Applicazione della Tecnica di Analisi Singolare dello Spettro (SSA) allo studio della recente pausa delle temperature superficiali globali
Ultimamente stiamo assistendo ad un fiorire di lavori scientifici che tentano di spiegare la recente pausa, iato, arresto (dipende dalle convinzioni di chi usa i termini) nel trend di aumento delle temperature superficiali terrestri globali. La cosa in ambienti scettici viene vista anche con umorismo, ma da un punto di vista personale la considero un fatto positivo in quanto, come ho già avuto modo di scrivere su queste pagine, è un indice del fatto che la comunità scientifica di fronte ai dati che contraddicono una teoria consolidata, mette in discussione il paradigma costruito e, alla fine, riconosce (qualora ve ne siano) eventuali errori commessi. Particolarmente significativo tra tutti i lavori di cui scrivevo nel precedente capoverso, mi è parso il breve, ma intenso articolo di Macias D., Stips A., Garcia-Gorriz E. (da ora Macias et al., 2014):
Application of the Singular Spectrum Analysis Technique to Study the Recent Hiatus on the Global Surface Temperature Record (qui su PloS ONE)
Aspetto di colore, ma che non ha nulla a che vedere con i contenuti dell’articolo, è che gli autori sono affiliati al centro di ricerca italiano ISPRA (European Commission, Joint Research Centre, Institute for Environment and Sustainability, Water Research Unit, Ispra, Italy).
Dopo tutte queste premesse è opportuno, comunque, passare a vedere ciò che di interessante ci propone l’articolo. Contrariamente alle mie abitudini esordisco con un grafico (qui la fonte dell’immagine ed anche il comunicato stampa con cui il centro di ricerca comunica la pubblicazione dell’articolo).
Gli autori, allo scopo di capire che cosa stesse succedendo alle temperature terrestri in questi primi anni del 21° secolo, hanno applicato a diversi record delle temperature superficiali terrestri HadCRUT4 (temperature medie globali, temperature dell’emisfero settentrionale, temperature dell’emisfero meridionale e temperature regionali sulla base della griglia 5°x5°) un’analisi statistica particolare che va sotto il nome di SSA (Singular Spectrum Analysis) che ben si adatta a decomporre serie temporali di dati discontinue e piuttosto rumorose, in sequenze di modelli semplici (che prendono il nome di tendenze) o di modelli oscillatori. Gli autori, allo scopo di individuare eventuali variabilità di tipo stagionale, hanno provveduto ad applicare l’analisi anzidetta alle serie di dati mensili. Non è stato possibile, invece, applicare la tecnica di analisi ai dati della griglia 5°x5° in quanto lacunosa (molti pannelli sono privi di copertura osservativa o le osservazioni sono discontinue ed eccessivamente frammentate). Quest’ultima è una buona notizia: invece di inventarsi i dati con inverosimili interpolazioni gli autori dello studio, correttamente secondo me, hanno preferito soprassedere rinunciando all’analisi bidimensionale.
Come i lettori di CM ormai sanno, nelle serie di temperature è possibile individuare delle periodicità. I lavori di N. Scafetta e quelli di F. Zavatti (riferiti in quest’ultimo caso al data set NOAA) che a più riprese abbiamo commentato su queste pagine, hanno consentito di individuare diversi cicli piuttosto significativi applicando principalmente il Metodo della Massima Entropia o nel caso di N. Scafetta calcolando i periodogrammi delle grandezze fisiche considerate. Macias et al., 2014, lavorando sugli archivi del HadCRU4, con metodologie differenti, hanno individuato altri periodi che non sono molto dissimili da quelli già noti. Le metodologie statistiche utilizzate hanno consentito di individuare una tendenza (definita ST o anche Tendenza Secolare) ed un modello oscillatorio multidecadale (MDV) che presentano un’energia (significatività statistica) estremamente rilevante. Esistono, però, anche altri modelli caratterizzati da energia più bassa che riguardano oscillazioni ad alta frequenza che, influenzano in modo poco rilevante il comportamento del sistema nel lungo periodo, non sono stati presi in considerazione in questo studio. Macias et al., 2014, combinando ST ed MDV riescono a spiegare l’88% della variabilità del data set, mentre il restante 12% è imputabile all’attività solare e ad altre cause fisiche che determinano le oscillazioni ad alta frequenza e, pertanto, possono considerarsi, ai nostri fini “rumore bianco”. Dei due modelli presi in considerazione la parte del leone la fa il modello Tendenza Secolare (ST) che rappresenta circa il 79% della variazione nel data set delle temperature, mentre il modello periodico (MDV) è responsabile del 9% circa della variabilità.
Macias et al., 2014, in accordo anche con precedenti studi, è dell’avviso che MDV è indice di una dipendenza delle temperature dai cicli oceanici (AMO e PDO). In particolare un’analisi di fase ha consentito di appurare che MDV è molto più vicino all’Oscillazione Atlantica Multidecadale che non all’Oscillazione Decadale Pacifica. L’indice MDV calcolato dagli autori dell’articolo alterna, con periodo di circa 62 anni, fasi fredde e fasi calde. Vorrei far notare, a questo punto, che anche in questo studio compare un periodo a noi ben noto: il periodo di circa 60 anni che abbiamo individuato nelle analisi di N. Scafetta, di F. Zavatti, di M. Wyatt (onda dello stadio) e via cantando. Particolarmente interessante un post di F. Zavatti pubblicato circa un anno fa (qui su CM) che riesce a costruire un modello delle temperature NOAA utilizzando una funzione sinusoidale di periodo 60 anni ed ampiezza 0,2°C ed una funzione lineare.
Passiamo adesso ad analizzare la tendenza secolare (ST). Buona parte dello studio di cui stiamo parlando è concentrata su questo modello. A partire dal 1850 le temperature globali e quelle degli emisferi settentrionale e meridionale, hanno fatto registrare una tendenza di fondo orientata verso il riscaldamento. Questa tendenza ha avuto inizio nei primi anni del 20° secolo e continua ancora oggi. Nel corso degli anni è cambiato, però, il rateo di riscaldamento: esso è aumentato fino alla fine degli anni ’90 del secolo scorso per poi subire un rallentamento e, ultimamente, fa registrare addirittura una diminuzione. Macias et al., 2014, pone l’accento sulle forti oscillazioni che hanno caratterizzato il trend di variazione di ST: negli anni novanta del secolo scorso esso è addirittura raddoppiato. Si nota, infatti, che tra il 1992 ed il 2001 il tasso di variazione della tendenza secolare passa da 0,0085°C per anno a 0,017°C per anno; dal 2001 la pendenza del trend comincia a diminuire in modo piuttosto rapido fino a raggiungere quasi lo zero nel 2013 (0,003°C per anno). Il diagramma seguente, tratto da Macias et al. 2014, (qui su PloS ONE) illustra in modo molto chiaro la variazione annuale dell’indice ST (curva rossa), dell’indice MDV (curva azzurra) e del composito ST+MDV (curva nera). Si noti la fortissima accelerazione positiva dopo il 1990 e l’altrettanto violenta e prolungata decelerazione dopo il 2001. Gli autori, secondo me a ragione, parlano di evento senza precedenti, per entità e durata, nella serie esaminata. Nel riquadro uno zoom sulla parte terminale della serie di dati.
Detto in altri termini il valore attuale dell’indice ST e le sue variazioni negli ultimi 13 anni sembrano indicarci l’inizio di una fase di raffreddamento che per la prima volta in 150 anni si sostituisce ad una fase di riscaldamento. Questa tendenza molto strana non è frutto di artifici di calcolo, legati a fenomeni di instabilità statistica agli estremi della serie di dati, come hanno potuto verificare gli autori applicando il loro metodo di analisi ad una finestra di dati di ampiezza minore dell’intera lunghezza del record disponibile. A titolo di prova hanno studiato, infatti, la serie dal 1850 al 1960, quando si verificò la pausa che ha preceduto quella attuale, ma in quel caso non si è verificata una simile drastica riduzione del trend, per cui questa fortissima riduzione rappresenta un fatto statisticamente rilevante e non un accidente di calcolo agli estremi della serie da analizzare, legato all’algoritmo utilizzato. Analogo comportamento dell’ST è stato rilevato eseguendo l’analisi statistica con la tecnica SSA dei dati dell’emisfero nord e di quelli dell’emisfero sud: si tratta di un fenomeno caratterizzato da invarianza di scala in quanto registrato sia a scala emisferica che a scala globale.
A mio modesto parere questa conclusione è di grandissima importanza in quanto gli autori dell’articolo ci stanno dicendo che un indice che rappresenta quasi l’80% della variazione delle temperature nel lungo periodo, sembra virare verso una fase fredda. Qualora la cosa dovesse essere confermata da studi successivi e qualunque sia l’insieme delle grandezze fisiche che la tendenza secolare rappresenta, si tratterebbe di un fatto di rilevanza assoluta nel panorama della ricerca climatologica (ammesso, e non concesso, che le temperature globali rappresentino l’integrale del sistema climatico terrestre).
Componendo i due modelli, Macias et al., 2014 hanno individuato nel record delle temperature studiato ben tre periodi di pausa (cfr. fig. 1) coincidenti con momenti in cui MDV era negativo. La prima pausa si verificò a cavallo dell’inizio del 20° secolo (tra il 1878 ed il 1907, circa); la seconda è stata registrata cavallo della metà del secolo (tra il 1945 ed il 1969, circa) e la terza ha avuto inizio a partire dal 2001 ed è ancora in corso. L’ultima pausa, secondo gli autori della ricerca, è piuttosto atipica in quanto mentre le prime due si sono verificate in presenza di un ST crescente (le temperature tendevano ad aumentare), quella attuale ha caratteristiche completamente diverse. Essa coincide, infatti, tanto con un una fase fredda dell’MDV, quanto con una tendenza alla diminuzione dell’indice ST.
Sorge a questo punto una domanda spontanea: a che cosa è dovuto il cambio di trend dell’indice ST? Perché esso nell’ultimissimo periodo sembra virare verso il raffreddamento quando nel passato ha sempre indicato una tendenza al riscaldamento? Le stesse domande se le pone anche Macias et al., 2014, ma non è in grado di dare una risposta. Ad ogni buon conto gli autori avanzano un’ipotesi che vede tra i principali indiziati ENSO che negli ultimi decenni si mantiene costantemente in fase neutra o negativa e la fusione dei ghiacci artici che ha alterato le condizioni del sistema oceanico. Il tutto in presenza di un costante aumento della concentrazione di CO2 atmosferica, come sottolineano anche gli autori, dimostrando grande onestà intellettuale. Stessa onesta che dimostrano quando ammettono che un giudizio definitivo sugli ultimi 20 anni è prematuro in quanto la serie di dati è troppo corta: io non posso che concordare con loro.
Vorrei esplicitamente notare che in questo articolo si parla poco o niente di effetto serra. Ho letto diverse volte l’articolo, ma non ne ho trovato traccia se non qualche cenno: nella parte finale dell’articolo (quartultimo paragrafo) si fa riferimento alla sensibilità climatica e si paventa una sua variazione che spiegherebbe la forte variazione di ST. Esistono, infatti, alcuni studi in cui la sensitività climatica non è considerata costante, ma variabile in modo caotico in funzione del tempo e dell’irradiazione solare (qui un articolo di M. Ghil sull’argomento). Tale circostanza spiegherebbe le improvvise ed inspiegabili variazioni climatiche verificatesi nel passato, ma si tratta di studi piuttosto controversi per cui è opportuno procedere con i piedi di piombo. Una spiegazione del fenomeno, comunque, potrebbe essere trovata qualora si decidesse una buona volta di abbandonare l’ipotesi “CO2-centrica” e si cominciasse a cercare di capire meglio le dinamiche del sistema dinamico non lineare che comunemente definiamo sistema climatico terrestre.
Probabilmente lascerà il tempo che trova, ma esaminando il grafico di fig. 1, una mezza ipotesi su ST vorrei avanzarla. A me sembra anch’esso un modello oscillatorio. Il metodo di analisi statistica non può metterlo in evidenza in quanto la serie di dati presa in considerazione è troppo corta per consentire di individuare periodi secolari o plurisecolari. Ciò non toglie che ST potrebbe essere una traccia di quei cicli plurisecolari di cui tante volte ha parlato N. Scafetta nei suoi lavori.
Altro aspetto rilevante di questo lavoro è l’enfasi che gli autori mettono sul ruolo dell’idrosfera nella determinazione del clima terrestre (MDV e, in senso lato, ST potrebbero dipendere dalle dinamiche oceaniche). Nei giorni scorsi L. Mariani ci invitava a non sottovalutare il ruolo dell’acqua nell’evoluzione del clima. In questo studio mi sembra che l’acqua ricopra un ruolo di primissimo piano. Il lavoro conforta, infine, chi come il dr. R. Spencer, vede nelle dinamiche caotiche del sistema oceanico il driver principale delle variazioni climatiche di lungo e lunghissimo periodo.
Per chiudere vorrei citare le frasi conclusive dell’articolo che io considero estremamente interessanti (l’enfasi è mia):
“Sono necessari ulteriori studi sui ruoli e le interazioni dell’atmosfera con la criosfera e l’idrosfera per capire le cause dei cambiamenti osservati. Tali studi sono fondamentali per poter essere in grado di sviluppare modelli che consentano una rappresentazione realistica delle condizioni attuali e, quindi, per creare scenari plausibili di evoluzione futura del clima“.
La scienza del clima non è risolta.
Una precisazione riguardo all’affiliazione degli autori dell’articolo citato. Non è corretto dire che sono affiliati al “centro di ricerca italiano ISPRA”. Quest’ultimo, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, è in effetti un centro di ricerca italiano vigilato dal Ministero dell’Ambiente ma l’affiliazione degli autori è il Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea, con sede in Italia, nel comune di Ispra, ma che non appartiene al sistema italiano della ricerca. Mi è sembrato opportuno fare questa precisazione visto che l’acronimo del centro italiano e la città sede del centro européo sono spesso fonte di confusione.
“Mi è sembrato opportuno fare questa precisazione visto che l’acronimo del centro italiano e la città sede del centro européo sono spesso fonte di confusione.”
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Grazie per l’opportuna e necessaria precisazione. Come sottolineato da Gianni, posso iscrivermi alla folta schiera di chi fa confusione tra l’acronimo ed il comune: mal comune, mezzo gaudio, ma ciò non toglie che l’errore c’è e va, giustamente, corretto.
Ciao, Donato.
Molto interessante ed obiettivo il lavoro di Diego Macias et al., a mio avviso, in quanto, a parte i tecnicismi, tende a mettere in evidenza dei termini molto concreti della questione come ad esempio la dinamica delle temperature globali che sembra essere sorretta da una tendenza al riscaldamento secolare, ma che viene regolarmente disturbata a tratti da fasi di iato, che peraltro non sembrano esprimere una ciclicità molto ben definita. Naturalmente ancora nebulosa l’attribuzione delle possibili cause, anche se mi pare ci sia un certo consenso a ritenere che le fasi di iato (quindi parliamo di breve periodo) possano essere determinate dall’instaurarsi di schemi di variabilità naturale decadale legati principalmente a indice PDO negativo e oscillazione ENSO che propone maggiormente episodi di Nina e neutralità, unitamente forse anche a una maggiore opacità stratosferica da aerosol vulcanico. Per quanto riguarda la tendenza al riscaldamento secolare (lungo periodo), bhè, in questo caso mi sembra che siamo ancora in alto mare, nel senso che, a livello di letteratura peer-review, non mi sembra ci siano, purtroppo, filoni di ricerca che abbiano prodotto finora prove convincenti, sostenibili e condivise, in alternativa al mainstream che conosciamo bene. Saluto sempre tutti cordialmente