Come abbiamo ricordato e discusso più volte, la redistribuzione del calore sul pianeta, innescata dalla differenza di radiazione ricevuta tra i poli e l’equatore, si compie nella componente atmosferica attraverso la circolazione generale dell’atmosfera e nella componente oceanica attraverso la circolazione termoalina. Quest’ultima è attivata da differenze di temperatura e di salinità e dal contributo astronomico, che riveste inoltre un ruolo importante. Tanto per fare un esempio, infatti, sebbene molto spesso si sia sentito parlare (quasi sempre a sproposito) di interruzione della Corrente del Golfo (parte superficiale nord-atlantica della CdG), pochi sanno che per farlo accadere sul serio si dovrebbe fermare la rotazione della Terra. Non poniamo limiti all’immaginazione ma questo forse non siamo proprio in grado di farlo.
Il nastro trasportatore oceanico quindi è senz’altro di primaria importanza. Ora, la scala temporale attraverso cui le due componenti atmosfera e oceani compiono il loro lavoro, è naturalmente variabile, ma mentre i moti atmosferici vanno da poche ore per i fenomeni a piccola scala ai giorni della scala sinottica ed ai mesi di quella planetaria, sull’oceano, placido per definizione, tutto avviene con tempi estremamente più lunghi, anche dell’ordine di secoli. Si calcola che un ciclo completo della circolazione termoalina, che copre tutti gli oceani, possa durare anche 800 anni. E’ pur vero che appena qualche giorno fa, per esempio, abbiamo commentato uno studio in cui è stato analizzato e quantificato il trasporto di massa che avviene attraverso la formazione di piccoli vortici a mesoscala che hanno un ciclo di vita che da qualche mese a qualche anno, così come la ricerca ha ormai consolidato la conoscenza di cicli delle temperature oceaniche che coprono l’arco di2/3 decadi, come l’AMO per l’Atlantico e la PDO per il Pacifico.
Tempi più lunghi, quindi, ma comunque tempi che possono essere apprezzati alla scala climatica, la cui unità temporale si aggira – sebbene solo per convenzione – appunto intorno al trentennio.
Ebbene qualche giorno fa è apparso su Science un paper piuttosto interessante, in cui gli autori, studiando dei dati di prossimità provenienti da sedimenti nel Nord Pacifico e nel Nord Atlantico sono stati in grado di risalire fino alla fine dell’ultima era glaciale che il pianeta ha conosciuto, ossia 18-20.000 anni fa. Esaminando questi dati, si sono accorti che in un generale contesto di comportamento asincrono dei due bacini oceanici, cioè con variazioni di temperature caratterizzate da segno diverso nello stesso lasso temporale, ci sarebbe stato un periodo in cui un aumento di temperatura – quindi di trasporto di calore dall’equatore verso i poli – avvenuto in modo sincrono avrebbe dato l’incipit ad un periodo di aumento rapidissimo della temperatura del pianeta per effetto dell’altrettanto rapido innesco di feedback positivi quali ad esempio lo scioglimento della calotta polare settentrionale. Questo secondo loro sarebbe stato un tipping point, cioè il raggiungimento di un punto al di la’ de quale il sistema reagisce in modo brusco, passando prima per una accentuata variabilità e poi dirigendosi verso un significativo riscaldamento. Appunto la fine dell’era glaciale.
Il paper è qui, per chi volesse approfondire: Synchronization of North Pacific and Greenland climates preceded abrupt deglacial warming
Cosa possa aver causato questo sincronismo però, non è dato saperlo, però, sappiamo di sicuro che all’epoca nessuno produceva CO2, se non quella espirata dai quattro gatti che abitavano il pianeta.
Il sistema climatico è un sistema caotico: questo è il punto, a mio giudizio più importante dello studio di cui stiamo parlando e ciò emerge in modo molto chiaro dal resoconto dell’editor allegato all’abstract dell’articolo . In realtà lo sapevamo già (sin dai tempi di Lorentz e del suo famoso “effetto farfalla” anche se esso, ad onor del vero, riguardava più il tempo meteorologico che il clima:-) ).
Pochi giorni fa discutendo con un lettore di CM ebbi modo di scrivere che, secondo il mio modesto parere, (surrogato da quello molto più autorevole di J. Curry) il sistema climatico è un sistema caotico caratterizzato da stati di equilibrio intorno ai quali il sistema oscilla. Alcuni di questi stati di equilibrio possono essere violati a causa di perturbazioni anche di modesta entità per cui il sistema diventa instabile fino a che non trova un’altra condizione di equilibrio stabile. Gli autori dell’articolo, per esempio, hanno individuato per gli ultimi 20000 anni dei punti di passaggio da una situazione di equilibrio ad una di squilibrio climatico. Una di queste per esempio potrebbe riguardare quello che noi individuiamo come evento del Dryas recente. Tale evento segnò, durante il presente periodo interglaciale, un repentino ritorno alle condizioni glaciali per circa 1300 anni e si verificò tra i 12900 e gli 11500 anni fa (periodo compreso nell’intervallo 15500-11000 anni fa indagato dagli autori).
Questo improvviso cambio di condizioni climatiche ha sempre suscitato interesse e polemiche (è stato globale, è stato locale, è stato causato “dall’interruzione” della Corrente del Golfo a causa dell’improvviso afflusso di acque dolci provenienti dal centro dell’America settentrionale in fase di deglaciazione, fu conseguente ad un impatto meteorico, ecc. ecc. ).
Applicando il meccanismo proposto dagli autori dell’articolo noi potremmo spiegare l’evento in modo molto più semplice: l’oscillazione casuale del sistema climatico ha determinato una sincronia tra due eventi normalmente asincroni che avrebbero prodotto l’improvvisa oscillazione climatica.
Aspetto molto interessante di tutta la questione è che dopo l’improvviso ed inspiegabile evento, il sistema può ritornare a condizioni di equilibrio simili a quelle precedenti (nella fattispecie da me suggerita riprendere il suo lento processo di riscaldamento interglaciale che prosegue anche ai giorni nostri).
Da questo articolo emerge, pertanto, un quadro che mi attrae molto e conferma molte delle mie idee (conferma il mio “paradigma”, nel senso di Kuhn e, quindi, lo accetto con entusiasmo 🙂 🙂 ). Il sistema climatico è caratterizzato da una serie di attrattori che lo stabilizzano nello spazio delle fasi in condizioni di equilibrio più o meno stabili. Alcuni di questi attrattori regolano oscillazioni nell’ordine delle centinaia di migliaia di anni (le glaciazioni e gli interglaciali) altri regolano oscillazioni di periodo molto più breve. Tengo a precisare che i periodi di cui parlo non sono quelli armonici cui siamo abituati, ma quelli che caratterizzano i sistemi non lineari come quello climatico.
A questo punto sorge spontanea una domanda: possiamo prevedere l’evoluzione di un sistema non lineare come quello appena descritto in modo deterministico come tentiamo di fare con i modelli di circolazione globale? Non lo so, ovviamente, anche se propendo per una risposta negativa. Da quel poco che ho letto fino ad oggi, secondo alcuni la cosa è possibile, secondo altri no in quanto non conosciamo in modo soddisfacente l’entità delle grandezze che sono in grado di guidare il sistema né il modo in cui le caratteristiche che esse quantificano interagiscono tra loro.
Ed in modo empirico e/o semiempirico come suggeriscono molti studiosi dei cui lavori ci siamo occupati su queste pagine nel passato? Probabilmente si. Il problema è che questi approcci, purtroppo, portano a conclusioni anche diametralmente opposte (vedi il caso dei lavori del dr. Scafetta, del dr. Pasini, del dr. Zecca, ecc., ecc.).
Dobbiamo solo seguire l’evoluzione della discussione nell’ambito della comunità scientifica, ma, in ogni caso, non possiamo impiccarci solo alla CO2 ed alla sensitività climatica come suggerisce la linea di pensiero principale della scienza del clima.
Ciao, Donato.
Ho letto l’articolo e l’ho travato interessante anche se ben lontano dall’essere esaustivo.
Anzitutto mi ha colpito il fatto che durante l’interstadiale caldo di Bølling che ebbe inizio 14700 anni fa’ (http://it.wikipedia.org/wiki/B%C3%B8lling-Aller%C3%B8d) e durante il primo Olocene, il Golfo d’Alaska era popolato da Orbulina universa, un foraminifero planktonico subtropicale indicatore della presenza di temperature marine significativamente superiori a quelle odierne. Questo mi sembra importante per capire almeno a grandi linee l’entità del forcing oceanico che fu in gioco alla fine della glaciazione di Wurm (e che possiamo solo immaginare come fu patito dai pochi umani che popolavano il pianeta e che si videro ad esempio i mari salire di 100 m in un periodo relativamente breve).
Inoltre gli autori segnalano che la sincronizzazione fra Nord Atlantico e Nord Pacifico in termini di apporto di calore dalle basse latitudini potrebbe rivelarsi un elemento prognostico impostante per futuri cambiamenti di fase nel sistema climatico globale. In proposito portano come esempi la sincronizzazione che si instaurò 15500 anni fa’ e che preannunciava l’interstadiale caldo di Bølling mente quella che si instaurò 11000 anni fa’ e che preannunciava la fine del Dryas recente e l’inizio dell’olocene.
Per quanto attiene gli aspetti prognostici, a fine articolo gli autori “buttano lì” il riferimento ad un lavoro di Chang del 2004 (consultabile qui: http://journals.ametsoc.org/doi/full/10.1175/JCLI3195.1) in cui si evidenzia che prima degli anni ’70 del XX secolo le storm tracks di Nord Atlantico e Nord Pacifico erano scorrelate mentre in seguito divengono fortemente correlate. Qui però l’articolo finisce ed a me resta il dubbio (che gli autori non chiariscono, peccato) circa il legame esistente fra sincronizzazione nel trasporto latitudinale di calore e sincronizzazione delle storm tracks.
Mi domando infine una cosa e cioè se la sincronizzazione sia da ritenersi l’effetto del caso (due sistemi indipendenti che casualmente si trovano ad essere in fase, scatenando effetti potentissimi) oppure se sia stata “guidata” da una causa ben più potente (l’attività solare?) che l’abbia in sostanza imposta al sistema.