Sullo sperone della Penisola la situazione sta lentamente tornando sotto controllo. Il bilancio dei danni è ancora provvisorio, però di acqua ne è venuta giù davvero tanta, su alcune località è caduta praticamente dieci volte l’acqua che è venuta giù nella Provincia di Treviso, a Refrontolo, il mese scorso. Nell’attesa che inizi il solito tira e molla di responsabilità su questo ennesimo evento, si sta lentamente facendo chiarezza proprio sul precedente più prossimo.
Così, nel ricordarvi quello che abbiamo pubblicato a pochi giorni dall’esondazione avvenuta al Molinetto della Croda, penso sia utile riportare le parole del geologo Cavezzana che a quanto pare conosce bene quella zona.
Prima di leggerle, vi avverto che penso che nell’articolo ci sia un refuso, proprio per quel che riguarda la quantità di precipitazione caduta. Ma quel che conta è la sostanza di un racconto che sinceramente lascia sconcertati. Buona lettura.
Geologo accusa: «Rischio sottovalutato»
Cavazzana, estensore del progetto di Protezione civile di Refrontolo: «Si sapeva tutto, ma il piano è rimasto inapplicato»
REFRONTOLO. «L’area del Molinetto della Croda è classificata ad elevato rischio idrogeologico»: il geologo Roberto Cavazzana lo aveva scritto quando, nel 2010, aveva redatto la componente geologica del Piano di Protezione Civile per il Comune di Refrontolo. E lo ha ricordato ieri, sciogliendo il silenzio dopo oltre un mese dalla tragedia del Molinetto: tragedia che forse, secondo quanto affermato dal geologo, è stata meno imprevista di quanto si è creduto finora. Difficile sapere se si potesse evitare, magari organizzando la festa altrove: di questo, come ripete Cavazzana, si occuperà l’autorità giudiziaria. Di sicuro, il geologo lamenta la scarsa attenzione prestata al Piano di Protezione Civile. E secondo l’esperto, anche la quantità d’acqua caduta quella sera, per quanto eccezionale, «è un evento naturale del tutto prevedibile».
Il Piano. Cavazzana si limita a ricordare quanto già sottolineato nel 2010: «Non desidero assolutamente entrare nel merito delle eventuali responsabilità, per le quali fra l’altro vi è una inchiesta in corso da parte del’autorità giudiziaria competente, ma è opportuno affrontare criticamente la tragedia di Refrontolo per portare al’attenzione generale quello che sta succedendo nel nostro Paese per quanto riguarda la messa in sicurezza del territorio. Una prima importante riflessione da fare riguarda la mancata considerazione del Piano di Protezione Civile comunale. Da quello che si è letto e visto sembra proprio che nessuno abbia minimamente preso in considerazione tale strumento pianifcatorio: né prima dell’evento per verificare se in quel posto vi fossero rischi naturali, né dopo l’evento quando a nessuno è nemmeno venuto in mente di andare a verificare se esiste il Piano di Protezione Civile che una legge dello Stato rende obbligatorio per tutti i Comuni. Il Piano di Protezione Civile comunale è uno strumento essenziale per far conoscere alle amministrazioni, alla popolazione, agli enti territoriali ed alle realtà economiche la presenza dei rischi naturali nel proprio territorio e per sapere come bisogna comportarsi in caso di emergenza».
La denuncia. Tanto più che, secondo Cavazzana, non solo l’area della festa (uno spiazzo poco distante dal Molinetto della Croda, accanto al fiume Lierza) era a rischio inondazione, ma pure la “bomba d’acqua” di quella sera, descritta come “qualcosa di mai visto” dai testimoni, sarebbe stata in qualche modo prevedibile: «Sia chiaro che l’evento meteorologico che ha causato il disastro è un evento naturale del tutto prevedibile. Il Centro meteorologico Arpav della Regione del Veneto ha comunicato che fra le ore 20 e le ore 2 del giorno 2 agosto 2014 nella zona del’alto trevigiano si sono avute precipitazioni intense pari a circa 5 mm. Confrontando tali valori con i dati tecnici disponibili ci si rende facilmente conto che siamo innanzi ad un semplice fenomeno naturale non particolarmente intenso e non imprevedibile. E si badi bene che queste informazioni non sono di recente acquisizione. Uno studio scientifico del Cnr del 1986 (quasi trenta anni fa) indica per la zona di Refrontolo la possibiltà che si verifichino precipitazioni intense della durata di un’ora con un tempo di ritorno di 50 anni pari a 60 mm, cioè una intensità attesa quasi doppia di quella registrata la notte del 2 agosto scorso».
Il pesantissimo “J’accuse” di Cavazzana, però, non si limita a ricordare che lui, nel Piano di Protezione Civile, certi rischi li aveva ben evidenziati. Le perplessità, infatti, si estendono al Pat, Piano di Assetto del Territorio, nel quale la zona è indicata da sempre come “esondabile”. E allora perchè si è deciso di organizzarvi una festa? L’amministrazione comunale ha spiegato che molte aree, in realtà, sono classificate come “esondabili”, ma al loro interno hanno case, strade, palazzi. «Un altro aspetto importante», attacca il geologo, «riguarda l’apparente incoerenza pianifcatoria per la zona del disastro. Infatti, mentre il Piano di Protezione Civile indica la presenza di rischio idrogeologico elevato, il Piano Urbanistico comunale (Pat) classifica il sito come “zona edificabile a condizione” senza precisare se nella condizione imposta esistono limitazioni direttamente riconducibili al rischio idrogeologico».
Le conclusioni. Dice infine Cavazzana: «Non voglio entrare nel merito della validità della pianificazione urbanistica che è del tutto conforme alla normativa regionale, ma è necessario portare l’attenzione generale su alcuni aspetti molto importanti. Il disastro di Refrontolo dimostra ancora una volta che siamo di fronte ad una grave difficoltà del nostro sistema istituzionale/politico/amministrativo a garantire una adeguata e più completa sicurezza del territorio. Tentare di trovare le cause in un fenomeno naturale solo un po’ più intenso del solito dimostra l’ingiustificata ignoranza degli addetti ai lavori e la preoccupante incapacità di coloro che hanno la responsabilità di fare tutto il possibile per perseguire una efficace politica di riduzione del rischio idrogeologico. Basti solo pensare che da approfonditi studi e ricerche che ho condotto su archivi storici, riguardanti le calamità geologiche avvenute in passato nel Triveneto, emerge che i disastri che avvengono nei nostri territori per almeno il 95 % dei casi non sono altro che nuove manifestazioni di fenomeni già avvenuti in passato».
Una sottovalutazione del rischio idrogeologico che, secondo il geologo, ha in parte interessato anche gli stessi partecipanti alla “Festa dei Omi”, che noncuranti dell’acqua che iniziava a filtrare sotto il tendone sono rimasti in piedi sulle panche, o sul tavolo, senza sospettare l’arrivo di un’onda di piena. Cavazzana non punta il dito contro nessuno in particolare, ma contro un modus operandi comune in tutto il territorio nazionale: «Deve essere al più presto perfezionato un unico grande disegno politico-istituzionale che metta innanzitutto al centro della prevenzione la previsione».
http://www.climatemonitor.it/?p=34288&replytocom=21302#respond
ah no, io avevo sbagliato tutto, non è un rave, è la festa degli omi, quindi non sarebbe bastata la portaerei, servono anche i geologi condotti!
Aggiungo anche la mia voce a quelle che mi hanno preceduto e, a costo di confermare ulteriormente le accuse di “pensiero unico” che qualche anima candida ogni tanto ci appioppa 🙂 , non posso che concordare con ognuno di loro: il nubifragio, la frana, l’evento eccezionale ed imprevedibile non sono altro che il cerotto che si appiccica ai disastri per coprire le magagne di una inefficiente (per usare un eufemismo 🙂 ) gestione del territorio.
.
Voglio portare il mio contributo con due esempi (eclatanti, ma non isolati).
Costa calabrese, provincia di Vibo Valentia, fine agosto 2014. Mentre scendo in spiaggia noto che la strada rotabile si sviluppa su e sotto pareti quasi a picco. Mi fermo e noto che il terreno è costituito da una specie di roccia arenacea piuttosto tenera, facilmente attaccabile dagli agenti meteosferici (vento, acqua, sole) debolmente cementata, ma al punto giusto per consentire la realizzazione di pareti quasi verticali. Scendo ancora e vedo che sulla spiaggia, sotto uno di questi costoni, hanno realizzato (non so come …) diversi edifici (strutture di due piani in calcestruzzo armato a circa 50 metri dalla battigia). La mia perplessità aumenta quando vedo che simili strutture costellano tutto il versante da ambo i lati della strada. Mi escono quasi gli occhi dalle orbite quando vedo delle strutture di sostegno (muri in calcestruzzo armato) fondate a pochi centimetri dal ciglio dello strapiombo arenaceo. Dopo qualche giorno, in una curva, un pezzo della parete arenacea si è staccato ed è caduto sulla strada sottostante: piccola cosa, alcuni secchi di sabbia, nulla di più, ma la cosa la dice lunga sulla stabilità della parete.
Lungo quella strada passano migliaia di persone al giorno (nei mesi estivi), possibile che nessuno vede? Io solo ho gli occhi? Passeranno amministratori, tecnici comunali, dirigenti dei vari servizi regionali e provinciali preposti alla tutela del territorio, rappresentanti della protezione civile, ecc. ecc.. Nessuno di essi vede, però! Fra qualche anno, a seguito di una pioggia più o meno intensa, o per cause tra le più varie, qualche macchina cadrà giù, qualche casa sarà travolta dallo smottamento del costone, qualcuno, purtroppo, ci rimetterà le penne e allora si griderà alla bomba d’acqua, al clima impazzito e via cantando. Nulla di tutto ciò: idiozia umana e spregio delle più elementari regole della prevenzione dei dissesti ambientali e della tutela del territorio sono le uniche responsabili del disastro che, prima o poi, si verificherà.
.
Stesso periodo, ma qualce centinaio di chilometri più a nord, alto Sannio, provincia di Benevento. Per insediare un fabbricato si scava il fianco di una collina argillosa. Si rimuovono migliaia di metri cubi di terra e si realizzano scarpate di oltre dieci metri di altezza. Il terreno comincia a franare, il versante si instabilizza. Cosa accadrà? Non lo so, forse tra qualche mese, con le piogge, un macello. Speriamo di no, ma ho forti timori. Anche in questo caso le piogge o il clima che cambia non sono responsabili di nulla. Solo l’uomo e le sue scelte sciagurate debbono salire sul banco degli imputati, nessun altro.
Ciao, Donato.
Sono totalmente dìaccordo con quanto riferito nell’articolo di Guido e con gli interventi di giovanni p. e marco. Per anni mi sono occupato del dissesto idrogeologico in Italia, organizzando anche congressi al riguardo. Da tempo è stato accettato il concetto che bisogna correre davanti alle calamità e non dietro, ossia che è opportuno far prevalere interventi di prevenzione a quelli di consolidamento. Se è così, anche i politici concordano con questo concetto, di fatto si è fatto poco per la prevenzione. In più occasioni ho lanciato la proposta che ogni comune, o associazione di comuni, si deve dotare del “geologo condotto” che vive con il territorio, ne conosce le “debolezze” e il comportamento in occasione di eventi meteorici. Un controllo capillare sicuramente utile per evitare i drammi che ancora ci affliggono, controllo che è dovuto soptrattutto da parte dei veri gestori del territorio, cioè i Comuni. Ma l’idea è poco costosa. Una iniziativa a basso costo non interessa i politici, molto più impegnati a gestire le ingenti somme necessarie al risanmento dei territori colpiti.
E questo è niente, controllate la soria del mugnaio e di chi ha abitato il mulino, hanno anche scritto un libro, storia di continua paura ogni volta che pioveva, ed è da sottolineare.. ogni volta..
Che dire alla faccia di Bardi e del suo ex Cassandra qui una volta di più si dimostra che i geologi sono le Cassandre del nostro paese. Non sto qui a rielencare esperienze personali di quando lavoravo su piani regolatori e relazioni geologiche e sul fatto che ci si trovasse a dover valutare intere zone industriali in classe III o a fare relazioni geologiche di fattibilità per opere già fatte. Par chi parla di bombe d’acqua, neologismo politico stille welfare, operatore ecologico, termovalorizzatore, Tfr ecc.ecc. in perfetto stile pubblicitario, si cambia la confezione ma all’interno il prodotto é sempre lo stesso, anzi é ancora piu scadente di prima. Ricordo bene le alluvioni della Valle d’Aosta del 94 e del Piemonte del 96 per averle vissute in prima persona, con i fondo valle completamente allagati, autostrade e strade sommerse, torrenti che sembravano fiumi cinesi in piena, ponti che vibravano sotto i colpi dei massi postati dalla forza della corrente, noi studenti di geologia al 3-4 anno che non sapevao piu come scendere a valle e tornare a casa. interi quartieri allagati la Ferrero che disseminava ovetti per la piana. Le immagini da elicotteri che mostravano distese d’acqua a perdita d’occhio là dove ferveva l’attività agricola commmerciale e industriale. Paesaggi irriconoscibili per decine e decine di kilometri. Poi andando a guardare le carte geologiche e geomorfologiche della zona si scopri come in fondo la natura non aveva fatto nulla di speciale, i fiumi erano esondati la dove già esistevano aree di esondazione nattrali, evidentnziate dalle antiche morfologie e depositi alluvionali. Tutto aveva fatto il suo corso normale. l’unico problema é che questi eventi avevano tempi di ritorno pluridecennali ( 20-30-40 anni) e purtroppol’uomo con il boom del dopoguerra aveva un po accellerato il passo costruendo in maniera eccessiva e sconsiderata là dove i nostri antenati da millenni si erano ben guardati dal mettere insediamenti stabili, edifici o attività artigianali. Tutto era molto chiaro non c’era nulla da spiegare e da scoprire, se non capire che si doveva fare un passo indietro. La soria insegna che di passi indietro se ne sono fatti molti ma non nel verso giusto, visto che si é continuato a costruire ed antropizzare senza ritegno, fregandosene anche dei nuovi piani regolatori che cercavano di mettere un freno all’espansione indiscriminata. inoltre chi si ricorda piu dei tempi di ritorno? sono superati oggi ci sono i modelli previsionali i Gis che calcolano e simulano dove come e quando avverrà un evento salvo poi non azzeccarci quasi mai, siamo passati da un apprccio statistico ad uno deterministico, anzi prevediamo virtualmente il futuro, come ci insegna il clima e l’AGW. Cosi abbiamo i casi raccontati nel post in questione, quelli di Peschici dove anche qui ricordo di aver passato vacanza in quei luoghi negli anni 70 quando c’era un villaggeto di pastori e pescatori, vi era solo un campeggio e spiagge libere, mentre se qualcuno ha avuto occasione di passarci in questi ultimi anni risulta una distesa di case spiagge, private, moli artificiali e quanto serve a trasformare una localita graziosa in una giungla di cemento turistico, stessa cosa vale per Vieste e ricordo i racconti di un locale che mi parlava di quando lui da giovane andava sulle spiagge a vedere le tartarughe che deponevano le uova e i delfini che nuotavano davanti al mare. Lo stesso vale per la sardegna di qualche mese fa e lo stesso varrà per gran parte dell’Italia. Continueremo a vedere gente disperata quando non piange morti e geologi che accusano l’imperizia dell’uomo il tutto si ripeterà come un vecchi disco 45 giri rotto e nessuno si deciderà a spostare la puntina o cambiare il disco. Spero di essere stato abbastanza pessimista