Nel numero di giugno 2014 di “Le Scienze” (pagg. 70-73) è stato pubblicato un articolo di M. E. Mann dal titolo “False speranze”. Sul sito di “Le Scienze”, come al solito, l’articolo è visibile solo agli abbonati. Lo stesso articolo è, però, liberamente accessibile su Scientific American (in inglese, ovviamente).
L’articolo prende spunto dalla ormai famosa o famigerata (dipende dai punti di vista) pausa nel riscaldamento globale, ma subito, fin dal grafico che campeggia sulle prime due pagine dell’articolo, si capisce che l’obbiettivo è un altro, cioè la sensitività climatica all’equilibrio (ECS) che costituisce, secondo me, il tallone di Achille di tutto il castello teorico della climatologia attuale.
Procediamo, però, con ordine. Per sgomberare il campo da ogni equivoco il dr. Mann precisa che quella che si definisce volgarmente pausa è un falso problema in quanto non di pausa si tratta, ma solo di un rallentamento nell’aumento delle temperature che continuano a crescere anche se con velocità minore. Su questo non sono d’accordo, ma, come già accennato, non è questo il punto più interessante dell’articolo per cui preferisco sorvolare sulla questione.
Nel secondo paragrafo il dr. Mann descrive brevemente il processo che dal 2001, data di pubblicazione del suo famoso grafico passato alla storia come “bastone da hockey”, ha portato il mondo intero a porsi il problema del riscaldamento globale di origine antropica. Assunto per ipotesi che il riscaldamento registrato negli ultimi decenni del 20° secolo sia dovuto all’aumento di concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre, il problema che gli scienziati hanno dovuto affrontare è quello di stabilire l’evoluzione delle temperature all’aumento della concentrazione di CO2. Basandosi su serie di temperature storiche (desunte da dati di prossimità e da misurazioni strumentali) sono stati calcolati molti valori dell’ECS (ovvero il valore dell’aumento di temperatura al raddoppio della concentrazione di CO2 in epoca pre-industriale).
Tutto ciò premesso, il dr. Mann, partendo da un grafico in cui sono state riassunte le stime della sensibilità climatica sulla base dei dati strumentali, del clima odierno, dei GCM, dell’ultimo millennio, delle eruzioni vulcaniche, dei sedimenti, dell’ultimo massimo glaciale, dell’ultimo milione di anni e delle stime degli esperti, giunge a stabilire che la sensitività climatica all’equilibrio assume un valore appena al di sotto di 3°C (se la concentrazione di CO2 nell’atmosfera terrestre raggiungesse il valore di 560 ppm, il doppio della concentrazione in epoca pre-industriale, la temperature aumenterebbe di meno di tre gradi centigradi). Ovviamente questo è il valore centrale, che oscilla in un intervallo compreso tra un minimo di 1,5°C e 4,5°C (valori fissati nell’ultimo report IPCC).
Il dr. Mann non risparmia, in proposito, una frecciatina all’IPCC. Egli in particolare, non condivide la scelta del panel di abbassare il valore minimo della sensibilità climatica (da 2°C nell’AR4 a 1,5°C nell’AR5) in quanto, a suo giudizio, l’IPCC si è fatto inopportunamente influenzare dalla “falsa pausa” nelle temperature globali. Tale pausa potrebbe avere altre spiegazioni (Mann ne elenca diverse tra le oltre trenta che gli scienziati hanno proposto) per cui intervenire sulla sensitività climatica è stata, secondo lui, una scelta sbagliata. Per tutti questi motivi egli è dell’avviso che sia opportuno assumere un ECS pari a 3°C che è addirittura minore di quello stabilito dall’ensemble dei modelli GCM (3,2°C).
L’ultima parte dell’articolo del dr. Mann è dedicata all’illustrazione dei possibili andamenti futuri delle temperature terrestri ottenuti inserendo vari valori dell’ECS in un modello di bilancio energetico del tipo utilizzato per delineare i possibili scenari che potremmo aspettarci negli anni a venire. Sulla base dei risultati ottenuti il dr. Mann giunge alla conclusione che non è realistico utilizzare i valori di ECS posti agli estremi dell’intervallo IPCC (1,5°C e 4,5°C), ma il modello programmato per un ECS di 2,5°C o 3°C è in grado di replicare le misure strumentali di temperature misurate negli ultimi 15 anni.
Ebbene il dr. Mann ha scoperto che se la concentrazione di CO2 atmosferica raggiungesse il valore di 450 ppm ed ECS fosse pari a 3°C, le temperature globali aumenterebbero di 2°C entro i prossimi 22 anni (2036, per la precisione). Qualora ECS fosse pari a 2,5°C, invece, il limite dei 2°C di aumento sarebbe raggiunto nel 2100. Tutto questo tenendo presente anche un altro fattore.
La riduzione della CO2, conseguente ad una riduzione della quantità di combustibile bruciata, comporta, anche l’abbattimento degli aerosol di origine antropica che schermano i raggi solari e aumentano l’albedo favorendo la formazione delle nubi. Ciò comporta una maggiore insolazione della superficie terrestre ed, in ultima analisi, una maggiore emissione di radiazione infrarossa, quindi un maggior “effetto serra”, cioè un maggior squilibrio radiativo. Se il quantitativo di aerosol restasse invariato rispetto all’attualità, invece, i fatidici 2°C sarebbero superati intorno al 2060 (ECS=3°C e concentrazione di CO2 pari a 450 ppm) o, addirittura, mai superati se ECS=2,5°C e concentrazione di CO2 pari a 450 ppm. E se la concentrazione di CO2 così come quella degli aerosol restasse costante a 405 ppm, cioè fosse cristallizzata ad oggi? Nessun problema: nel 2100 saremmo sotto i 2°C di aumento delle temperature globali.
Il dr. Mann nell’ultima parte del suo articolo (“Cauto ottimismo” è il titolo di questa sezione), conclude che se ECS=3°C dobbiamo fare in fretta (ci restano solo 22 anni), se però ECS=2,5°C abbiamo molto più tempo per correre ai ripari. Ciò non toglie, però, che potrebbe andarci “peggio di quanto possiamo immaginare” in quanto in tutti questi discorsi non si sono tenuti presenti i meccanismi di retro-azione lenti (masse dei ghiacci continentali, ad esempio), ma solo quelli veloci (copertura nuvolosa, masse glaciali marine, vapore acqueo, ecc.).
Particolarmente significativa mi è parsa la penultima frase dell’articolo in cui l’autore si augura che la previsione corretta sia quella di un ECS inferiore a 2,5°C perché ciò ci permetterebbe un “cauto ottimismo” incoraggiandoci a pensare di poter prevenire un danno irreparabile.
Questo articolo mi è parso interessante perché in esso è contenuta una previsione a medio termine (ventidue anni è un tempo accettabile, io viaggerò, si spera, verso gli ottanta per cui nutro qualche speranza di esserci) che possiamo sperare di verificare. I grafici, inoltre, sono piuttosto dettagliati e ci consentono di confrontare dati e previsioni anche a più breve termine. Si apre la porta, infine, alla possibilità che ECS sia inferiore a quanto previsto e, visto il pulpito da cui viene la predica, non è poco.
Sulla stessa falsariga dell’articolo di Mann un altro paper che mi è capitato sotto gli occhi. Si tratta di una recente lettera pubblicata su Nature Geoscience (qui l’abstract) da M. Huber e R. Knutti (Huber et al., 2014).
L’articolo è a pagamento per cui mi sono limitato a leggere l’abstract ed i commenti reperibili in rete. Anche in questo caso tutto si origina dallo iato o pausa nell’incremento delle temperature terrestri e nelle decine di ipotesi che cercano di spiegarlo. Come ha scritto G. Guidi in altre occasioni, se per spiegare un fatto si ricorre a decine di ipotesi anche contrastanti o alternative, significa che del fatto abbiamo capito poco o niente. Ebbene anche Huber et al. 2014 cercano di fornire una spiegazione alla pausa e, in particolare, cercano di riconciliare realtà e modelli matematici che, ad oggi, sembrano andare ognuno per conto proprio.
Huber et al., 2014 ha individuato diverse possibili concause della pausa legate alla variabilità naturale del clima (ENSO e forzante degli aerosol stratosferici). Questo dal lato della fisica del sistema. Dal punto di vista della divergenza tra la realtà e la sua modellazione, gli autori hanno implementato un modello matematico “di complessità ridotta” con una risposta climatica transitoria di 1,8°C. Gli output di tale modello hanno replicato in modo piuttosto fedele l’andamento delle temperature terrestri negli ultimi decenni, compresa la pausa attuale. Gli autori concludono il loro abstract con il solito atto di sottomissione alla linea di pensiero principale nel senso che dichiarano di credere fermamente nel fatto che l’aumento delle temperature è dovuto a fattori antropici e, in particolare, alla CO2, ma al netto del pedaggio al paradigma, la cosa interessante, a mio avviso, è il valore della risposta climatica transitoria utilizzata: 1,8°C.
Tale valore si colloca esattamente a metà dell’intervallo fissato dall’IPCC nel suo quinto rapporto (1,0°C-2,5°C) e, in particolare, in quella parte giudicata a minore densità di probabilità sulla scorta degli output dei GCM CMIP5 (istogramma in nero) e soprattutto rispetto alle curve di densità di probabilità IPCC AR4 (tratteggio grigio) come si può notare anche da questo grafico tratto da WUWT.
Per puro eccesso di zelo è opportuno precisare che l’articolo di M. Mann e quello di Huber et al., 2014 parlano di grandezze fisiche differenti: il primo di sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) ed il secondo di risposta climatica transitoria (TCR). Nel primo caso il forcing radiativo si considera costante, nel secondo caso variabile (crescente con rateo dell’1% annuo).
La cosa che mi ha incuriosito e mi ha indotto ad accomunare in un unico post i due articoli è la tendenza al ribasso dei valori degli indici di sensibilità climatica. Da sempre ho sostenuto la tesi dei ricercatori che consideravano sovrastimati gli indici di sensibilità climatica, oggi sembra che questo orientamento si faccia strada con maggiore forza anche in ambiti diversi da quelli scettici. La cosa è dovuta alla pausa nelle temperature ed entrambi gli articoli, pur con i dovuti distinguo, caveat e altri ammennicoli vari, testimoniano che la ricerca scientifica, alla fine, deve sempre fare i conti con la realtà dei numeri relativi alle osservazioni strumentali.
Detto in altri termini sembra che il divario tra le tesi scettiche e quelle favorevoli all’AGW, depurate degli aspetti più macroscopicamente ideologici, tendano ad avvicinarsi. Probabilmente peccherò di “cauto ottimismo”, ma forse non è lontano il giorno in cui, guardando indietro al dibattito in ambito climatologico di questi anni, tireremo le somme e trarremo le conclusioni. Non per individuare vincitori e vinti (non ce ne saranno), ma per dibattere sugli strani modi che ha la scienza di progredire. Credo che il dibattito tra scettici e sostenitori dell’AGW sarà un ottimo caso di studio per la filosofia e la storia della scienza.
Non dimentichiamo che Mann è quello che voleva dimostrare che la temperatura avrebbe avuto nei secoli passati oscillazioni minime (il manico del bastone da hockey), e che invece, per opera dell’uomo, avrebbe iniziato un trend pauroso di aumento (la parte terminale del bastone da hockey con la quale si colpisce il puck).
Il bastone ha appunto una forma che ricorda una elle, con un angolo ottuso.
Insomma la crescita della temperatura sarebbe stata drammatica.
Ma questo dramma non si è visto.
All’epoca noi scettici dicevamo che non c’era solo la CO2, e che si sarebbe dovuto investigare anche su altri fattori.
Abbiamo avuto ragione (anche se non ci viene riconosciuto), e “di fatto” i sostenitori dell’AGW, a cominciare proprio da personaggi discussi come Mann, stanno venendo sulle nostre posizioni, nel senso che sono stati costretti a prendere in considerazione anche altri fattori, per spiegare il dramma mancato.
Il fatto stesso che parlino degli aerosol (di cui parlavamo noi), per esempio, e di tanti altri fattori la dice lunga sulla variazione di fatto che hanno dovuto compiere.
Sì, non ci sono ancora ammissioni formali, se non qualche rara eccezione, ma ci sono i fatti, che confortano la bontà delle nostre tesi di allora, quando eravamo additati al pubblico ludibrio come “negazionisti”, termine ancora usato da persone che non hanno ancora preso atto di ciò che è successo, e la cui ostinazione su posizioni sbagliate gli farà perdere prima o poi ogni credibilità.
Un ulteriore elemento di soddisfazione è che le nostre contestazioni hanno fatto avanzare la scienza nella direzione giusta.
Secondo me.
cavolo, Botteri, lei merita il Nobel per aver contribuito a salvare la scienza da uno dei peggiori fallimenti della storia.
Lei invece merita il Nobel per i commenti inutili.
Tornando a Mann: lui dice che c’è più tempo. Oggi invece è tutto un proliferare di dichiarazioni della WMO che citano aumenti di CO2 e di effetto serra (ma si guardano bene dal citare l’arresto – pardon, pausa – della crescita delle temperature). Siccome continuano a denunciare i negazionisti che non si rendono conto che “non c’è più tempo”, per coerenza vorrei sentirli dire che pure Mann è negazionista (diciamo così, un negazionista debole). Ma non hanno citato neppure Mann, stranamente.
Bene, ci si vede a Stoccolma.
No, no, a parte che i miei meriti personali sono molto pochi, purtroppo, la mia azione non ha significativi effetti sul corso della scienza; ma io non intendevo dare lustro a quel poco che posso fare io (mi dispiace se ha voluto vederci una lode a me stesso), bensì mettere in evidenza che noi scettici (tra i quali io sono una goccia insignificante) avevamo ragione. E nemmeno la competenza di persone come John Christy e Richard Lindzen (che cito perché hanno avuto un ruolo importante nell’IPCC) e di tanti altri scienziati è bastata per evitare che il mondo sprecasse ingenti risorse che avrebbero potuto creare posti di lavoro e far progredire la scienza se fossero stati usati con spirito davvero scientifico.
Qui c’è una lista, da wikipedia, di alcuni scienziati che cercano di far ragionare le persone
(potrai notare che il mio nome non ci sia, quindi per il premio Nobel la lista di persone meritevoli è ben più lunga, e non ho speranze 🙂 )
http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_scientists_opposing_the_mainstream_scientific_assessment_of_global_warming
Per descrivere l’andamento recente delle temperature globali medie si usa la parola “pausa”, che sottintende un eventuale ripristino dell’andamento crescente.
.
Domanda: non sarebbe scientificamente più corretto usare la parola “arresto” ?
Certo Alvaro, ma suona male nel contesto di un pericolo imminente.
gg
Credo che l’idea cui si ispirano le riflessioni sul tema della sensibilità del clima sia quella di un sistema che a fronte di una variazione nei livelli dei diversi forcing (natuarali o antropici che siano) reagisce in modo graduale riportandosi verso uno stato di equilibrio imposto dall’azione dei diversi fattori forzanti.
In realtà dai diagrammi delle temperature globali (sia il diagramma di Marcott et al. 2013 per l’intero olocene sia Hadcrut4 dal 1850) si osserva un sistema che è animato da una netta tendenza verso un equilibrio a temperature assai più basse di quelle attuali (un equilibrio per così dire glaciale, che poi è quello cui il sistema ha sempre teso durante tutto il quaternario) e che viene periodicamente “distolto” da tale tendenza da eventi di riscaldamento breve ed inteso, conclusi i quali il sistema si rimette a tendere verso il basso.
A fronte di quanto sopra mi domando se abbia senso ragionare in termini di equilibrio come ci ragionano Mann, l’IPCC e tantissimi altri ovvero se sia più utile cercare di capire cosa “distoglie” il sistema dall’equilibrio “glaciale” provocando i gradini verso l’alto (magari gli oceani come più volte abbiamo ipotizzato in questo sito?).
In tal senso un indizio importante è dato dal fatto che gli eventi di riscaldamento breve ed intenso paiono molto simili a quelli osservati durante le fasi glaciali (i ben noti eventi di Dansgaard–Oeschger -> en.wikipedia.org/wiki/Dansgaard–Oeschger_event -> ben 24 durante la sola glaciazione di Wurm).
Colgo infine l’occasione per segnalare che i modelli GCM, che sono ispirati all’idea di sensibilità espressa da Mann e c., sbagliano alla grande tutte le fasi in cui il sistema tende ad andare verso il basso (es. fase attuale o fase 1950-1977), il che vorrà pur dire qualcosa.
Luigi, le tue considerazioni sono state illuminanti! In svariate occasioni, l’ultima ieri in occasione di un commento sulla relazione AMO-ghiacci artici, ho scritto che il sistema climatico è un sistema dinamico caotico per il quale potrebbero essere individuati uno spazio delle fasi e degli attrattori strani verso i quali tendono a convergere le condizioni delle variabili del sistema stesso. Ad essere sincero io avevo sempre pensato ad un attrattore strano che stabilizzasse il sistema intorno alle condizioni precedenti il GW. In questo avevo fatto il classico errore di chi vede il dito che nasconde la luna e non la luna. 🙂
Quando tu hai scritto: “In realtà dai diagrammi delle temperature globali (sia il diagramma di Marcott et al. 2013 per l’intero olocene sia Hadcrut4 dal 1850) si osserva un sistema che è animato da una netta tendenza verso un equilibrio a temperature assai più basse di quelle attuali (un equilibrio per così dire glaciale ….” ho visto la luna, nel senso che ho capito che le condizioni di equilibrio principali sono quelle glaciali e, quindi, l’attrattore strano principale dovrebbe essere quello che tende a riportare il sistema verso le condizioni glaciali.
Il discorso a questo punto si complica e lo spazio di un commento non mi consente di esprimere compiutamente ciò che mi frulla per la testa: mi sa che dovrò scrivere un altro post! 🙂
Ciao, Donato.