Antartide, siete mai stati laggiù? Non c’è problema, oggi vi ci porta Aldo Meschiari con un articolo uscito sul meteogiornale che con il suo permesso vi ripropongo qui di seguito.
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Antartide e Global Warming Antropico: un difficile connubio
Un po’ di teoria: l’effetto serra
Il Sole irradia la Terra con onde elettromagnetiche soprattutto ad onda corta, ovvero situabili nelle frequenze del Visibile e UV. La superficie terrestre, a sua volta, emette raggi elettromagnetici ad onda lunga, situabili soprattutto nell’infrarosso (IR). L’equilibrio radiativo del sistema Terra viene raggiunto grazie all’azione di assorbimento dei Gas Serra (GHG) nei confronti dei raggi ad onda lunga (IR) che vengono emessi dalla superficie. I GHG hanno la capacità di impedire la fuoriuscita di tali onde infrarosse (calore) favorendo il riscaldamento del sistema. Vedi la fig. 1, nella quale la radiazione solare è in giallo e quella terrestre in rosso.
Vapore Acqueo e CO2
I GHG agiscono su particolari lunghezze d’onda degli IR emessi dalla superficie: i due gas serra principali, il vapore acqueo (H2O) e la anidride carbonica (CO2), assorbono gli IR a lunghezze d’onda peculiari, spesso sovrapponendosi. Ovvio che dove le azioni di assorbimento si sovrappongano tendono a saturare le stesse lunghezze d’onda; dove invece risultino diverse, il loro campo di azione si allarga. Il vapore acqueo è il principale gas serra. La sua capacità di assorbimento e la sua quantità in atmosfera sono enormemente superiori a quella della CO2. Esiste però una fascia atmosferica trasparente al vapore acqueo e opaca alla CO2: si tratta della banda intorno ai 15µm, come possiamo vedere nella figura 2. È proprio in questa banda che troviamo il picco di assorbimento della CO2 (Fig. 3). Ed è ancora in questa banda, 12-16µm, che si misura la più forte emissione di IR nelle aree polari, ovvero da neve e ghiaccio a temperature sotto lo zero.
Regioni polari e CO2: il connubio perfetto
Le regioni polari sono le aree più secche del pianeta, ovvero quelle in cui la presenza di vapore acqueo è più bassa, molto inferiore agli stessi grandi deserti caldi come il Sahara. Infatti le temperature ampiamente sotto lo zero impediscono l’accumulo delle molecole di H2O nella troposfera. Ecco perché tali regioni sono quelle più sensibili all’aumento della CO2. Infatti sia la scarsità di vapore acqueo, sia il picco di assorbimento nella banda classica della CO2 ne fanno le aree del pianeta più sensibili all’aumento dell’anidride carbonica. In definitiva, stando alla teoria AGW, ovvero del Riscaldamento Globale Antropogenico (causato dai gas serra prodotti dall’uomo), le regioni polari sono quelle in cui si dovrebbero misurare le maggiori anomalie termiche dl pianeta.
Artico e Antartico secondo i satelliti
Tutti sappiamo bene che il riscaldamento in area artica ha fatto segnare picchi davvero notevoli rispetto al resto del globo, tanto che si parla di “amplificazione artica”. E fin qui tutto come previsto dalla teoria AGW. E l’Antartide? Se osserviamo i grafici prodotti dai due enti, la NASA (RSS) e l’Università dell’Alabama (UAH) elaborando i dati satellitari dal 1979 ad oggi, noteremo due comportamenti molto differenti. Ad una notevole anomalia termica in Artico, corrisponde un trend piatto in Antartico.
L’Antartide nei dati storici
I satelliti presentano il rischio di errori di misurazione. Ma senza i satelliti non avremmo mai potuto misurare con tanta precisione la contrazione della banchisa artica di questi ultimi anni. D’altra parte è impossibile poter pensare di avere un monitoraggio terrestre così ramificato come nelle altre parti del globo. Anche riguardo ai dati terrestri, quindi, i problemi non mancano. Possiamo però affidarci a quelle serie abbastanza lunghe delle stazioni antartiche per vedere se ci dicono qualcosa di diverso dai satelliti. Ecco le serie delle stazioni di Halley, Vostok, Amundsen-Scott e Mc Murdo dagli anni ’50 ad oggi. Anche in questo caso non si notano trend importanti, sia positivi che negativi.
L’Antartide nei dati terrestri
Infine affidiamoci ai dati terrestri, in particolare a quelli prodotti dall’Hadley Center (HadCru4) e dalla NASA (GISS). Certo, anche in questo caso non penseremo di essere immuni da errori, visti gli sforzi interpolativi che la bassa frequenza misurativa impone. Partiamo dai GISS: l’analisi del grafico non mostra trend significativi, soprattutto se confrontati con l’Artico.
Passiamo agli HadCrtu4: discorso simile ai GISS.
Conclusione
Nonostante l’Antartide appaia come una delle zone della Terra migliori per la misurazione degli effetti termici causati dall’aumento della CO2, i dati a nostra disposizione non ne danno traccia. La calotta antartica beneficia di uno dei luoghi più secchi del pianeta (assenza del gas sera più potente, H2O) e per sua natura dovrebbe far misurare i picchi di assorbimento delle emissioni IR nelle bande della CO2, eppure non si nota alcun trend significativo nelle misurazioni termiche del continente. Dobbiamo forse ipotizzare la presenza di azioni di feedback locali così potenti da mascherare l’AGW?
Intervento molto interessante, Donato
Conosco lo studio, vedremo cosa ne uscirà…
Ciao Aldo
Articolo molto interessante che mette il dito in una delle piaghe che caratterizzano l’attuale dibattito circa il contributo umano al riscaldamento globale misurato nell’ultima parte del secolo scorso: il diverso comportamento delle aree artiche e di quelle antartiche.
Tale differente comportamento non riguarda solo le temperature, ma anche l’area e l’estensione dei ghiacci marini artici ed antartici. Detto in altri termini i due poli si comportano in modo diametralmente opposto.
Questo fatto mi ha sempre incuriosito e, perciò, ho sempre cercato di capirne il motivo. Ad oggi, però, non sono ancora riuscito a trovare una spiegazione convincente del problema, anzi mi sono reso conto che anche gli scienziati brancolano nel buio e le spiegazioni fornite sono le più varie. Certo fa un po’ effetto, in un mondo che si è scaldato, assistere a continui record nell’estensione della banchisa polare antartica e vedere che l’estensione globale dei ghiacci marini è praticamente la stessa degli anni ’80 del secolo scorso.
Allo stesso modo fa effetto vedere la differenza delle anomalie termiche che caratterizzano i due poli (sono alcuni anni che ne seguo l’evoluzione e ogni volta la cosa mi meraviglia).
Eh, mi sa proprio che l’immagine in testa al post è azzeccatissima! 🙂
Ciao, Donato.
A proposito di meccanismi che spiegano il surriscaldamento artico, è stato da poco pubblicato sui PNAS un articolo a firma di D. Feldman et al. in cui viene individuato un nuovo meccanismo radiativo: l’emissione nell’infrarosso lontano, cioè per lunghezze d’onda comprese tra 15 e 100 micrometri.
http://newscenter.lbl.gov/2014/11/03/far-infrared-arctic/
Secondo gli autori dello studio gli attuali modelli matematici ignorano questo tipo di scambio radiativo che, invece, coinvolge circa la metà dell’energia che arriva sulla Terra dal Sole.
Gli oceani, stando ai risultati dello studio, assorbono la radiazione solare in quanto più scuri rispetto alle superfici ghiacciate e la riemettono sotto forma di radiazione infrarossa. Il tutto come illustrato nel post di A. Meschiari.
Secondo il nuovo studio, invece, solo la metà dell’energia immagazzinata viene irradiata nelle lunghezze d’onda comprese tra 5 e 15 micrometri, la restante parte viene irradiata nell’infrarosso lontano e non è rilevata dagli attuali spettrometri. Questa energia, inoltre, viene emessa molto più lentamente di quella a minor lunghezza d’onda ed è responsabile dell’aumento di temperatura dell’Oceano Artico anche quando, durante l’inverno, manca il Sole. Ciò spiegherebbe anche il fatto che il ghiaccio marino artico fonde durante l’inverno o, per essere più precisi, se ne forma di meno rispetto al passato.
Ovviamente lo studio è basato essenzialmente su elaborazioni modellistiche per cui si rende necessario effettuare nuovi studi e rilievi sperimentali per poter comprendere meglio il meccanismo ed inserirlo nei modelli di simulazione del clima terrestre in modo da rappresentare meglio il sistema.
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Anche a proposito di questo studio sorge, però, spontanea una domanda: perché non succede la stessa cosa anche nell’Oceano Antartico?
Ciao, Donato.
Ringrazio Mariani per la questione.
Penso anche io che i feedback abbiano una maggiore responsabilità nel determinare le anomalie polari. Certamente il fatto che l’Artico sia soprattutto ghiaccio marino e l’Antartico un continente spiega molto. Io ho cercato di mostrare come la teoria AGW non sia in grado, per ora, di spiegare appieno il comportamento climatico dell’Antartide. E lo dico anche perchè la propaganda AGW insiste in modo assiduo sull’Artico, tacendo quasi totalmente invece sull’Antartico in modo un po’ sospetto.
Ringrazio anzitutto Meschiari per l’interessante e chiaro contributo. Mi sorge tuttavia un dubbio rispetto alla frase seguente: “ecco perché tali regioni sono quelle più sensibili all’aumento della CO2. Infatti sia la scarsità di vapore acqueo, sia il picco di assorbimento nella banda classica della CO2 ne fanno le aree del pianeta più sensibili all’aumento dell’anidride carbonica. In definitiva, stando alla teoria AGW, ovvero del Riscaldamento Globale Antropogenico (causato dai gas serra prodotti dall’uomo), le regioni polari sono quelle in cui si dovrebbero misurare le maggiori anomalie termiche dl pianeta.”
Il dubbio deriva dal fatto che ai poli c’è sì pochissimo vapore acqueo ma l’atmosfera è anche molto meno spessa rispetto alle latitudini medio-basse (la tropopausa ai poli è se non erro a 5 -6 km di quota contro i 10 km delle medie latitudini ed i 15-18 km dell’equatore).
Pertanto mi viene il dubbio che l’aumento di temperatura nelle aree artiche simulato dai GCM per il futuro sia soprattutto frutto di:
– feedback positivo legato all’albedo delle coperture glaciali (se calano i ghiacci l’albedo cala e dunque si modifica il bilancio radiativo e di conseguenza quello energetico con conseguenze immediate sulle temperature)
– effetti avvettivi latitudinali più accentuati con maggior trasporto di calore dalle basse alle alte latitudini.
Preciso che la mia è solo una considerazione qualitativa e che per irrobustirla occorrerebbe fare un po’ di conti.
Luigi Mariani