L’argomento di oggi è per certi aspetti rassicurante, perché testimonia che nonostante ci sia un evidente appiattimento della letteratura scientifica sui temi del disastro climatico, spesso con la complicità dei media specializzati, un articolo scritto con robustezza scientifica trova comunque il suo spazio.
Questa volta tocca addirittura a Science, che non è certo il Corriere dei Piccoli e, a mio modesto parere, si tratta di una bomba climatica. Vero anche che parliamo di un paper del maggio 2013 che, nonostante tutto, non ha ricevuto nessuna attenzione dai media. Poco male, siamo qui per questo.
What Are Climate Models Missing?
Questo qui sopra è il titolo e la risposta è semplice: ai modelli climatici mancano le basi, mancano le fondamenta, manca la capacità di riprodurre i meccanismi più importanti del sistema.
La storia dei tentativi di riprodurre le dinamiche del clima comincia più di mezzo secolo fa, con i primi tentativi di descrivere attraverso equazioni primitive il comportamento dei fluidi atmosferici. Erano i primi General Circulation Models (GCM). Erano descritti solo pochi processi, ma già da quei primi esperimenti si capiva che il problema fondamentale, quello di cui si aveva veramente bisogno, era la capacità di riprodurre efficacemente alcuni processi basici come la formazione delle nubi, la convezione dell’umidità e il rimescolamento, ovvero i meccanismi attraverso i quali il sistema persegue il suo obbiettivo, che è soltanto quello di redistribuire efficacemente su tutta la superficie l’energia in eccesso ricevuta all’equatore. Poi, con l’aggiunta di altri numerosi processi, tra cui ovviamente l’accoppiamento con le dinamiche oceaniche, sono arrivati i Global Climate Models (sempre GCM) e, ultimamente, sommandovi le dinamiche biologiche e chimiche del sistema, gli Earth System Models.
Il tutto, naturalmente, ha raggiunto un livello di complessità enorme, data la soverchiante complessità del sistema che si tenta di riprodurre ma, purtroppo, il fatto che tutto sia divenuto più complicato non ha fatto segnare progressi nella replica dei processi fondamentali, quindi nel modo in cui il sistema raggiunge il suo obbiettivo. Anzi, ha di fatto moltiplicato il bias cui le simulazioni sono soggette.
Dimostrarlo non è stato difficile per questi due ricercatori. Togliendo dal set di modelli utilizzati tutta la componente orografica, realizzando cioè qualcosa di molto simile ad un Water World come quello dell’omonimo film di qualche anno fa e rinunciando quindi a rappresentare le interazioni tra l’atmosfera e le terre emerse, tra la distribuzione delle precipitazioni e la risposta della vegetazione e quindi a molte delle componenti dei cicli dell’acqua e del carbonio, hanno ottenuto risultati sostanzialmente differenti tra modello e modello in risposta all’aumento delle temperature, né più né meno come accade per i modelli ad elevata complessità. Un mondo relativamente semplice a quanto pare comunque irriproducibile nelle sue reazioni ad un presunto forcing esterno. In sostanza si potrebbe tradurre così, le simulazioni climatiche fanno tante cose, quasi tutte, ma non quelle che dovrebbero fare.
Non mi pare una cosa da poco. Ora, ci sono due considerazioni che si possono fare.
La prima è tecnica. Questo esperimento potrà sembrare banale, perché il nostro non è un pianeta fatto di sola acqua e quindi quelle ricreate sono condizioni assolutamente virtuali. Ma il fatto che si producano errori tali e quali a quelli che si fanno con sistemi che il pianeta lo riproducono interamente è dirimente. Perché le terre emerse sono la chiave del problema in quanto la circolazione generale a scala planetaria ne è pesantemente condizionata, come lo sono la distribuzione delle precipitazioni e della vegetazione. Se togliendo tutto ciò il risultato non cambia vuol dire che la strada imboccata non è quella giusta.
La seconda è concettuale. Il percorso indicato da questa strada sbagliata, è quello su cui si fondano le policy climatiche sostenute a gran voce dalle organizzazioni sovranazionali, dai leader politici più solerti, dalle organizzazioni ambientaliste, dalle multinazionali che sono state più rapide a comprenderne il valore aggiunto etc etc. Il tutto in un conto salatissimo che viene presentato quotidianamente in mille forme, dai costi dell’energia alla produzione industriale, allo sviluppo in termini più generali. Dopo aver letto questo articolo, vi sentite ancora disposti a pagarlo?
Caro Guido, grazie per aver segnalato un articolo che mi era totalmente sfuggito, evidenziandone altresì il “potenziale eversivo”.
Nello specifico poi voglio sviluppare qui di seguito alcune considerazioni.
Anzitutto il concetto secondo cui “La storia dei tentativi di riprodurre le dinamiche del clima comincia più di mezzo secolo fa, con i primi tentativi di descrivere attraverso equazioni primitive il comportamento dei fluidi atmosferici.” non è propriamente vero, nel senso che prima dei lavori di Smagorinsky è da segnalare, già dagli anni ’50, l’approccio alle dinamiche del clima basato su modelli più semplici (EBM – Energy Balance Models) operato da Budyko e poi ripreso da Sellers (invito gli interessati a leggere il bellissimo l’articolo di Sellers del 1969 → http://journals.ametsoc.org/doi/abs/10.1175/1520-0450%281969%29008%3C0392%3AAGCMBO%3E2.0.CO%3B2).
Questo ci dice che il problema del “giusto livello di complessità” è presente alla comunità scientifica da parecchio tempo, tant’è vero che ne parla lo stesso Smagorinsky (1963) quando scrive “In pursuing the objective to generalize theoretical models we must ask ourselves whether greater detail in formulating the contributing processes is warranted by truncation errors, by sensitivity of the results to detail, by the resulting increase in computational complexity and time, and by ignorance of the way these processes really work. Very often this cannot be determined in advance, but must wait for computational experiments to be performed.”
Questa considerazione ha un’implicazione importante e cioè che è noto da moltissimo tempo che l’approccio GCM basato su “mettiamo nel modello tutta la complessità possibile, è solo un problema di potenza di calcolo dei computer” presta il fianco al problema, correttamente riproposto da Stevens e Bony, per cui la complessità porta il sistema a divergere dalla realtà con effetti che sono di “caos deterministico” e non solo (es: problemi di troncamento, problemi degli errori che nascono come funghi quando inserisci nel modello processi che non conosci a sufficienza).
Peraltro di questo problema si è fatto carico in passato lo stesso IPCC, il quale fino al report 2002 affiancava all’approccio basato su GCM quello basato su EBM (nei report successivi mi pare che l’approccio a EBM sia stato abbandonato, ma non ne sono sicuro).
Ora i due autori ci richiamano al fatto che su processi convettivi, corpi nuvolosi e precipitazioni siamo ancora al palo, il che dovrebbe far riflettere sull’uso dei modelli GCM per scopi regolatori. Ma voi credete davvero che qualcuno rifletterà? Io credo invece che la “gioiosa macchina da guerra” non si fermerà di fronte a nessuna evidenza contraria. D’altronde lo stesso articolo di Stevens e Bony riduce i termini quantitativi della questione ad una sola figura, dalla quale più che “colorini” non cogli mentre in realtà un’analisi quantitativa di maggior dettaglio potrebbe “stroncare” in modo assai più stringente un approccio modellistico che proprio non ce la fa a descrivere al realtà (come ci dimostrano a usura i 18 anni di mancato riscaldamento che stiamo oggi vivendo).
La mia conclusone è dunque che l’articolo dice in sostanza che “il re è nudo” ma lo fa senza che il re se ne debba dispiacere più di tanto…
Luigi,
qualcosa del genere insomma…
Questa è bellissima, di Ban Ki-Moon:
“Il cambiamento climatico rende il meteo più estremo e disturba i modelli stabiliti.”
Eccellente spiegazione del motivo per cui i modelli AGW non funzionano mai: è colpa dell’AGW.
Ma siete indietro. al TG1 hanno appena fatto vedere le orribili previsioni dell’ultimo modello, con i commenti del solito meteorologo da avanspettacolo…
A costo di essere ripetitivo, anch’io dico no.
“Il tutto in un conto salatissimo che viene presentato quotidianamente in mille forme, dai costi dell’energia alla produzione industriale, allo sviluppo in termini più generali. Dopo aver letto questo articolo, vi sentite ancora disposti a pagarlo?”
quale sarebbe stata l’alternativa (ristrettamente al tema del post, il funzionamento di quei modelli)?
con l’abitudine della politica di sottomettere la realtà alle leggi, se il waterworld avesse funzionato avremmo rischiato di trovarci a dover spianare montagne e sommergere continenti
…tutto sommato, quindi, purtroppo si :'(
Gentile Flavio benché condivida con Lei…”l’abitudine della politica di sottomettere la realtà alle leggi, se il waterworld avesse funzionato avremmo rischiato di trovarci a dover spianare montagne e sommergere continenti…” a me sembra che non abbia capito lo spirito del post che è legato ad un pensiero più ampio e più critico nelle tematiche che vengono trattate in questo blog. Si rilegga bene l’articolo ma, sopratutto, si rilegga tutti gli interventi precedenti e vedrà, quanto sopra scritto, sotto una luce diversa. La saluto sempre con il doveroso rispetto di chi la ” vede” in modo diverso, Franco
leggo assiduamente e ho (o almeno ritengo di aver) “capito lo spirito del post che è legato ad un pensiero più ampio e più critico nelle tematiche che vengono trattate in questo blog. Si rilegga bene l’articolo ma, sopratutto, si rilegga tutti gli interventi precedenti”, e infatti ho precisato e ribadisco:
“ristrettamente al tema del post”
se invece il tema non era “oltre a non avere alcun rapporto con la realtà quei modelli non vanno nemmeno d’accordo fra loro, neanche “col waterworld”” la prego di riassumermelo in venti parole in modo che possa, eventualmente, cambiare idea
… I modelli del lungo periodo, appunto, non ne azzeccano una, nel frattempo quei furboni dei nostri governanti attingono a piene mani nelle tasche di tutti nei “famigerati mille modi”.
Personalmente ne ho pieni i….ni di questi! e sono stufo di continuare a sostenerli perché costretto da questo o quell’altro provvedimento amministrativo volto a salvare il pianeta. Il clima è cambiato, cambia e cambierà sempre come da conoscenze scientifiche assodate.Forse così sono più chiaro, Saluti Franco
evidentemente non sono chiaro io:
sono contento che “quei waterworld” tutti diversi non gli abbiano dato la scusa per inventare un milleunesimo modo per svuotarci le tasche per spianare le montagne
si capisce meglio così?
poi, come esplicitato nel 99% dei miei interventi, sono d’accordo che bisognerebbe tagliare anche i mille precedenti, ma (l’ho già detto “ristrettamente al tema del post”?) è un altro problema
Con questo si dimostrerebbe che la balla del clima che cambia e cambia male è comunque il minore dei mali.
Eccellente 😉
No!
No!