Ho letto con grande interesse il libro “Nuove energie — Le sfide per lo sviluppo dell’Occidente”, pubblicato dalla Marsilio (159 pagine, 13,00 €) e scritto dall’ingegner Giuseppe Recchi, presidente dell’ENI (qui). indice, è andato crescendo in me durante la lettura per una serie di motivi.
Cominciamo dalla scrittura scorrevole, assolutamente indicata per facilitare l’approccio del profano a temi tutt’altro che leggeri, zeppi anzi d’alta economia e questioni tecniche. Dalla forma alla sostanza, ho trovato degno quanto mai d’attenzione l’atteggiamento complesso e articolato dell’autore nei confronti dei dogmi diffusi dall’ideologia ambientalista: atteggiamento che va dalla condivisione almeno apparente al contrasto netto e ben argomentato. La complessità non impedisce tuttavia, secondo me, d’individuare una linea strategica unitaria.
Visto che siamo in un blog dedicato al clima, prenderò anzitutto in esame un problema che pervade l’intero libro: il biossido di carbonio immesso nell’atmosfera dallo sfruttamento dell’energia. Il presidente d’una grande azienda petrolifera avrebbe interesse a unirsi al gruppo degli scettici, cioè di coloro che attribuiscono a fattori non antropogenici i cambiamenti del clima, visto che bruciare idrocarburi contribuisce non poco alle emissioni d’origine umana. No, Recchi non mette in discussione quanto l’IPCC e i suoi seguaci vogliono farci credere; non ci ricorda neppure che la scienza non è unanime sui motivi per cui il clima sta cambiando. Sarebbe la via più facile, ma lui non la segue. Forse vuole evitare di trovarsi rinfacciato l’argomento contrario, l’insinuazione secondo cui gli scienziati scettici sono al soldo dei petrolieri e dunque non degni di fede. Recchi preferisce dimostrare che le politiche europee ispirate dagli ambientalisti, oltre a esser deleterie dal punto di vista economico, sono un fallimento clamoroso anche sotto l’aspetto delle emissioni di gas serra:
“Aver imposto il raggiungimento di determinati livelli di emissioni attraverso l’esclusivo uso delle rinnovabili in tempi troppo rapidi ha fatto sì che […] oggi paghiamo l’energia il doppio che negli Stati Uniti e le emissioni di CO2 sono aumentate a causa dell’abbondanza di carbone. […] Le bollette salate sono l’equivalente di una tassa che grava anche sulle famiglie e l’altissimo costo dei sussidi alle energie rinnovabili è una spesa che stati con enormi debiti non possono permettersi. Nel 2013 la cifra spesa per sussidiare le rinnovabili in Europa è stata pari a 60 miliardi, dei quali 13 solo in Italia. […] Abbiamo e avremo sempre necessità di energia a basso costo che procuri il minor danno possibile all’ambiente. Le politiche attuali sull’energia vanno esattamente nella direzione contraria. Secondo la IEA, nei prossimi vent’anni l’Europa potrebbe perdere un terzo della sua quota di mercato mondiale relativa a prodotti energy-intesive, a causa del differenziale con gli Stati Uniti”.
Su un altro terreno, l’autore al contrario evita del tutto lo scontro: l’energia nucleare. Si limita a prendere atto delle decisioni politiche che in Italia l’hanno messa al bando. In questo caso, a chi produce o vende idrocarburi i movimenti ambientalisti hanno fatto un favore, tanto involontario quanto grosso. Perché dunque, da parte del presidente dell’ENI, esprimere un parere critico? Sarebbe autolesionismo.
Passiamo, a questo punto, a elencare alcune frecciate: dal libro di Recchi ne partono un bel po’ contro i luoghi comuni. La povertà nel mondo? È diminuita! Ma come: c’è anche la crisi a renderci tutti più poveri… Beh!… Intendiamoci. La soglia di povertà grave è considerata il poter spendere, per sopravvivere, non più di 1,25 € a testa. Nel 1990 rientrava in questa classifica miserevole il 43 per cento dell’umanità. Oggi, nonostante la crisi, la percentuale è scesa d’una ventina di punti: i poveri così definiti rappresentano il 22,7 per cento. Qualcuno potrebbe obiettare: questo è un gioco di bussolotti, basato appunto sulle percentuali, mentre il numero in assoluto è salito. No! Anche in termini assoluti c’è stato un calo: da 1,9 a 1,3 miliardi. E il fatto che il buon risultato ci sia pur con una forte crescita della popolazione mondiale dimostra quanto il malthusianismo, padre di tutti i catastrofismi moderni, sia fallace. E ancora: sapete chi ha salvato più balene? Greenpeace? Macché: è stato il signor Edwin Laurentine Drake, colui che, poco dopo la metà dell’Ottocento, fondò l’industria del petrolio. Recchi ci racconta che, prima, con l’olio e il grasso di balena si facevano candele e s’alimentavano lampade. I cetacei fornivano altri materiali utili, ma la caccia intensa li stava estinguendo. Per fortuna l’avvento del petrolio offrì nuovi combustibili, relativamente economici, per l’illuminazione. Ma il petrolio finirà! Il famoso picco di Hubbert l’abbiamo già superato o ci manca poco. No! scrive Recchi. Nel formulare la teoria del picco non è stata tenuta abbastanza in conto la risorsa principe: la creatività umana. Oggi la stima è che gl’idrocarburi ci basteranno per altri centottant’anni. Ma non è detto che continuino a servirci nella stessa misura. L’età della pietra non è finita perché sono finite le pietre. Allora ben vengano le energie rinnovabili? Piano, piano: niente velleità.
“Il combustibile ‘rinnovabile’ preponderante in Europa è… il legno. In varie forme, che vanno dalla segatura ai pellet, il legno conta per circa il 40 % delle rinnovabili e in alcuni paesi, come Polonia e Finlandia, arriva all’80 %”.
Visti i tempi di crescita degli alberi, il rimpiazzo del legno consumato richiede fra gli ottanta e i cento anni. Non siamo ai tempi geologici di petrolio e metano, ma il ritmo non regge comunque. Molti pensano alla Germania, “locomotiva” economica del continente, che è anche il paese ad aver puntato con più decisione sulle energie verdi. Però, avendo pensato di lasciar perdere il nucleare dopo l’incidente di Fukushima, ci ha dato sotto alla grande col carbone a basso prezzo, contribuendo anch’essa alle aumentate emissioni di biossido di carbonio. Per salvare il mondo non resta dunque che la decrescita felice? È il sogno di gente che però intanto si gode a tutt’andare i frutti del progresso tecnologico. “La ‘decrescita felice’ non è felice per niente”: l’ingegner Recchi invita tutti a un sano realismo.
Nell’insieme dal suo libro appare un capitano d’industria che non si butta in battaglie ideologiche, ma si limita a smontare con autorevolezza solo quelle tesi “verdi” che ostacolano il cammino della sua azienda. Le altre gli basta ignorarle o presentarle come inadeguate. Un libro da leggere, insomma, anche per capire come una persona in quel ruolo possa calarsi in un’efficace strategia comunicativa.
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Ho letto con evidente interesse il libro dell’ex Presidente dell’ENI di cui ho apprezzato tutto quanto detto dai precedenti interventi. Non ho però trovato traccia sul problema italiano sollevato dalle deleterie ideologie ambientaliste contro lo sfruttamneto delle risorse energetiche presenti nel sottosuolo del nostro Paese. L’ing. Recchi con molta abilità non affronta il problema del riscaldamento globale che sta alla base del contrasto all’utilizzo degli idrocarburi da parte degli ambientalisti. Un tema così importante secondo me andava approfondito data la connessione con le iniziative degli ambientalisti, soprattutto in un periodo in cui i mass media (ultimo esempio una allucinante trasmissione RAI 2 di qualche giorno fa , ore 8 circa, per non parlare di Report che per ben due volte ha fatto terrorismo sull’utilizzo degli idrocarburi), non fanno altro che dare ampio spazio alle fantasiose catastrofi che possono derivare dall’utilizzo degli idrocarburi. Ottimo libro quindi, però con un manchevole non approfondimento di questo tema. Sono uno scettico, come ben noto, ma non ho mai avuto nessun contributo dalle società di ricerca di idrocarburi.
Non posso esprimere un parere articolato sul libro del Presidente Recchi, in quanto ancora non l”ho letto. Mi riservo quindi di tornare sul tema dopo una attenta lettura. Intanto sulla base delle informazioni che mi derivano dall’articolo di Gianni Fochi desidero proporre alcune riflessioni. Mi è parso strano che nel libro non sia stato affrontato il tema relativo alle attivtà degli ambientalisti sintetizzate nelle sigle No-triv (triv sta per trivelle) o No-petrolio, che di fatto stanno bloccando le ricerche di idrocarburi in Italia, con argomenti privi di scientificità: le perforazioni per idrocarburi sono causa di terremoti, di subsidenza, di danno al turismo, ecc., inconvenienti che possono essere confutati correttamente su base scientifica e tecnica almeno per la loro scarsa incidenza sull’ambiente. Addirittura l’ex Presidente Romano Prodi ha di recente affermato l’esigenza di riprendere con vigore le ricerche per lo sfruttamento delle riserve di idrocarburi nel nostro territorio. L’Agip per esempio non ha potuto sfruttare un importante giacimento di gas ubicato nell’Adriatico centro-settentrionale messo in evidenza con rilievo sismico 3D. Al contrario il Ministero dell’Economia della Croazia sta varando un vasto programma di ricerca per lo sfruttamento di risorse di idrocarburi evidenziate nell’Adriatico centro-settentrionale mediante la sismica a riflessione curata dalla Spectrum norvegese. Come mai l’ENI non prende posizione su questo tema?
Un’altra riflessione sulla accettazione dei dati forniti dall’IPPC. A me pare che il ricorso alle energie rinnovabili sia strettamente legato alla affermazione che l’immissione di CO2 in atmosfera per colpa dell’utilizzo degli idrocarburi sia la causa del cosiddetto riscaldamento globale foriero di disastri immensi. La lobby delle energie rinnovabili deve quindi affermare con vigore la eliminazione dell’utilizzo degli idrocarburi quale fonte di energia.
Il professor Crescenti pone opportunamente il problema degl’idrocarburi presenti nel sottosuolo italiano. L’ingegner Recchi nel suo libro ne parla: io, nel mio articolo, no, perché mi sembrava d’aver approfittato già molto della pazienza dei lettori. Per alcuni argomenti interessanti ho preferito rimandare implicitamente alla lettura del libro.
Personalmente condivido in toto quanto ha scritto il prof. Fochi.
Vorrei, traendo spunto dalla sua citazione di un brano del libro dell’ing. Recchi, svolgere una breve riflessione sul ruolo delle energie rinnovabili nell’attuale momento storico.
Scrive Recchi: “Le bollette salate sono l’equivalente di una tassa che grava anche sulle famiglie e l’altissimo costo dei sussidi alle energie rinnovabili è una spesa che stati con enormi debiti non possono permettersi.”
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Credo che quanto citato calzi perfettamente al nostro Paese: un debito enorme come il nostro renderebbe del tutto improponibili le politiche energetiche (se così si possono definire 🙂 ) che da alcuni anni ci affliggono. La cosa che maggiormente mi fa riflettere, però, riguarda l’atteggiamento delle istituzioni Europee nei nostri riguardi: in occasione dell’inaugurazione del semestre di presidenza italiano dell’UE, diversi esponenti politici che siedono nel parlamento europeo ebbero a stigmatizzare lo scarso entusiasmo con cui l’Italia si impegna nella transizione verso un mix energetico fortemente sbilanciato verso le energie rinnovabili. La mia impressione è che le industrie “green” del nord Europa, avendo saturato i loro mercati nazionali, hanno bisogno di nuovi sbocchi commerciali: a pensar male si fa peccato, però, non si sbaglia (come ci ha insegnato un uomo politico del passato caratterizzato da un forte senso dell’umorismo 🙂 ).
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Le fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico et similia), infatti, rappresentano una realtà economica e tecnica non ancora matura che implementata in dosi massicce all’interno di un sistema energetico pensato per funzionare in un modo completamente diverso (da pochi a molti e non viceversa) crea grossi problemi di equilibrio nella gestione della rete elettrica. A ciò si deve aggiungere che il sistema non sarebbe in grado di funzionare senza i sostanziosi incentivi corrisposti da noi utenti ai produttori “rinnovabili”. Ci troviamo di fronte, cioè, ad un sistema drogato che difficilmente riuscirà a sopravvivere all’era degli incentivi.
Tutto ciò senza tener conto della precipitazione con cui si intende procedere verso un sistema energetico basato sulle rinnovabili. La storia ci insegna che le transizioni energetiche sono molto lunghe e richiedono decenni per poter raggiungere un livello di sostituzione oltre il quale le nuove fonti di energia sono in grado di procedere con le proprie gambe e sostituire gradualmente le vecchie forme di energia (tale è stato il caso della transizione dalla legna da ardere, al carbone e, infine, al petrolio ed al metano).
Non si vede, quindi, perché nel caso delle fonti rinnovabili (eolico e solare in primo luogo) le cose dovrebbero andare diversamente.
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In quest’ottica, pertanto, non si può che convenire con l’ing. Recchi circa il velleitarismo di certe politiche energetiche nazionali ed europee. Oggi come oggi noi abbiamo bisogno di “pane energetico”, le istituzioni, però, sembra che vogliano darci le brioche (per usare un esempio molto caro all’amico G. Botteri).
Qualcuno mi farà notare che tutto ciò deve farsi solo ed esclusivamente nel supremo interesse delle generazioni future e per salvaguardarle dai cambiamenti climatici. A costoro replico che, di questo passo, ammesso e non concesso che la CO2 generi i cambiamenti climatici previsti dalla linea di pensiero dominante, non ci saranno generazioni future da tutelare (visto il tasso di “incremento” demografico del nostro Paese, per esempio).
Mi auguro che la nostra società rinsavisca ed esca da questa fase autolesionista, ma ho fortissimi dubbi che ciò possa accadere.
Ciao, Donato.
Molto opportuna la riflessione che: “… a pensar male si fa peccato, ma …”!
Non credo però che le pressioni che chiaramente continuare a provenire dalle Istituzioni europee nei ns. riguardi siano dettate dall’interesse di portare i loro prodotti nel ns. mercato, avendo “saturato” il proprio. Questo per due ordini di ragioni:
1° – non è affatto “saturato” (ammesso che sia opportuno) il mercato di importanti Paesi dell’Europa Centro-Nord (in particolare Francia ed UK che hanno un contributo dalle fer certo inferiore a quello tedesco, italiano e spagnolo.
2° – Per il fatto che, sempre per ragioni di competitività, tali “strumenti” (pannelli solari e pale eoliche, sono sempre più dominatri dalle industrie cinesi (dove i generosi europei hanno favorito lo sviluppo del lavoro, sovvenzionandolo ampiamente) da dove appunto si importano in gran parte di tali “strumenti”.
Il vero problema che a me appare, invece, è proprio quello della “competitività” della ns. industria manifatturiera (peraltro largamente costituita da piccole e medie imprese, che non beneficiano di condizioni di privilegio o sconti particolari!, che essendo gravata da un costo molto maggiore dell’elettricità, è messa a mal partito per poter competere con i maggiori Paesi del Nord (Germania in primis) !
Quindi, a lor signori va benissimo che i “furbi e ricchi” italiani, così largamente infatuati dalla retorica pseudo-ambientalista, sperperino e gravino pesantemente la loro economia per finanziare gli “speculatori” che beneficiano di faraonici incentivi, sottraendo così risorse alle ns. industrie manifatturiere e benessere ed occupazione in Italia, lasciando maggiore spazio di mercato internazionale a loro.
E pensare che in diversi articoli di stampa, si arriva a leggere di suppliche a non scoraggiare gli “investitori” (che hanno pesantemente approfittato di lauti incentivi – i più elevati in assoluto) ad “investire” (?) nel ns. Paese, scoraggiandoli quindi a perseverare.
Sono questi gli “investitori” stranieri di cui abbiamo bisogno e che invochiamo a riservare le loro attenzioni al bel Paese???
“Il vero problema che a me appare, invece, è proprio quello della “competitività” della ns. industria manifatturiera (peraltro largamente costituita da piccole e medie imprese, che non beneficiano di condizioni di privilegio o sconti particolari!, che essendo gravata da un costo molto maggiore dell’elettricità, è messa a mal partito per poter competere con i maggiori Paesi del Nord (Germania in primis) !”
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Concordo e sottoscrivo parola per parola! Probabilmente nel testo del mio commento non era esplicitato in modo chiaro, ma è ciò che intendevo dire: il riferimento “green” voleva essere ironico in quanto queste nazioni vengono sempre additate come esempio di “virtù ambientalista” e non si riferiva in modo esclusivo alle industrie (fiorenti nel passato) che producevano attrezzature per l’eolico ed il solare. 🙂
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Spiace dirlo, ma anche le ultime disposizioni legislative in materia di riduzione dei costi energetici previste dal governo italiano sembra che non riguardino la maggior parte delle piccole e medie imprese italiane (fonte il Sole 24 Ore). Secondo il mio modesto parere, pertanto, ci avviamo (come nazione) a subire la stessa sorte delle regioni meridionali dopo l’unità d’Italia: diventeremo lo sbocco commerciale delle industrie nord europee, cinesi e via cantando.
E che la cosa stia in questi termini è confermato da un fatto che, apparentemente, sembra non aver nulla a che fare con l’oggetto di questa discussione. Durante la campagna elettorale delle ultime europee la candidata ambientalista alla presidenza della Commissione rispondendo alle domande dell’intervistatrice (mi sembra M. Maggioni, ma non ci giurerei 🙂 ) che le chiedeva se era credibile che l’UE potesse sfaldarsi per colpa delle nazioni “virtuose” del nord Europa che avrebbero scaricato i paesi “cialtroni” del sud Europa, rispose, in modo molto serio, che lo reputava poco probabile perché in questo caso, chi avrebbe comprato i prodotti di Germania & C?
Saranno semplici spot elettorali? Io credo proprio di no e concordo con le sue analisi.
Ciao, Donato.
Ringrazio Gianni Fochi per aver suggerito questo libro dell’Ing. Giuseppe Recchi, stimolandomi certamente l’interesse a leggerlo prossimamente.
Da quanto interpretato, appare molto interessante il modo in cui Recchi affronta i vari temi che riguardano l’energia, argomento quanto mai importante per l’attualità e soprattutto sempre più importante per l’Italia che continua ad essere il Paese più a rischio strategico tra tutti i grandi Paesi sviluppati.
Cogliendo lo stesso spirito che ha ispirato l’analisi di Recchi e prendendo uno spunto dalla sua 1° frase riportata sopra:
” ….oggi paghiamo l’energia il doppio che negli Stati Uniti e le emissioni di CO2 sono aumentate a causa dell’abbondanza di carbone. […] Le bollette salate sono l’equivalente di una tassa che grava anche sulle famiglie ….”
vorrei fare una piccola aggiunta e considerazione:
Indubbiamente condivisibile l’affermazione che le emissioni di CO2 sono aumentate e che una buona parte è dovuta al maggior utilizzo del Carbone (è la statistica ufficiale a dimostrarlo), visto che il Carbone è il combustibile il cui utilizzo è aumentato di più recentemente – e continuerà a farlo anche nel prossimo futuro, per dare l’opportunità di uscire dalla povertà estrema ad una parte del 1,3 miliardi di nostri simili che ancora vivono nelle condizioni indicate – ma non è certamente il solo ad aver contribuito a questo.
Infatti (e qui Recchi dimentica, casualmente ed apparentemente – perchè non citato nell’articolo qui sopra – di farne alcun riferimento), sarebbe molto utile ed interessante allargare la visuale e l’osservazione ed andare a vedere cosa succede nei luoghi di estrazione dei combustibili fossili ed in particolare degli idrocarburi: Petrolio ma soprattutto Metano. Quella che io abitualmente definisco la “fase di pre-combustione” per differenziarla dalla “fase di post-combustione” a cui i molti dati abitualmente sovra-enfatizzati fanno riferimento.
Al riguardo suggerisco di andare a cercare e leggere lo studio pubblicato dalla “Cornell University – Ithaca/NY-USA nel 2011 dal titolo: “GHG and Natural Gas footprint from shale formation”.
Poi sarebbe il caso di suggerire all’IPCC di farvi caso, magari prima di arrivare al prossimo Report, visto che l’ultimo AR5 di prossima divulgazione (dopo averci già regalato il solito strumentale anticipo per i “Policy Makers”!) continua a suonarci la solita musica.
Forse tale approfondimento sarebbe interesserebbe anche per i politicanti di Bruxelles, visto che qualcuno vorrebbe che il nuovo Parlamento e la nuova Commissione provvedessero ad emanare le fuorvianti politiche di ulteriore drastica riduzione delle emissioni e vincoli incrementali per le RINNOVABILI (a prescindere dalla loro onerosità e marginale efficacia!), per l’arco temporale 2020-2030.
Giusto per impedire che l’Europa recuperi dalla grave crisi ???
Saluti.