In base alla teoria del cambiamento climatico di origine antropica, le prossime generazioni, si diceva, non sapranno più cos’è la neve. Ora, visto che invece da qualche anno in inverno la neve non si sa più dove metterla, sempre a causa del global warming nevicherà ancora tanto, ma anche tanto poco. Adoro questo genere di previsioni, come dire, omnicomprensive ;-).
Non mettete via le pale, ammonisce simpaticamente Science Daily parlando dello studio da cui scaturisce questa informazione, perché è vero che in un clima genericamente più caldo la possibilità di precipitazioni nevose dovrebbe diminuire, ma le forti nevicate quelle no, quelle continueranno ad esserci e, all’occorrenza, ad essere ancora più forti.
Il tutto scaturisce dall’analisi dei risultati di una ventina di modelli climatici, notoriamente inutili alla scala regionale e notoriamente impossibilitati a riprodurre le bizze del tempo – perché è il tempo che fa nevicare, non il clima – da cui però emerge chiaro il segnale che in futuro nevicherà meno ma anche di più. Sempre ammettendo, ma questo non lo dicono, che il futuro ci riservi effettivamente un riscaldamento, cosa di cui più di qualcuno sembra non essere più tanto sicuro.
Qui il paper vero e proprio uscito su Nature
“Il tutto scaturisce dall’analisi dei risultati di una ventina di modelli climatici, notoriamente inutili alla scala regionale e notoriamente impossibilitati a riprodurre le bizze del tempo ….”
.
A proposito di modelli mi è capitato di leggere un post ( http://www.bishop-hill.net/blog/2014/8/24/gcms-and-public-policy.html ) relativo ad un commento del dr. R. Betts del Met Office inglese nonché redattore principale di uno dei capitoli dell’AR5.
Degno di nota, secondo me, è il commento del dr. Betts in quanto descrive lo stato dell’arte dei GCM in modo esemplare e crudo.
Ecco alcune delle sue considerazioni:
– … non siamo in grado di predire la risposta a lungo termine del clima
all’aumento di CO2 in corso con grande precisione. Potrebbe essere grande,
potrebbe essere piccola. Non lo sappiamo. I modelli di bilancio energetico
vecchio stile questo è il massimo che ci hanno consentito di ottenere.
– [Non possiamo affermare] che le osservazioni di uno o tre decenni con piccola
forzatura possono essere estrapolati per indicare, con fiducia, la risposta a
lungo termine di una forzatura più grande.
– Non possiamo essere certi di grandi cambiamenti [conseguenti all’effetto
serra] in futuro, ma non possiamo escluderli. Così la politica di mitigazione del
clima è un giudizio politico sulla base di ciò che i politici pensano possa
comportare un rischio maggiore per il futuro: decarbonizzazione o non
decarbonizzazione.
– Un obiettivo primario è quello di sviluppare GCM in grado di migliorare le
previsioni del clima regionale per periodi più vicini al tempo meteorologico
(stagioni, anni e un paio di decenni), al fine di informare i piani di emergenza e di
adattamento (e anche semplicemente per aumentare la comprensione del
sistema climatico vedendo quanto bene le previsioni basate sulla
comprensione attuale corrispondano alle osservazioni, e quindi migliorare
i modelli).
.
Mi sembra una disamina onesta e condivisibile: la scienza può arrivare fino ad un certo punto, non è risolta in modo definitivo. Non altrettanto condivisibile il fatto che le decisioni dei politici debbono basarsi su metodiche di valutazione dei rischi che travalicano gli aspetti prettamente scientifici: l’idea romantica dello scienziato immerso in un mondo parallelo e disgiunto dalla politica non mi sembra molto attuale (chi sbaglia paga, ovunque 🙂 🙂 ).
Mi sembra che qui su CM non si scrivano cose molto diverse da queste. O no?
Ciao, Donato.
Direi che Josh ha riassunto efficacemente i concetti espressi in questa ‘confessione’. Qui, su Twitter https://twitter.com/cartoonsbyjosh/status/505764278062694400
gg
Come al solito Josh riesce a condensare un articolo in una battuta 🙂 .
In questo caso credo, però, che il discorso sia un poco più articolato.
Il dr. Betts sembra considerare i modelli matematici per quello che sono: una rappresentazione della realtà molto imperfetta. Molti studiosi del clima ne sono convinti anche se pochi lo dicono. La fioritura di modelli semi empirici ne è una dimostrazione lampante. I credenti invece no, ma per loro dovremmo fare tutto un discorso particolare e, onestamente, non ne vale la pena: facciano come meglio gli pare.
Il problema sta nel rapporto che i decisori politici hanno con i modelli. Questi benedetti modelli generano dei numeri (sensibilità climatica all’equilibrio o risposta transitoria del clima) che si traducono in scenari allarmanti ed in grafici paurosi che comunicano una magnitudo del rischio molto alta ed una probabilità di verificarsi dell’evento altrettanto alta. La combinazione dei due fattori genera un’intensità del rischio altissima che deve essere ridotta mediante la riduzione di uno dei due fattori o di entrambi oppure mediante l’adozione di meccanismi di protezione. Nel primo caso si parla di politiche di mitigazione del rischio, nel secondo di aumento della resilienza o della capacità di adattamento.
Betts dice che la decisione della strategia di riduzione del rischio non lo riguarda in quanto compito dei decisori politici e non sbaglia. Tralascia di precisare, però, che la responsabilità è anche di coloro che devono comunicare al politico in modo corretto i fattori che concorrono a determinare il rischio.
A chi gli obietta in questo senso, egli risponde che essendo pacifico che la CO2 è un gas serra, che le temperature stanno aumentando, che la CO2 potrebbe essere una delle principali concause (anzi lo è) se si applicano delle politiche di riduzione delle emissioni non si fanno danni, anzi si migliora la situazione. Il tutto a lume di logica ed a prescindere dai modelli: i modelli sono importanti, ma non per decidere che il mondo si sta scaldando per colpa nostra. La loro utilità? La ricerca, ovviamente.
Detto in altri termini si applica ancora una volta il famigerato principio di precauzione e chi si è visto si è visto. 🙂
Detto in altri termini è come quando qualcuno incontrandomi per strada mi chiede quanto ferro deve mettere in una trave lunga quattro metri: io gli rispondo che bisogna fare un calcolo, lui replica che non ha soldi e vuole solo sapere se tre barre da sedici sono sufficienti. Per togliermelo dai piedi gli dico di metterne sei e di non preoccuparsi. Lui se ne va contento ed io posso pensare ad altro. Tutti felici, tutti contenti. Anche il commerciante che invece di vendere quattro barre di ferro ne ha vendute sei. 🙂
Concordate con me, però, che non è un comportamento corretto da un punto di vista etico?
Bah! E noi che continuiamo a perdere tempo per interpretare i vari paper!
Ciao, Donato.