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Stima quantitativa del contributo della massa all’aumento del livello del mare.

Il livello del mare è una grandezza fisica che è stata misurata da secoli in quanto estremamente importante per le opere costiere realizzate dall’uomo. La superficie del mare è una superficie equipotenziale (ogni punto della superficie marina ha la stessa energia potenziale rispetto al centro di massa della Terra) e rappresenta la forma della Terra. Una volta (circa quaranta anni fa) si diceva che il Geoide, ovvero la superficie della Terra, poteva essere considerata costituita dalla superficie degli Oceani estesa al di sotto dei continenti. Tale definizione è ancora perfettamente valida, ma, oggi, si preferisce una definizione diversa: il geoide è la superficie equipotenziale perpendicolare in ogni suo punto alla forza di gravità coincidente con il livello medio del mare.

GeoideRappresentare la superficie della Terra è stato, da sempre, il sogno dell’uomo e fin dagli albori della civiltà umana, si sono cercati dei mezzi per poter realizzare questo sogno. In epoca ellenistica i geografi erano riusciti a determinare con impressionante precisione il raggio terrestre (famosa la misura che di tale grandezza fece il grande Eratostene). In epoca più recente cominciarono a svilupparsi varie ipotesi circa la forma effettiva della Terra: in origine essa venne considerata sferica, successivamente fu schematizzata con un ellissoide di rotazione ed oggi, grazie ai satelliti gravimetrici, è conosciuta come Geoide. Nel seguito una rappresentazione della forma della Terra basata su rilievi gravimetrici satellitari.

Da un punto di vista geodetico e topografico, però, la Terra continua ad essere considerata un ellissoide (Ellissoide Internazionale). Nella figura seguente possiamo vedere in modo schematico la differenza tra geoide, ellissoide internazionale e forma effettiva della Terra. Si noti la sottile differenza tra Geoide (superficie equipotenziale e, quindi, perpendicolare in ogni suo punto alla direzione dell’accelerazione di gravità o della forza peso) ed Ellissoide Internazionale (superficie geometrica di un ellissoide di rotazione): nei punti in cui le due superfici si intersecano, le perpendicolari ad esse sono diverse.

Confronto

 

Con lo sviluppo della Geodesia, a partire dal 1600, sono state individuate anche le tecniche di proiezione per poter rappresentare la Terra in forma piana (carte geografiche). Tutte queste tecniche avevano bisogno, comunque, di una superficie di riferimento e tale superficie è sempre stata il livello medio del mare. Rispetto a questa superficie noi calcoliamo, inoltre, i dislivelli tra punti diversi della superficie terrestre e ad essa riferiamo tutti i nostri rilievi: da un semplice piano quotato di poche centinaia di metri quadrati ad una strada, un acquedotto e, via via, fino alle opere umane più complesse.

Il problema che intere generazioni di geodeti, topografi e geografi hanno dovuto affrontare, però, è sempre stato quello di determinare l’esatta superficie del mare o, per essere più precisi, il suo livello. Fino all’avvento dell’era satellitare (una quarantina di anni fa) il livello medio del mare era determinato esclusivamente mediante mareografi basati a Terra: nei punti più riparati dei porti venivano realizzati dei pozzi collegati mediante cunicoli con il mare e in essi, attraverso dei dispositivi meccanici, si registrava in modo continuo l’andamento del livello del mare. Tale metodologia presupponeva che il livello terrestre fosse invariabile e che il mare si muovesse rispetto ad essa. E’ ovvio che questa visione semplicistica non era quella degli studiosi della materia che avevano già individuato metodiche per tener conto del fatto che la terra non era ferma, ma soggetta a fenomeni di subsidenza o innalzamento connessi all’evoluzione geologica delle aree in cui era stato posizionato il mareografo. Il principale inconveniente di questa tecnica di rilievo, oltre all’errore connesso agli spostamenti relativi di terra e superficie del mare, è costituito dal fatto che ci troviamo di fronte a delle misure puntuali che rappresentano, quindi, un modestissimo campione dell’immensità della superficie oceanica. In Italia, per esempio, la rete mareografica nazionale è costituita da 36 stazioni ubicate in prevalenza nei porti: su ottomila e passa chilometri di coste solo 36 punti di misurazione! E’ appena il caso di sottolineare che l’attuale rete mareografica (gestita da ISPRA) è stata completamente aggiornata da un punto di vista tecnologico. I vecchi sistemi a galleggiante, sostituiti da quelli ad ultrasuoni a partire dal 1998, sono stati affiancati, da pochi anni, da sensori a microonde (radar) che monitorano il livello del mare con precisione millimetrica e che sono stati tarati attraverso il confronto con le serie mareografiche storiche. I valori del livello del mare ottenuti come media di quelli misurati, infine, vengono confrontati con il livello della cosiddetta “staffa mareografica” la cui quota è riferita alla rete di livellazione rilevata dall’Istituto Geografico Militare (I.G.M.) che costituisce, insieme alle triangolazioni di vario ordine ed alle basi geodetiche, l’ossatura portante della cartografia nazionale.

Con l’avvento dell’era satellitare sono state progettate molte missioni il cui scopo è quello di misurare nel miglior modo possibile il livello del mare non solo lungo le coste, ma in mare aperto dove mai possiamo immaginare di installare un mareografo tradizionale. Di tutte le missioni satellitari che si sono occupate di misure del livello del mare, una delle più importanti è quella che ospita lo strumento GRACE (Gravity Recovery and Climate Experiment). La missione è costituita da due satelliti gemelli che misurano le anomalie del campo gravitazionale terrestre mediante altimetri satellitari. L’esperimento ha generato una messe enorme di dati che gli studiosi stanno continuando ad esaminare e che hanno prodotto numerosissimi articoli scientifici.

Sulla scorta dei dati di GRACE gli scienziati hanno visto che il livello medio del mare è in aumento e che il tasso medio di aumento del livello del mare è di 3,2 +/-0,4 mm per anno. Questo dato è riferito all’intera superficie dell’Oceano, ma non significa che il livello del mare sta aumentando nello stesso modo in ogni suo punto: in alcune aree esso è, infatti, in aumento, in altre aree è in diminuzione. Nelle aree in cui esso è in aumento, inoltre, il tasso di variazione è diverso: in alcune aree il livello del mare aumenta con tassi anche di 3 volte più elevati della media globale. Bisogna precisare, infine, che il tasso di variazione del livello medio del mare misurato dai satelliti è sensibilmente superiore a quello misurato dai mareografi: circa 1 mm all’anno. Le ragioni di questa differenza non sono ancora chiare del tutto, ma è molto probabile che esista un bias o errore sistematico che caratterizza le misure satellitari (molto più probabile, secondo me) o quelle mareografiche (piuttosto improbabile, sempre a mio giudizio) .

Gli scienziati si sono chiesti quali fossero le cause di questa variazione del livello del mare e hanno individuato due fondamentali contributi: una componente sterica legata all’aumento del contenuto di calore dell’oceano ed una componente legata alla massa. Analizziamo brevemente questi due contributi.
L’acqua degli oceani, come ogni altro corpo, se sottoposto ad aumento di temperatura, si dilata. Nel caso degli oceani il loro contenuto di calore tende ad aumentare e, quindi, aumenta anche la temperatura dell’acqua che li costituisce. La fonte energetica che determina l’aumento della temperatura degli oceani è costituita dalla radiazione solare che tende a riscaldare gli strati superiori del mare (soprattutto nelle aree equatoriali e tropicali). La circolazione termoalina, infine, distribuisce il calore accumulato nelle acque tropicali verso le aree polari determinando dei gradienti termici tra i vari mari del globo terrestre. Globalmente possiamo quantificare la componente sterica dell’aumento del livello medio del mare in 1,1+/-0,3 mm per anno. Di tale contributo la maggior parte (circa 0,7 mm per anno) è dovuta al volume d’acqua compreso tra la superficie del mare e i 700 m di profondità, circa 0,1 mm per anno al volume d’acqua compreso tra 700 m e 3000 m di profondità e la restante parte al resto del volume oceanico. Per quest’ultima aliquota della componente sterica, però, bisognerebbe fare un discorso molto più articolato in quanto le acque profonde si comportano in modo diverso a seconda dell’area che prendiamo in esame. Il discorso ci porterebbe però troppo lontano per cui preferisco soprassedere e rinviarlo alla fine del post.

L’altra componente dell’aumento del livello del mare (1,8+/-0,5 mm per anno) è legata agli apporti di massa agli oceani, cioè a nuova acqua che va ad aggiungersi a quella già presente in essi. Questa acqua aggiuntiva deriva in massima parte dalla fusione delle calotte glaciali terrestri (groenlandese ed antartica, principalmente) e dalle variazioni dell’apporto idrico delle masse di acqua liquida circolante sulle terre emerse (di superficie e sotterranea).

Un recente studio
Relative Contributions of Ocean Mass and Deep Steric Changes to Sea Level Rise Between 1993 and 2013
di Sarah G. Purkey, Gregory C. Johnson & Don P.Chambers
pubblicato sul Journal of Geophisical Research (qui l’abstract e qui il pre-print) ha cercato di quantificare il contributo delle variazioni di massa all’innalzamento del livello del mare analizzando i dati relativi al periodo 1993/2013.

Il contributo della variazione di massa all’innalzamento del livello del mare è estremamente importante e ha un comportamento diverso dal contributo sterico. Mentre il secondo varia, infatti, in modo piuttosto veloce e fa registrare fluttuazioni ad alta frequenza ed a piccola scala , il primo determina fluttuazioni a grande scala ed a bassa frequenza. Gli autori dell’articolo (da ora Purkey et al., 2014) hanno utilizzato due metodi per la stima del contributo della variazione di massa applicandoli a sette regioni oceaniche.
Il primo metodo per la stima dei contributi di massa all’aumento del livello medio del mare è basato su una serie di record di dati derivati da misurazioni dirette condotte da navi oceanografiche nell’ambito del progetto di ricerca World Ocean Circulation Experiment (WOCE) condotto tra il 1992 ed il 2013. Questo progetto prevedeva la raccolta di dati relativi alla temperatura ed alla salinità lungo 7 sezioni oceaniche. I dati furono rilevati eseguendo misure della conduttività elettrica dell’acqua marina ogni 55 km circa e per almeno due volte a distanza di circa 10 anni l’una dall’altra.

Purkey et al., 2014 ha individuato una griglia di 1/3° x 1/3° su una proiezione Mercatore del globo terrestre e in ogni nodo di tale griglia ha determinato l’andamento del livello medio del mare nel periodo 1992-2013 sulla scorta dei dati satellitari derivanti da alcune missioni (Jason, ERS, Envist, ecc.). La griglia, infine, inglobava le sezioni in cui erano stati misurati i valori di temperatura e salinità dell’Oceano. Ottenuta questa base di dati gli autori hanno determinato il contributo della massa all’aumento del livello medio del mare per differenza tra il livello medio del mare determinato mediante gli altimetri satellitari ed il contributo sterico calcolato a partire dai profili di temperatura e salinità misurati durante le campagne idrografiche del progetto WOCE (metodo dei valori residui o residuali, nell’articolo).
In altri termini hanno sottratto alla variazione altimetrica del livello del mare, la dilatazione termica della massa oceanica: il risultato è il contributo della massa all’incremento del livello medio del mare. E’ appena il caso di precisare che io ho semplificato molto il discorso trascurando tutto l’armamentario matematico che sta dietro il risultato numerico ottenuto dagli autori. Nella realtà Purkey et al., 2014 sottopone i dati grezzi ad un formidabile trattamento statistico basato su algoritmi di filtraggio allo scopo di eliminare tutte le possibili cause di rumore ed isolare il segnale cercato. Provvede, inoltre, ad un’accurata analisi degli errori di misura delle grandezze fisiche temperatura e salinità misurate in sito con strumenti diversi ed in epoche diverse. Nel pre-print tali operazioni sono dettagliatamente descritte e sono indicati, infine, gli algoritmi matematici utilizzati per integrare i dati lungo le sezioni idrografiche.

L’altro metodo di stima è basato sui dati gravimetrici di GRACE. Lo strumento misura le anomalie gravitazionali terrestri sugli oceani e da tali anomalie, depurate del GIA (assestamento isostatico) si può derivare lo spessore medio della colonna d’acqua lungo sezioni oceaniche ben determinate. Gli autori hanno applicato a tali dati delle “maschere” per escludere dal conto aree oceaniche distanti meno di 300 km dalle linee di costa in quanto tali aree sono maggiormente suscettibili ad oscillazioni ad alta frequenza connesse agli scarichi di massa provenienti dalle terre emerse. L’anomalia gravitazionale desunta da due misurazioni eseguite nello stesso punto, ma in tempi diversi, rappresenta le variazioni di massa in quel punto. Integrando i dati così ottenuti su di una griglia di 1° x 1° ed applicando un filtro basato su una lunghezza di lisciatura di circa 500 km, Purkey et al., 2014 hanno determinato il contributo all’innalzamento del livello del mare dovuto agli apporti di massa. Anche in questo caso mi sono limitato ad una descrizione sommaria della metodologia trascurando i complessi sistemi per individuare l’assestamento isostatico, per omogeneizzare i dati grezzi generati da GRACE, per integrare i dati dopo il trattamento degli stessi e per correlare le anomalie gravitazionali misurate al livello del mare.

Lo studio ha messo in evidenza che il contributo della massa all’aumento del livello medio del mare è rimasto lo stesso sia nel periodo 1996-2006 che nel periodo 2003-2013 ed è pari ad 1,5 +/- 0,04 mm all’anno. In altri termini il tasso di variazione del livello medio del mare non ha subito alcuna variazione negli ultimi venti anni. Si tratta di un risultato estremamente importante in quanto fa piazza pulita di tutti i risultati dei modelli semi-empirici che legano la variazione globale del livello del mare all’aumento della concentrazione di CO2 e, quindi, ipotizzano scenari catastrofici che prefigurano aumenti del livello del mare di svariati metri rispetto ad oggi. Tali modelli si basano sul presupposto che la velocità con cui varia il livello medio del mare sia in aumento per cui se come dimostra Purkey et al., 2014, tale ipotesi non corrisponde alla realtà cade anche il presupposto teorico di molti modelli semi-empirici. Tutto questo riguarda, ovviamente, solo ed esclusivamente il contributo di massa all’aumento del livello del mare in quanto l’articolo oggetto di discussione nulla ci dice sul contributo sterico in quanto, quest’ultimo, non è stato oggetto della ricerca.

Una conseguenza estremamente importante di tale risultato è che la velocità di fusione delle calotte glaciali terrestri non ha subito aumenti negli ultimi venti anni e, se li avesse subiti, sarebbero stati di segno opposto all’aumento dell’invasamento delle acque superficiali terrestri (di superficie e sotterranee). Personalmente propendo per la prima ipotesi in quanto suffragata anche da altri studi, in particolare J.M. Gregory et al. che possiamo trovare qui.

Questo per quel che riguarda il livello medio del mare. Il tasso di variazione del livello medio del mare, comunque, è stato determinato come media ponderata delle sette regioni in cui è stata divisa la massa oceanica. Lo studio ha messo in evidenza, però, che il tasso di variazione del livello medio del mare ha una grande variabilità regionale nel senso che in alcuni punti del globo il livello del mare aumenta con velocità maggiori (+ 4,7+/-2,6 mm per anno nel settore Atlantico-Indiano dell’Oceano Meridionale), in altri tende addirittura a diminuire (- 0,8+/-1,2 mm per anno nel Pacifico Sud-occidentale). Per comprendere meglio quanto descritto è utile la seguente immagine tratta dal pre-print di Purkey et al., 2014 e relativa al contributo di massa al livello del mare calcolato con il metodo dei residui (qui la fonte).

Livello_reg

Particolarmente interessante in Purkey et al., 2014 è la spiegazione di queste differenze regionali nel trend di variazione del livello del mare. A giudizio degli autori il forte aumento del livello del mare nel settore Indiano-Atlantico dell’Oceano Meridionale potrebbe risentire della fusione delle placche glaciali dell’Antartico Occidentale, ma tale ipotesi mal si concilia con quanto accade nell’Atlantico Settentrionale che, pur in presenza dell’altissima perdita di massa delle calotte glaciali groenlandesi, presenta un bilancio di massa negativo con il metodo dei residui e leggermente positivo (1,1 mm/anno) nella stima basata sui dati gravimetrici di GRACE. A giudizio degli autori, pertanto, le differenze nel trend di variazione del livello del mare devono essere attribuite ad altre cause: venti, correnti marine, rotazione terrestre ed anomalie gravitazionali locali.

L’ultima parte del lavoro di Purkey et al., 2014 è dedicata al contributo degli effetti sterici dell’oceano profondo all’innalzamento dei livelli dei mari. Sulla scorta dei calcoli eseguiti il contributo sterico del volume di acqua al di sotto dei 2000 metri di profondità è di circa il 13% (anche questo caratterizzato da notevole variabilità regionale). Il che significa (avendo gli autori effettuato le loro elaborazioni per i primi 1500 metri di profondità) che il contributo della massa alla variazione del livello medio del mare potrebbe essere sovrastimato di un analogo valore (13% circa). Purkey et al., 2014 conclude, però, che la questione è meritevole di maggiori approfondimenti: della serie la scienza non è risolta del tutto.

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8 Comments

  1. Guido Botteri

    Sorprendente il dato del Nord Atlantico, dopo tutti gli allarmi sullo “scioglimento” dei ghiacci groenlandesi. Mi dà pure da pensare la coppia S.O.Pacifico/S.O.Atlantico, confinanti, uno in crescita, l’altro in leggera diminuzione, quasi come se stesse perdendo acqua a beneficio di quello.
    Non essendo uno specialista di questo settore, vorrei proporre il quesito sul contributo (credo difficilmente calcolabile) dato dalla risalita di acqua dal mantello (ringwoodite e olivina), di cui si dice ci sia grande abbondanza (molto) sotto i nostri piedi.
    C’è chi parla di una quantità d’acqua pari a quella contenuta in superficie, e chi tre volte tanto.
    Penso a naso (non ho conoscenze specifiche) che siano fenomeni con cicli di lunghissimo periodo, ma mi piacerebbe che si potesse stimare quel contributo, per quanto non abbia idea della precisione possibile.
    http://www.nature.com/nature/journal/v507/n7491/full/nature13080.html

    • donato

      Guido, nell’articolo gli autori imputano la differenza nel trend di crescita del livello dei due bacini alle oscillazioni ad alta frequenza del contributo di massa. Detto in altri termini le acque di fusione della calotta antartica occidentale (in rapido aumento) determinano una grossa immissione di massa nell’Oceano Pacifico S.O. che si ripercuote nel trend fortemente positivo di variazione del livello del mare di questa regione oceanica. La differenza tra i due bacini vicini è, però, notevole ed è spiegabile con diversi contributi: variazione della velocità della corrente circumpolare, anomalie gravitazionali che tendono a trattenere la maggior parte della massa immessa nell’Oceano nell’area pacifica S.O. e regime dei venti che ostacola il passaggio delle nuove masse d’acqua dal Pacifico S.O. all’Atlantico S.O.. Gli autori riconoscono, però, che sono necessari altri studi per chiarire la faccenda.
      .
      In merito alla tua ipotesi circa il contributo di nuova massa idrica proveniente dal mantello bisognerebbe approfondire la questione e in questo potrebbe darci una mano qualche geologo. Molto interessante l’abstract dell’articolo di Nature che hai citato.
      Ciao, Donato.

    • donato

      Errata corrige
      Nel testo del commento ho confuso Pacifico S.O. con Atlantico S.O.. Per comprendere il senso del post, pertanto, bisogna sostituire a Pacifico S.O. Atlantico S.O. e viceversa altrimenti non si capisce niente.
      Me ne scuso con tutti i lettori e con G. Botteri in particolare.
      Ciao, Donato.

  2. Franco Zavatti

    Mi associo ai complimenti di Franco. Questi post sono importanti per chiarire aspetti poco seguiti ma importanti. Bravo Donato!
    Purtroppo non si riesce più a seguire il link al preprint. Ho visto lo stesso link in altri blog e su twitter e che quindi non ci dovrebbero essere errori, ma penso che Johnson lo abbia tolto (o sia stato costretto a toglierlo) dalla sua pagina, nella quale c’è solo il link all’abstract JGR.

    • donato

      Ho visto. Sono stato fortunato a poterlo leggere, mi dispiace che chi è interessato non potrà più leggerlo, ma le dure leggi del mercato comportano questo ed altro! 🙂
      p.s.: Franco dai un’occhiata alla posta. 😉
      Ciao, Donato.

    • donato

      Franco, nell’articolo che hai citato quello che è sbagliato è il titolo. 🙂
      Comunque ti ringrazio per la segnalazione in quanto il link mi ha consentito di individuare un lavoro molto interessante su cui scriverò a breve qualcosa (con un titolo diverso, però!)
      Ciao, Donato.

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