Alcuni giorni fa Luigi Mariani ha brevemente commentato le difficoltà che i modelli di simulazione del clima hanno (anche) nel riprodurre efficacemente le temperature di superficie degli oceani e, in particolare, i pattern delle oscillazioni multidecadali cui queste vanno soggette. Oscillazioni, tra le altre cose, che sembrano avere un ruolo decisamente importante per le vicende climatiche del pianeta, come per esempio l’alternanza di fasi di prevalenza di eventi La Niña nel Pacifico con la PDO (Pacific Decadal Oscillation) negativa e fasi di maggiore frequenza di eventi El Niño per PDO di segno opposto.
Nelle discussioni climatiche, si tende a dare spesso maggiore importanza al ruolo dell’Oceano Pacifico rispetto all’Oceano Atlantico, soprattutto per questioni di dimensioni, ma anche per la riconosciuta importante variabilità climatica ad alta frequenza cui va sottoposto. Nella realtà dei fatti, probabilmente, nel sistema non esistono attori principali e comprimari, con le dinamiche naturali del clima che sono piuttosto meglio ascrivibili ad un insieme di processi contestuali o attivantisi l’uno per effetto dell’altro in una sequenza che determina la situazione ma che è veramente difficile – sin qui impossibile – da comprendere e definire.
Negli ultimi mesi/anni sebbene con molta riluttanza, la comunità scientifica sta tornando a prestare attenzione a queste dinamiche naturali, soprattutto perché come è noto l’aumento della temperatura del pianeta, il global warming, si è arrestato da più di un quindicennio. Questo ha fatto sorgere il dubbio che il clima, forzante antropica a parte, ci possa mettere del suo, magari anche invertendo un segno del trend delle temperature che molti danno per scontato. Alla buon’ora.
E così sono state fatte molte ipotesi per spiegare questo ‘mancato aumento’ delle temperature in forma di articoli scientifici. Pare ne circolino almeno una trentina in effetti. Oggi parliamo della più recente perché, malgrado nei comunicati stampa (qui e qui) delle università che hanno comtribuito a questo nuovo studio si noti un certo orientamento allarmistico per la ricerca di una spiegazione ma anche di una conferma del global warming, il paper di per se’ affronta un tema interessante, pur giungendo però a conlcusioni che in realtà sembrano piuttosto deboli.
Si parla dell’AMO, cioè dell’Oscillazione Multidecadale dell’Atlantico, un andamento attorno ad una ipotetica asticella delle temperature di superficie lungo la longitudine che ha un periodo di circa 65-70 anni e che ora è probabilmente all’apice della sua fase calda, la cui ascesa è iniziata alla metà degli anni ’70, proprio in concomitanza con l’ascesa delle temperature globali.
Secondo gli autori di questo paper, alla base della pausa dell’assenza di riscaldamento ci sarebbe stato un rafforzamento degli alisei sull’Oceano Pacifico, con accumulo di acque calde verso ovest e sostenuto upwelling e raffreddamento verso est, in pratica la classica condizione di neutralità o prevalenza di eventi La Niña tipici della PDO negativa, innescatasi all’inizio del nuovo secolo. Questo rafforzamento tuttavia sarebbe iniziato prima, circa all’inizio degli anni ’90, ed avrebbe raggiunto valori molto elevati, ovvero da record. Queste dinamiche però compaiono anche in altre ipotesi avanzate per spiegare lo stop al global warming. L’elemento di novità consiste nel fatto che all’origine del rafforzamento degli alisei e dell’intensificazione della Walker Circulation, cioè di quella circolazione d’aria sulla verticale che è ortogonale alla longitudine e che trasporta il calore verso l’alta atmosfera attraverso la convezione, ci sarebbe proprio l’AMO positiva, il riscaldamento dell’Atlantico, che avrebbe determinato un riposizionamento della massa atmosferica nei bassi strati favorendo l’intensificazione degli alisei. Alla guida del meccanismo, quindi, ci sarebbe l’Altlantico e non il Pacifico, come invece abbiamo accennato all’inizio di questo articolo.
Sul blog di Judith Curry, c’è un post dedicato a questo argomento, anche perché la Curry ha pubblicato alcuni mesi fa un paper in cui si ipotizzano proprio una serie di meccanismi di propagazione delle dinamiche climatiche (The Stadium Wave, qui su CM) nel quale potrebbe (e dovrebbe) trovar posto anche l’AMO, che anzi la Curry considera tra gli elementi più importanti, se non il più importante nell’evoluzione del sistema.
Il punto è che questa analisi soffre del classico problema dell’uovo e della gallina. Sono le dinamiche del Pacifico ad innescare il processo o quelle dell’Atlantico? Sono le distribuzioni della massa a far aumentare gli alisei o sono le temperature oceaniche ad innescare la distribuzione della massa e quindi i venti e quindi il rilascio o l’assorbimento del calore ad opera degli oceani e quindi il trend positivo o negativo delle temperature globali?
Gli autori del paper optano per l’opzione Atlantico, ma non spiegano perché. E inoltre non separano il contesto da un ipotetico aumento delle temperature del bacino ad opera del global warming, dimenticando le accertate precedenti oscillazioni dell’AMO tra l’altro ben allineate con le temperature globali, come Luigi Mariani ci faceva notare qualche giorno fa, appunto. Molti nomi noti del panorama climatico non hanno infatti mancato di sottolineare l’impossibilità di giungere ad una conclusione circa l’innesco e/o la sequenza degli eventi, criticando piuttosto duramente questo paper. Tra tutti soprattutto Trenberth, che ha scritto molto sia sulla pausa del global warming sia sulle dinamiche oceaniche, che sottolinea la difficoltà di aver successo nel processo di attribuzione delle cause attraverso questo ragionamento che in assenza di altre informaizoni si rivela circolare. E’ molto difficile fare deduzioni di causalità in un sistema complesso, dice Trenberth, anche usando esperimenti numerici (modellistici).
Su questo, dice la Curry e direi sia il caso di sottoscrivere in pieno, siamo tutti d’accordo. L’attribuzione delle cause è affare ancora non risolto. Ci piacerebbe che si sottolineasse questo piccolo particolare anche quando si parla di dinamiche del clima completamente prone alle attività umane, ma questo evidentemente non è dato.
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