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Nebbie dimezzate in Pianura Padana: colpa dell’uomo o della natura?

Dopo la segnalazione dello scritto di Luigi Mariani in questo post di qualche giorno fa, anche Aldo Meschiari torna sull’argomento nebbia in Val Padana, con un’analisi e un punto di vista interessanti. L’articolo è uscito in origine sul Meteogiornale, ve lo ripropongo qui di seguito.
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Lo studio del CNR
Non è molto che è uscito un interessante studio del CNR, sotto la supervisione del dottor Sandro Fuzzi, in cui si dimostra che le nebbie padane sono diminuite negli ultimi 20/30 anni di quasi il 50%. Per noi abitanti della Pianura non è una sorpresa, visto che ci eravamo già accorti empiricamente della diminuzione notevole dei fenomeni persistenti di nebbia e galaverna invernali. Certamente, però, avere la prova scientifica di una impressione imperita è ben altra cosa.

Quali le cause?
Lo studio afferma in modo netto che è ancora poco chiaro quale possa essere la causa prima di tale diminuzione. Si citano due possibili concause: l’aumento termico legato al Global Warming, e la notevole diminuzione del particolato inquinante. Emerge infatti che i classici inquinanti della Pianura Padana, l’anidride solforosa, l’ammonica e gli ossidi di azoto, sono diminuiti in modo eclatante, e con essi anche l’acidità delle goccioline di acqua che formano le nebbie: non si potrà più parlare di nebbie acide, dunque.

Pianura Padana meno inquinata
Sappiamo bene come il particolato antropico funga da fondamentale nucleo di condensazione per le nebbie padane: il passaggio dalle vecchie fonti di riscaldamento a carbone prima e a gasolio poi verso quelle più pulite a gas naturale e fonti più pulite non è stata cosa da poco. Siccome la Pianura Padana è tra i luoghi dell’Europa più vulnerabili all’inquinamento antropico a causa della sua conformazione morfologica e del suo clima continentale (scarso ricambio di aria), da anni si sono attivate politiche volte alla mitigazione e alla misurazione degli inquinanti, tra gli ultimi il famigerato particolato dei vari PM 10, 2,5 e 1 micron.

Aumento delle temperature in inverno in Pianura Padana: l’unica causa?
Vi sono come sempre diversi dataset a cui fare riferimento per capire di quanto è stato l’aumento termico in Pianura Padana negli ultimi 20/30 anni in inverno. E non sempre sono coerenti tra di loro. Di certo un aumento vi è stato, valutabile intorno ai +0,5°C, in diversi casi anche maggiore. ma al di là della portata dell’aumento termico padano, che non si vuole qui negare, credo non sia utile soffermarsi solo su tale aspetto per capire la diminuzione eclatante delle nebbie padane. Una differenza di 0,5°C, in più o in meno, non determina di per sé grandi cambiamenti nel sistema fisico padano: nebbie fitte si possono avere a diversi range termici. Molto più importanti sembrano gli aspetti che riguardano le configurazioni bariche dominanti, l’uso dei terreni e ovviamente la presenza di maggiore o minore particolato in bassa troposfera. Del particolato abbiamo già discusso. Riguardo l’uso dei terreni si è già ottimamente occupato il professor Mariani, dimostrando come la diminuzione di terreni umidi come le marcite e l’aumento delle isole di calore urbane concorrano a sottrarre umidità alla troposfera.

Le configurazioni bariche dominanti
Forse ancora più interessante è studiare se tra l’inizio temporale dello studio e la sua conclusione vi sia stato un cambiamento importante nelle figure bariche dominanti in Italia del Nord. Sappiamo bene che la nebbia si forma e si amplifica in occasione di estesi e duraturi anticiclonici dinamici. Ora se analizziamo la prima carta tematica relativa alle anomalie dei geopotenziali all’altezza di 500 hPa tra il 1987 circa e il 1995 noteremo ampie anomalie dei GPT positive, indice di frequenti anticicloni invernali. Ben diverso il discorso riguardo alla fine degli anni 1990 e agli anni 2000, dove invece notiamo una lieve anomalia negativa nell’altezza dei geopotenziali, ovvero una maggiore frequenza del flusso semizonale o comunque di fasi più ventilate e quindi meno favorevoli alla formazione di nebbie persistenti.

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Conclusioni provvisorie
In definitiva possiamo trarre qualche conclusione provvisoria.
Il fenomeno fisico della nebbia è uno dei più complessi da comprendere e da prevedere, dato l’elevato numero di fattori concomitanti. Tra questi abbiamo analizzato il particolato antropico (nuclei di condensazione), le temperature invernali (a temperature più basse si raggiunge più facilmente la condensazione, ma temperature più alte permettono al presenza di maggiore vapore acqueo), l’uso dei terreni (maggiore o minore presenza di umidità nel terreno) e infine le configurazioni bariche dominanti (maggiore o minore frequenza di anticicloni invernali).

La diminuzione della frequenza di episodi di nebbia è notevole negli ultimi 20/30 anni, circa il 50%.
Da ciò che abbiamo visto sembra difficile attribuire tale mutamento al solo AGW (Riscaldamento Climatico Antropico).

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Published inAttualità

4 Comments

  1. Ice

    Sinceramente penso che il fattore principale sia l’aumento della temperatura nei bassi strati che è la conseguenza dell’aumento delle superfici cementificate e che ,non dimentichiamolo, vedono l’area padana come una delle più urbanizzate e impermeabilizzate degli ultimi 70 anni in Italia. Detto questo sicuramente concorrono anche le altre cause alla minor formazione di nebbie ma rimango del parere che la motivazione antropica sia quella maggiormente incidente sul fenomeno.

  2. Mario

    “Colpa dell’uomo o della natura?”
    Trattandosi di nebbia io direi: “merito dell’uomo o della natura?”
    🙂

  3. Guido Botteri

    Ho convissuto per anni con viaggi nella nebbia, e con i suoi rischi.
    Una volta seguivo un’auto, in Piemonte, e ad un certo punto questo si ferma e non si muove più.
    Lo sollecito (lo faccio sempre senza esagerare) e lui mi fa
    “ma io sono arrivato, questo è il mio cortile”
    lo avevo seguìto così scrupolosamente che ero finito nel suo cortile 😀

    Nebbie così fitte che si tagliavano col coltello (ceramico, naturalmente 🙂 ) come si diceva.
    Ma davvero vogliamo mettere anche questo tra i “danni” dell’uomo, la diminuzione di incidenti e vittime sulla strada ?
    O vogliamo finalmente incominciare a mettere qualcosa anche tra gli effetti “positivi” ?
    No, perché da anni ormai c’è un tira a segno contro ogni cosa che fa l’uomo; una specie di accanimento masochista di cui non vorrei approfondire le cause, visto che qui siamo per la scienza, non per altri campi che vorrei tenere lontani.
    Quindi mi fermo qui, ricordando soltanto che la civiltà dei veleni, delle industrie, degli inquinamenti, dei tumori ecc. ha portato l’aspettativa di vita media da 30 anni a oltre 80, e non mi sembra un cattivo risultato.

  4. Fabio Vomiero

    Classico esempio di fenomeno climatico complesso, in cui la causa è sempre di natura multifattoriale. Interessante il quadro esplicativo fornito da Meschiari, che condivido sostanzialmente. E’ vero che lo studio del CNR non fa altro che confermare una sensazione già diffusa in noi abitanti del nord. Tra l’altro l’aumento della temperatura nel nord-est, mediamente risulta essere ancora più consistente dei 0,5°C segnalati nell’articolo, e quindi può costituire un fattore, a mio avviso, sicuramente importante nella genesi della nebbia. Così come potrebbe essere fondamentale il miglioramento generale della qualità dell’aria, anche se a fronte di risultati eccellenti per alcuni inquinanti come ossidi di zolfo, benzene, diossine e furani per esempio, sussistono risultati ancora insoddisfacenti in merito ad esempio agli ossidi di azoto, PM10 e PM2,5. Inoltre, il fenomeno della diminuzione delle nebbie, probabilmente agisce anche da feed-back positivo in merito all’ulteriore aumento delle temperature medie, sempre limitatamente alle nostre zone padane. Quindi in un modo o nell’altro (vedi anche modificazione del territorio) mi sembra che il ruolo antropico, almeno in questo caso, sia abbastanza rilevante. Saluto sempre tutti cordialmente.

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