‘polar vortex’ americano dell’anno scorso alla più classica e buona per tutte le stagioni ‘bomba d’acqua’ nostrana, rispettivamente precedentemente noti come inverno il primo e temporale la seconda. Chi li usa a piene mani difende il proprio diritto all’espressione, anche se deficiente (nel senso di deficio, per carità), tutti gli altri alzano gli occhi al cielo, ognuno per la propria competenza. Ma non è assolutamente un fenomeno di esclusivo territorio meteorologico, ce n’è per tutti.
Per darvi un’idea, ecco qui sotto un breve estratto:
La lista delle censure non piace ai fomentatori della bulimia lessicale, variante della bulimia culturale, sempre che di cultura si possa parlare: una comunità linguistica che sdogana ufficialmente “rosicone”, “fraccata”, “shortini” e chiama un temporale “bomba d’acqua” non necessariamente mostra di avere fatto dei passi in avanti.
Lo trovate qui. Buona Epifania
Uno dei miei favoriti è l’aggettivo “biologico”.
Volendo acquistare un pollo, ne trovai uno “biologico”, ma più caro.
Chiesi se ne avessero uno non biologico, ad esempio un bel pollo minerale, ma mi guardarono strano.
Confesso di essere spesso preso dall’idiosincrasia per alcuni termini che non sono propri del vocabolario tecnico (bomba d’acqua è il più classico, nel senso che tecnicamente non regge in quanto non gli puoi attribuire alcun significato quantitativo).
Tuttavia debbo anche dire (parafrasando Heisensberg) che la lingua non nasce da scienziati ma da sciamani e cacciatori, per cui l’aspetto evocativo ha un valore enorme.
Dall’altro canto c’è il fatto che cercare di vietare l’uso di un termine (ad esempio varando liste di proscrizione, come ha fatto Rabe, citato nell’articolo de Il Foglio) sortisce di solito l’effetto contrario. Illuminante ad esempio (e qui cito da Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Erostrato) è il caso del nome “Erostrato”, e cioè il nome di un pastore greco che, per immortalare in qualche modo il suo nome, incendiò e distrusse il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo antico, il 21 luglio 356 a.C. I suoi concittadini, gli Efesî, lo condannarono a morte e decretarono che non venisse mai più citato il suo nome ….. che infatti ricordiamo ancor oggi essendoci stato tramandato da chi se ne infischiò del divieto (Eliano, Strabone, …).
Insomma, nel caso delle parole vietare porta male….
Caligola, Commodo, Otone, Vitellio, Galba, Domiziano e Nerone (per limitarci agli imperatori romani) furono condannati alla pena della “damnatio memoriae”: più proscrizione di così si muore, eppure…. la stragrande maggioranza di essi continua ad essere ricordata a migliaia d’anni di distanza. Tanto per restare in tema mia figlia ha discusso brillantemente, nel febbraio 2013, una tesi in letteratura latina che verteva su Otone e, inevitabilmente, su Galba, Vitellio e Nerone: alla faccia della condanna all’oblio. 🙂
Ciao, Donato.
mamma mia quante volte ho sentito “ma anche no” ( chi lo dice cerca di essere simpatico con l’interlocutore soprattutto in presenza di altre persone, altrimenti non sarebbe efficace )….orribile!
non mi fa ridere, e molto disgustoso…stesso riserbo anche per tutti i nuovi pseudo-neologismi…concordo con questa riflessione Guido. Buona Befana a tutti.
Alessandro