Beh, chi ci legge sa che la faccenda del clima alla deriva verso scogli appuntiti non mi convince proprio. E, non so ancora perché, mi convincono poco anche i derivati atmosferici, prodotto finanziario di cui parla un articolo uscito su Il Fatto Quotidiano qualche giorno fa.
Allora, pare che la ‘scommessa’ tra un operatore finanziario e un soggetto economico che svolge attività influenzabili dal tempo e dal clima sia qualcosa di già abbastanza diffuso all’estero, soprattutto USA e Inghilterra. In sostanza, dati dei limiti entro i quali la mia attività non subisce impatti negativi, si fissa un prezzo del prodotto derivato in funzione di quanto statisticamente atteso. Se Eolo, Nettuno, Giove e tutti gli altri decidono di restare dentro quei limiti tutto bene, altrimenti qualcuno deve mettere mano al portafogli. Nella fattispecie tocca all’operatore finanziario risarcire il contraente se l’impatto è negativo, mentre a pagare è quest’ultimo se la soglia viene superata positivamente.
Perché derivati? Perché si tratta di un rischio, anche piuttosto alto. Infatti il mercato, benché già esistente da tempo, è rimasto su volumi abbastanza piccoli e stenterebbe a crescere, con non poche difficoltà da parte degli operatori finanziari a trovare i malcapitati su cui distribuire il rischio assunto. Non a caso, forse, la prima società a lanciare e sostenere l’uso dei derivati atmosferici fu Enron, poi crollata rovinosamente proprio sotto il peso di tonnellate di prodotti a rischio elevato rivelatosi insostenibile.
Comunque, pare che da noi se ne parli ancora poco, con solo qualche tentativo di generazione di prodotti simili operato nel recente passato. Sarà la mia quasi assoluta ignoranza in materia finanziaria, ma non riesco a capire perché si dovrebbe preferire un prodotto del genere ad una normale assicurazione. Forse perché se tutto va bene ci si può anche guadagnare? Ecco, questa probabilmente è la parte più pericolosa, perché come spesso accade con l’utilizzo di questo genere di forme di speculazione, il risultato finale è un inquinamento, inteso come sottrazione di risorse, di attività con diverso orientamento di produzione ad opera di soggetti finanziari. Cioè, chi semina e raccoglie grano, pensi a guadagnare di più vendendo più grano e non riscuotendo il premio di una scommessa se la stagione è propizia, magari proteggendosi con un costo noto se non dovesse esserlo.
Ad ogni modo adesso pare che la cosa riguardi soprattutto chi è in grado di mettere in campo soldi pesanti, come le utilities energetiche ad esempio, non so se un giorno il ‘Bagno di VAttelapesca” sarà nella possibilità di sottoscrivere un contratto di derivati atmosferici per riempirsi le tasche comunque anche se gli ombrelloni sono vuoti. Vedremo.
Chiudo con una piccola nota di colore. L’articolo del Fatto è interessante, anche se l’incipit ‘Derivati più precisi del meteo’ se lo potevano risparmiare, visto che il prezzo si fa proprio con le informazioni meteo. Ma i commenti lo sono decisamente di più. Infatti pare che tra i lettori la preoccupazione maggiore sia quella di temere di avere a che fare con un meteo truccato, naturalmente deciso a tavolino dal burattinaio di turno, che ora più che mai avrebbe interesse a far piovere ma anche no a suo piacimento e a nostro nocumento. Che spettacolo!
Per dire la verità, il derivato in sé non è una truffa: è una sorta di assicurazione che serve a stabilizzare il mercato di un certo bene. Pertanto ha la stessa utilità che hanno le assicurazioni. È l’abuso e la creazione delle “catene” citate da Donato che creano il danno.
Derivato: strumento professionale utilizzato per separare un’ignorante dai suoi quattrini.
Secondo un vecchio adagio riferito alle speculazioni finanziarie, in borsa quando uno ride, cento piangono.
In base alla mia esperienza diretta posso assicurare che il vecchio adagio è perfettamente veritiero. 🙂
Quando esso fu coniato, probabilmente, i derivati non esistevano, altrimenti i numeri sarebbero stati molto diversi (uno a mille, presumo). Il derivato è, infatti, il corrispondente in ambito finanziario del gioco d’azzardo e può essere visualizzato come un’espressione matematica lunga mezzo foglio A4 (se va bene). Come scrive G. Guidi nel suo post, si tratta della valutazione statistica dell’accadimento di un evento (favorevole o sfavorevole) per uno dei due contraenti. Se il gioco si limitasse a due soli contraenti il problema sarebbe minimo in quanto interesserebbe solo due soggetti perfettamente consapevoli del rischio cui vanno incontro. Il problema è che uno dei due contraenti, l’operatore finanziario, si sottrae al rischio rivendendo il derivato ai risparmiatori (per lo più ignari di ciò che stanno acquistando) offrendo rendimenti piuttosto alti rispetto ad altri strumenti finanziari per renderli più allettanti. Buona parte delle ricchezze “istantanee” a livello mondiale sono basate su questi giochi di prestigio. Si, giochi di prestigio, in quanto essi creano ricchezza dal nulla in quanto in ambito finanziario molto si crea e si distrugge, poco si trasforma. L’operatore finanziario potrebbe essere accusato di quello che una volta si definiva “abuso della credulità popolare”, ma esso si sottrae alle responsabilità penali determinando il profilo di predisposizione al rischio del cliente (altra espressione matematica che può dare il risultato che si vuole ottenere manipolando qualche parametro) e facendo sottoscrivere al risparmiatore un prospetto informativo di qualche pagina scritto con caratteri microscopici e infarcito di espressioni gergali e sigle (peggio di un articolo di climatologia). 🙂 🙂
Detto in atro modo siamo riusciti a creare un’economia che è fortemente slegata dal mondo reale (produzione, patrimonio, capitali, ecc., ecc.). I famigerati “titoli tossici” che hanno innescato la crisi, prima finanziaria e poi economica, che ancora stiamo vivendo sono uno splendido esempio di derivati.
Non bisogna meravigliarsi, pertanto, dei nuovi derivati di cui tratta il post di G. Guidi, sono membri di una famiglia molto numerosa! 🙂
Ciao, Donato.