Tra qualche settimana, dopo la metà di settembre, entreremo nel range temporale in cui solitamente cade il minimo dell’estensione dei ghiacci artici e inizierà la fase di nuova crescita che il sopraggiungere successivo della notte polare accrescerà ulteriormente.
Attualmente il ghiaccio artico è ben sotto la media di riferimento, ma altrettanto bene dentro le due deviazioni standard, come del resto è accaduto per tutto l’ultimo ciclo. E’ così improbabile, ove non del tutto escludibile, che l’estensione faccia segnare un nuovo record negativo. Questo si deduce da quanto pubblicato dall’NSIDC, che ha proiettato i dati attuali su diversi ratei di scioglimento per le prossime settimane in base alle performance migliori e peggiori del periodo di osservazione satellitare.
Ciò significa che lassù, in sintonia con quanto sta accadendo per altri indicatori di evoluzione delle dinamiche del clima, le cose non stanno andando peggio, anzi, ci sono segnali importanti che stiano andando meglio, pur nel contesto della scarsa significatività dell’osservazione annuale rispetto all’andamento di lungo periodo.
Anche sulle dinamiche dei ghiacci, quindi, dopo anni di oscurantismo in cui si parlava di ‘spirale di morte’ e se ne attribuiva l’approssimarsi al solo forcing antropico, ecco che si torna a rivolgere l’attenzione a comportamenti di origine naturale che possono sommarsi, elidersi o comunque agire contestualmente all’eventuale forzante antropica. E, come abbiamo letto molto spesso recentemente per altri argomenti, anche per le oscillazioni dell’estensione dei ghiacci artici si parla di AMO, ossia di Atlantic Multidecadal Oscillation.
Lo fanno gli autori di una ricerca pubblicata recentemente sul GRL:
A signal of persistent Atlantic multidecadal variability in Arctic sea ice
Già il fatto di inserire nel titolo il carattere persistente del contributo dell’AMO sulle dinamiche dei ghiacci autorizza a domandarsi come mai non se ne sia tenuto conto sin qui, ma leggiamo l’abstract:
I dati satellitari restituiscono l’immagine di un sistema climatico del ghiaccio marino artico in rapida trasformazione, tuttavia le sue dinamiche di variazione nel lungo periodo sono scarsamente conosciute. In questo lavoro si integrano e sintetizzano un set di dati storici plurisecolari del ghiaccio marino atlantico, completati da registrazioni paleoclimatiche ad alta risoluzione, entrambi riferiti primariamente alle condizioni del ghiaccio in inverno e primavera. Si identifica un segnale di diffuse e persistenti fluttuazioni multidecadali (~60–90 anni), più pronunciate nel Mar di Groenlandia e più attenuate lontano da esso. La contestuale variabilità tra il ghiaccio artico e la variabilità multidecdale atlantica, così come rappresentata dall’indice dell’Atlantic Multidecdal Oscillation (AMO), è evidente nel periodo di osservazioni strumentali, con l’inclusione di un cambiamento repentino all’insorgere del periodo di rapido riscaldamento dell’inizio del ventesimo secolo. Una simile contestuale variabilità risulta evidente nei secoli dalla comparazione della più lunga serie storica dell’estensione del ghiaccio e le ricostruzioni paleoclimatiche del ghiaccio artico e dell’AMO. Questa evidenza osservativa supporta recenti studi modellistici che hanno suggerito che il ghiacio artico sia intrinsecamente collegato alla variabilità multidecdale dell’Atlantico. Ciò potrebbe avere delle implicazioni nella comprensione del recente trend negativo nell’estensione invernale del ghiaccio artico, sebbene dal momento che la diminuzione è stata più ampia in estate, altri processi e feedback possono anche essere importanti.
Quando queste cose le dicevano gli scettici si sparava a vista e qualcuno lo fa ancora. Mi chiedo quanto tempo ci vorrà e quante altre dimostrazioni di complessità e di predominio sulle nostre piccole azioni di uomini la Natura dovrà dare perché perché si esca dal paradosso di pensare di poter contrastare il forcing antropogenico sul clima ricorrendo al pensiero unico, che è appunto chiara espressione di antropocentrismo.
… cosa c’è infatti di più antropocentico del pensare che la specie umana sia il principale (o per alcuni ormai l’unico) determinante della variabilità del clima? Io lo definirei un gravissimo peccato d’orgoglio. Per molto meno Dante spediva i suoi contemporanei all’inferno.
Luigi
Egregio Mariani lei Ha perfettamente ragione. Il grosso problema é che questa pseudoscienza catastrofista climatica ragiona con termini ed elementi formalmente scientifici ma purtroppo parte da presupposti piu o meno consci che spaziona nel campo della socio-psicologia umana e della filosofia e come tali ripercorrono i grandi errori commessi dalle civiltà del passato. Diventa purtroppo difficile essere credibili rispondendo ad un modello matematico con un concetto filosofico, anche se io sono da tempo convinto che questa sia la deludente realtà dei fatti.
N. Scafetta lo ha sempre sostenuto. I fenomeni climatici devono essere interpretati sulla base di serie molto lunghe, sostiene, in quanto affette da ciclicità multidecadali per cui limitarsi a serie di osservazioni di breve durata e, da esse, trarre conclusioni circa i trend di variazione del particolare parametro climatico, può generare grossi errori.
L’articolo discusso nel post ne è un esempio lampante. Se l’estensione dei ghiacci marini artici segue il ciclo AMO, avremo delle fasi di rapida variazione e delle fasi di stasi o di lenta variazione. Se la serie analizzata si limita alla fase di rapida variazione (positiva o negativa) siamo portati a credere, in base al confronto con il trend di variazione precedente, che il parametro sta aumentando (diminuendo) la sua velocità di variazione. Nella fattispecie del ghiaccio artico “si è innescata la spirale di morte”. Negli ultimi anni sembrerebbe che ciò non è vero, ma anche questo potrebbe essere un abbaglio. Ne concludo che bisogna essere cauti, molto cauti (in un senso e nell’altro).
L’articolo non esclude, infine, che oltre alle cause naturali possano esistere anche dinamiche antropiche che influenzano l’evento: in ogni caso parlare di unicità di attribuzione è un errore.
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Nel caso dei ghiacci artici, comunque, oltre all’ipotesi ciclica, non va trascurata, secondo me, un’ipotesi alternativa: il superamento di un punto di non ritorno, uno switch, insomma, che ha portato il sistema da una condizione di equilibrio ad un’altra, nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2006. Se analizziamo, infatti, il seguente diagramma
http://arctic.atmos.uiuc.edu/cryosphere/IMAGES/seaice.anomaly.arctic.png
si evince chiaramente che, in modo repentino, l’anomalia media dell’estensione dei ghiacci marini artici passa da zero a -1.000.000 kmq per poi stabilizzarsi nell’ultimo periodo. In particolare, dopo alcune oscillazioni molto ampie, sembra che le oscillazioni dell’ultimo periodo si sono ridotte. Lo stesso comportamento potremmo vederlo quando si perturba l’equilibrio di un oscillatore elastico. La causa del superamento del punto di non ritorno? Non saprei, ma sarebbe interessante scoprirlo. Secondo me una serie di cause, naturali e non, che hanno portato il sistema a rompere il suo equilibrio. Il processo è reversibile? Non lo so, probabilmente si, allorché le condizioni al contorno produrranno un salto nella direzione inversa. Se le cause sono prevalentemente naturali la cosa potrebbe verificarsi in un futuro più o meno lontano, in caso contrario ci inoltriamo in “terra incognita”.
Ciao, Donato.