Il titolo di questo post fa riferimento all’intuizione di James Lovelock, una descrizione del ciclo stagionale della CO2 notoriamente soggetta a variazioni di grande ampiezza scandite dall’alternarsi delle stagioni di sviluppo e quiete della biosfera. Un’intuizione poetica e geniale allo stesso tempo. Beh, dai dati raccolti negli ultimi decenni, l’ampiezza di questo ciclo sembra essere divenuta ancora maggiore. Insomma, questo malandato (?) pianeta respira più profondamente. Già, perché di questo si tratta, non di un respiro più affannoso o pesante, come invece altri hanno interpretato. Un cambiamento, tra l’altro, che poco ha a che fare con l’aumento della concentrazione di CO2 in assoluto e con i temi connessi all’impatto che questo potrebbe avere sulle dinamiche del clima, se non per quel che riguarda la chiara dimostrazione di aumento dell’efficienza di un sistema ben più resiliente di come solitamente lo si descrive.
La CO2, infatti, è senz’altro un gas serra, quello tra l’altro che contribuisce secondo solo al vapore acqueo a mantenere su valori accettabili per la vita come la conosciamo la temperatura di questo pianeta, ma è anche e soprattutto ciò di cui si nutrono le piante. Tutte, nessuna esclusa.
Ma, anche in questo, sembra esserci un contributo umano, qualcosa che però si fa fatica a giudicare negativamente. Fino a qualche tempo fa, si riteneva che il progressivo aumento dell’ampiezza dei cicli stagionali della CO2, dovesse essere interamente imputato ad un fenomeno noto come fertilizzazione da CO2, cioè, più cibo disponibile per le piante, aumento dei loro ritmi di crescita e diffusione. Ora sono apparsi più o meno contemporaneamente su Nature due paper che attribuiscono una parte consistente della crescita del ciclo stagionale dell’anidride carbonica alle piante sì, ma a quelle coltivate dall’uomo per far fronte alla propria necessità di risorse alimentari. A farla da padrone il granturco, seguito a ruota da altre importanti materie prime alimentari di origine vegetale.
In uno di questi articoli, si parla addirittura di rivoluzione verde riferendosi all’enorme aumento di capacità produttiva raggiunto con la coltivazione intensiva, con le tecniche moderne, con i fertilizzanti e così via. Una rivoluzione verde, è bene ricordarlo, che ha sempre mantenuto una velocità di crescita superiore a quella della popolazione, che pure non ha scherzato, per così dire. Quanto segue è tratto dall’abstract di uno di questi due articoli: L’aumento di lungo periodo dell’ampiezza stagionale [del ciclo della CO2] è del 0.311 ± 0.027% all’anno, del quale degli esperimenti sulla sensibilità hanno attribuito il 45, 29 e 26% rispettivamente alla variazione di uso del suolo, alla variabilità e cambiamento del clima e all’aumento della produttività dovuta alla fertilizzazione con CO2.
Non male per un pianeta che starebbe diventando una distesa arida e improduttiva per il sopraggiungere di temperature insostenibili.
Qui di seguito i titoli e i link agli articoli, nonché agli approfondimenti che questi hanno ricevuto su Science Daily:
- Direct human influence on atmospheric CO2 seasonality from increased cropland productivity (Nature – Science Daily)
- Agricultural Green Revolution as a driver of increasing atmospheric CO2 seasonal amplitude (Nature – Science Daily)
Dalla lettura dei due articoli risulta che questi stigmatizzano il fenomeno come uno dei tanti segnali negativi legati ll’impatto antropico, il che è del tutto ovvio in quanto la linea editoriale di Nature è tale per cui se non paventi catastrofi non ti pubblicano.
In proposito cito la chiusa all’articolo di Gray et al:
” the results reported here illuminate an important anthropogenic impact on global carbon budgets, and reveal another pathway through which humans are fundamentally altering the Earthsystem.Inthe coming decades, climate change impacts on natural ecosystems are likely to continue, leading to ongoing (and
possibly accelerating) intensification of the seasonal cycle of atmospheric CO2. In parallel, current projections suggest that global food production will need to nearly double over the next 50 years, requiring concomitant increases in cropland productivity, and by extension, imposing an even stronger signature of human activities in atmospheric CO2″.
Da parte mia proporrei una visione più positiva basandomi sui seguenti fatti:
1. il fatto che ciclicità annuale (con minimo di CO2 nell’estate boreale e minimo nell’inverno boreale) si accentui indica che l’ecosistema è più che mai attivo e risponde molto bene alla fertilizzazione carbonica ed alla maggior mitezza del clima (come Guido ha giustamente sottolineato)
– il fatto che gli autori attribuiscano una quota rilevante del fenomeno all’agricoltura (il 45% nello studio di Gray et al., 17-25% in quello di Zeng et al), indica che l’agricoltura stessa è una soluzione possibile al problema (ammesso e non concesso che di problema si tratti) del trend crescente di CO2.
Sottolineo infine che la forbice esistente fra le stime dell’effetto dell’agricoltura fatte da Gray et al. e da Zang et al. è enorme ed indica quanto ancora inaccurate siano le nostre stime.