Ahimè, le previsioni si sbagliano, anche quelle a brevissimo termine. E così, dopo lunghi anni di persistenza del fenomeno e contrariamente a quanto da me previsto su queste pagine, nel ferragosto di quest’anno il Corriere della Sera non ha riservato uno spazio per il consueto editoriale ammazza speranze di Giovanni Sartori. Ce ne faremo una ragione, anzi, ce la siamo fatta subito ma è durata poco, perché appena quattro giorni dopo, più precisamente il 19 agosto, i media mondiali sono stati invasi dalla ferale notizia del raggiungimento dell’Earth Overshoot Day.
Spiegazione per i non addetti. L’Earth Overshoot Day, creazione del Global Footprint Network, sarebbe il giorno dell’anno in cui si cessa di consumare causa esaurimento le risorse disponibili secondo la capacità rigenerativa del pianeta e si comincia a consumare in eccesso, mandando quindi in deficit l’ecosistema. In perfetta sintonia con l’aria da disastro imminente che si respira su questi argomenti da qualche decennio, calcolo vuole che questo giorno nefasto arrivi ogni anno più presto. Dal 1° ottobre del 2000, eccoci arrivati al 19 agosto nel 2014, con – notare il carattere per nulla ideologico della questione – l’avanzata dell’Earth Overshoot Day che avrebbe subito un rallentamento ‘grazie’ alla crisi economica globale iniziata nel 2008. In pratica per far piacere al GFN mezzo mondo se la deve passare male, molto male.
Ma veniamo al calcolo, perché pare che il problema, almeno nella forma alquanto ferale con cui viene comunicato, risieda soprattutto nella metodologia di definizione di un concetto abbastanza astratto che può divenire tangibile solo se opportunamente trasformato in numeri, date e, naturalmente, scadenze. E così, forse per lo stesso raggio di sole per cui a ferragosto non abbiamo ‘goduto’ dell’atteso editoriale, capita che il corriere pubblichi un articolo in cui vengono messi seriamente in dubbio sia il metodo che l’approccio al problema.
In sostanza, con il robusto contributo di una ricerca appena pubblicata da un ente che per ironia della sorte risiede quasi dirimpetto al GFN, il Breakthrough Insitute, vengono sollevate delle critiche piuttosto ficcanti al tormentone annuale che il GFN ci propina. Per chi si accontenta del linguaggio mediatico, per esempio, la definizione più carina che viene data dell’Earth Overshoot Day è quella di “montatura pubblicitaria poco seria”. Per quanti invece desiderano entrare nei dettagli, la critica riguarda la totale dipendenza dell’indice calcolato dal GFN dalle emissioni di CO2, da un lato individuate come origine dell’ingigantimento dell’impronta ecologica della nostra specie, dall’altro completamente ignorate per il piccolo particolare che lo stesso gas è cibo per le piante, che quindi ne traggono giovamento aumentando la loro capacità produttiva.
In pratica, leggiamo dal Corriere, la colpa non può essere tutta della CO2 e quindi costruire un indice CO2 emissioni-dipendente è sbagliato. Senza andare troppo lontano, anzi restando molto vicino al nostro piccolo ambito di discussione, le stesse obiezioni sollevate dal Breakthrough Insitute le aveva sollevate Luigi Mariani con un post su CM nel settembre del 2010. Un sentito grazie all’amico Luigi per averci regalato la soddisfazione di anticipare il discorso di ben 4 anni.
Ora una breve riflessione conclusiva. Se la CO2 continua ad aumentare ma la temperatura del pianeta non cresce quanto previsto e quindi non andiamo arrosto, se la CO2 non è come altrettanto diffusamente noto e pervicacemente omesso, il veleno che sterebbe depauperando le risorse del pianeta, con chi ce la prenderemo nel prossimo futuro?
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