Quello della sensibilità climatica, intesa come stima del riscaldamento atteso per un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto ai valori pre-industriali, o come relazione fissa tra la concentrazione di CO2 e le temperature, è il centro del dibattito sul riscaldamento globale e sui cambiamenti climatici eventualmente indotti da esso.
Se ne è occupata abbondantemente la letteratura scientifica, se ne occupano molto gli ambiti di discussione climatica sul web, ce ne siamo occupati spesso anche noi. E’ un argomento che ha diversi punti sostanziali, tra tutti spiccano la discrepanza crescente tra le stime fatte basandosi sulle simulaizoni e quelle fatte basandosi sulle osservazioni, il recenti cambiamenti verso il basso delle stime più probabili pubblicate con l’ultimo report IPCC rispetto a quelle del penultimo e, infine, l’ampio margine di incertezza che comunque sussiste tra le stime più basse e quelle più alte di ognuno dei diversi approcci al problema che sono stati tentati.
Del resto, è un fatto che un riscaldamento eventuale di 1,5°C nelle prossime decadi sarebbe ben diverso da uno di 4,5°C, ammesso che arrivi e ammesso che le conseguenze in termini di dinamiche climatiche dovessero essere paragonabili a quelle prospettate dalle simulazioni. Come diverse sarebbero anche le policy da implementare per porvi rimedio, ancora una volta ammesso che queste possano avere qualche effetto e siano effettivamente percorribili. In sostanza, meno riscaldamento uguale meno problemi.
Il dibattito è esattamente questo, nonostante diversi abili oratori con più o meno titolo si stiano affannando in questi giorni a lanciare allarmi di vario genere dal palco della conferenza ONU sui cambiamenti climatici di New York. E, finché questo non sarà chiarito, ben difficilmente potrà essere chiara la strada da percorrere.
Sicchè, ben venga l’ultimo interessante paper uscito su questo tema e firmato da Nick Lewis, già autore di un altro corposo report sulla sensibilità climatica, e Judith Curry, figura di spicco del panorama della ricerca sul clima. Un paper che ha molti pregi. Innanzi tutto quello di essere liberamente consultabile insieme ai dati ed ai codici impiegati pur essendo stato pubblicato su una rivista scientifica, poi di esser partito di fatto dallo stato dell’arte, cioè dai numeri relativi alle forzanti e all’incertezza sulle stesse pubblicati sull’ultimo report IPCC, poi ancora, anche se questo a qualcuno piacerà meno, di aver prodotto delle stime di sensibilità climatica più bassa di quanto sia accaduto per la maggior parte degli studi su questo argomento.
Questo sotto è l’abstract:
Energy budget estimates of equilibrium climate sensitivity (ECS) and transient climate response (TCR) are derived using the comprehensive 1750–2011 time series and the uncertainty ranges for forcing components provided in the IPCC Fifth Assessment Working Group I Report, along with its estimates of heat accumulation in the climate system. The resulting estimates are less dependent on global climate models and allow more realistically for forcing uncertainties than similar estimates based on forcings diagnosed from simulations by such models. Base and final periods are selected that have well matched volcanic activity and influence from internal variability. Using 1859–1882 for the base period and 1995–2011 for the final period, thus avoiding major volcanic activity, median estimates are derived for ECS of 1.64 K and for TCR of 1.33 K. ECS 17–83% and 5–95% uncertainty ranges are 1.25–2.45 K and 1.05–4.05 K; the corresponding TCR ranges are 1.05–1.80 K and 0.90–2.50 K. Results using alternative well-matched base and final periods provide similar best estimates but give wider uncertainty ranges, principally reflecting smaller changes in average forcing. Uncertainty in aerosol forcing is the dominant contribution to the ECS and TCR uncertainty ranges.
Mentre qui c’è il paper completo: The implications for climate sensitivity of AR5 forcing and heat uptake estimates
Qui e qui, invece, ci sono i post che Nick Lewis e Judith Curry hanno pubblicato sui loro blog per contestualizzare l’argomento del paper.
Buona giornata.
La sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) stimata dai modelli climatici è superiore a 3°C. Mann assume che essa possa porsi uguale a 3°C sulla base di studi paleoclimatici ed altre serie di dati, ma spera che sia pari a 2,5°C in modo da avere più tempo per correre ai ripari. Nel frattempo ben 14 studi sui 42 pubblicati dal 2010 ad oggi (1/3 del totale) stima ECS inferiore o al massimo uguale a 2,5°C.
Mann giudica eccessivo il fatto che l’IPCC in AR5 abbia ridotto il limite inferiore di ECS ad 1,5°C, ma ho l’impressione che, di questo passo, tale limite inferiore sarà ulteriormente abbassato.
Il lavoro di Lewis e Curry è molto interessante, ma un po’ ostico per cui richiede un certo tempo per essere “digerito” (almeno per me). Ho l’impressione, però, che farà piuttosto rumore in quanto, oltre ad essere basato su dati osservativi, attribuisce un peso notevole alla variabilità naturale. Questo, ad una prima impressione, dovrebbe essere il motivo per cui il valore più probabile di ECS calcolato da Lewis e Curry appare piuttosto distante da quelli generati dai modelli matematici.
Qualora dovessero emergere fatti nuovi mi riprometto di ritornare sull’argomento a bocce ferme dopo aver avuto la possibilità (e il tempo 🙂 )di riflettere su quanto scritto dai due autori.
Ciao, Donato.