I carboidrati e le proteine sono due fra le principali sostanze alimentari prodotte dalle piante e che sono essenziali alla vita umana ed animale (Lehninger, 1975). Il contenuto annuo di CO2 nell’atmosfera terrestre aumenta al ritmo di circa 1.5 ppmv (parti par milioni in volume) l’anno. Questo fenomeno, che è in primo luogo effetto delle emissioni umane, ha portato dai livelli pre-industriali di 280 ppm (1750) ad un livello attuale di circa 400 ppmv. Come noto tale incremento ha stimolato la fotosintesi (Tonzig e Marré, 1968) traducendosi in un incremento produttivo diretto di circa il 37% per le piante C3 come frumento, riso e orzo e di circa il 17% per le C4 come mais, sorgo e canna da zucchero (Penning de Vries et al., 1989).
A tale incremento diretto sono da sommare una serie di effetti indiretti, alcuni positivi e altri negativi. Fra gli effetti positivi ricordo anzitutto quello legato alla riduzione nel numero di stomi per unità di superficie fogliare (meno stomi perché c’è meno necessità di aperture deputate ad assorbire CO2), fenomeno questo che si traduce nella possibilità per le piante di consumare meno acqua per unità di prodotto (meno stomi = meno consumo idrico) e di essere meno sensibili a quei parassiti che usano gli stomi per invadere l’ospite come ad esempio la peronospora della soia Pernospora manshurica (Gautam et al., 2013). La minor necessità di sviluppare organi fogliari per assumere CO2 si traduce anche in un incremento del rapporto radici / foglie con conseguente maggiore produzione per le piante da radice (cassava, patata, batata, ecc.) mentre in frumento non si osservano variazioni significative dell’harvest index (rapporto fra granella e biomassa totale) (Pleijel and Uddling, 2012).
Fra gli effetti negativi segnalati in bibliografia vi sono anzitutto gli effetti sulle avversità biotiche (aumento della virulenza di parassiti e patogeni, maggiore aggressività delle malerbe). Si tratta in questo caso di avversità con cui l’uomo agricoltore si confronta con successo fin dalle origini dell’agricoltura e rispetto alle quali disponiamo oggi di strumenti sofisticatissimi (fitofarmaci, tecniche di ingegneria genetica) ed inimmaginabili solo alcuni decenni orsono. Alla luce di ciò è presumibile che tali avversità siano perfettamente controllabili, a meno che la politica ci metta lo zampino rifiutando la tecnologia in nome di un malinteso principio di precauzione.
In sintesi dunque possiamo immaginare che il rilevante incremento dovuto agli accresciuti livelli di CO2 atmosferica sia andato a costituire una quota parte significativa dell’incremento produttivo registrato nel XX secolo e che ha garantito la sicurezza alimentare ad un pianeta che ha visto la popolazione quadruplicarsi in 100 anni. Il problema che si pone è capire se tale benefico effetto si manterrà anche in futuro e se eventuali effetti negativi potranno annullare il vantaggio potenziale.
Effetti della crescita di CO2 sul tenore in proteine delle colture
Un ulteriore elemento critico che è stato paventato da vari studiosi negli ultimi anni è quello relativo alla possibilità che l’aumento di CO2 porti ad una riduzione del tenore proteico dei vegetali, ponendo problemi di sicurezza alimentare (soddisfacimento del fabbisogno proteico per gli esseri umani e gli animali domestici). In generale la bibliografia pone in luce il fatto che al crescere di CO2 l’aumento di produzione (più carboidrati) si associa a:
- aumento del tenore proteico nelle specie C3 leguminose, le quali assumono direttamente l’azoto dall’atmosfera grazie ai batteri presenti nei loro tubercoli radicali (Rogers et al., 2009).
- riduzione del tenore proteico nelle specie C3 non-leguminose quali frumento, orzo, patata e riso, le quali attingono l’azoto dal terreno, prevalentemente in forma di nitrato.
- aumento del tenore proteico nelle specie C4 come mais, sorgo, canna da zucchero le quali attingono anch’esse l’azoto dal terreno, prevalentemente in forma di nitrato.
Con riferimento alla riduzione del tenore azotato nelle specie non leguminose si è ultimamente condotta parecchia ricerca su frumento tenero (genere Triticum) che ha mostrato in estrema sintesi quanto riportato nella tabella 1, che è ricavata dai dati riportati da Pleijel and Uddling (2012). A fianco degli effetti dell’incremento di CO2 su frumento si riporta, perché mi pare interessante per il lettore, gli effetti di un gas inquinante fitotossico, l’ozono.
Tabella 1 – Effetti dell’aumento della CO2 e del’ozono sul frumento.
Termine |
acronimo |
Nome standard |
Unità di misura |
Al crescere di CO2 |
Al crescere di O3 |
Cariossidi per pianta |
GN |
grain number |
n |
Cresce |
Stazionario |
Peso della cariosside |
GM |
grain mass |
mg |
Stazionario |
Cala |
Produzione totale raccolta |
GY |
global yield |
t ha-1 |
Cresce |
Cala |
Concentrazione delle proteine |
GPC |
global protein concentration |
% su pesosecco cariosside |
Cala in modo meno che proporzionale rispetto a GY* |
Aumenta (**) |
Proteine totali raccolte |
GPY |
global protein yield |
t ha-1 |
Aumenta* |
Cala |
Indice di raccolta |
HI |
harvest index |
|
Stazionario |
Cala |
(*) in sostanza GPY cresce meno che proporzionalmente rispetto alla crescita di GY, per cui assistiamo ad un decrescita relativa (GPC cala) crescita assoluta (GPY aumenta).
(**) La concentrazione delle proteine GPC cresce in quanto GY cala, per cui le proteine si concentrano.
In sostanza per ogni t ha-1 di incremento della produzione del frumento si assiste ad un calo delle proteine della granella dell’1.2% secondo Pleijel & Uddling (2012) che hanno raccolto i dati bibliografici frutto di 31 diversi esperimenti condotti in varie parti del mondo, dell’1.12% secondo Bogard et al., i quali hanno studiato 11 varietà di frumento coltivate in Francia in diversi ambienti.
Utilizzando tali dati è oggi possibile dire che un frumento che oggi produce 7 t/ha al 15% di proteine (pari a 1.05 t/ha), al crescere della CO2 atmosferica da 400 a 550 ppmv produrrà 8.57 (+22.5%) con una percentuale di proteine del 13.11% (-1.89%), pari a 1.123 t/ha (+0.074 t/ha). In sostanza le proteine caleranno in termini relativi ma aumenteranno lievemente in termini assoluti.
Tabella 2 – effetto di livelli crescenti di CO2 sulla percentuale di proteine GPC e sulla produzione di proteine per ettaro. Calcoli eseguiti in base ai dati di Pleijel & Uddling (2012) – per gli acronimi si veda la tabella 1.
CO2 (ppmv) |
Produzione totale raccolta (t/ha) (GY) |
Concentrazione delle proteine (%) GPC |
Proteine totali raccolte (t/ha) GPY |
400 |
7.00 |
15.00 |
1.05 |
450 |
7.58 |
14.30 |
1.08 |
500 |
8.10 |
13.67 |
1.11 |
550 |
8.57 |
13.11 |
1.12 |
600 |
9.01 |
12.59 |
1.13 |
650 |
9.40 |
12.11 |
1.14 |
700 |
9.77 |
11.67 |
1.14 |
Per comprendere appieno il significato di tali dati occorre considerare che il livello ottimale di azoto nella granella è del 13% per i frumenti da pasta e pane e del 10% per i frumenti da biscotti. Dal punto di vista della qualità il fenomeno descritto non presenta pertanto particolari problemi nelle aree di elezione per il frumento (es. Australia, Canada), in cui le proteine sono abbondantemente superiori al 13%. Maggiori problemi dovrebbero riscontrarsi nelle aree più marginali (es: alcune aree italiane), in cui già oggi si fatica a raggiungere i livelli proteici adatti ad ottenere prodotti di qualità (pane, pasta, biscotti).
Le molte strategie di adattamento
Per far fronte a tale problema (ribadisco: problema relativo in quanto cade in un contesto di sostanziale aumento delle produzioni agrarie indotto dall’accresciuta CO2 atmosferica) occorre anzitutto domandarsi da dove vengono le proteine della granella del frumento. L’azoto da cui derivano può provenire o direttamente dai nitrati assorbiti dal terreno oppure dall’azoto che nel periodo di senescenza (grossomodo l’ultimi 20-30 giorni prima della raccolta) viene rimobilizzato dalle foglie e dalle radici. E’ interessante osservare che le proteine fogliari (in gran parte costituite da Rubisco che è la proteina che fa’ da accettore della CO2 atmosferica) sono prodotte a partire da azoto minerale (di solito ione nitrico NO3–) e che la conversione da nitrato a proteina avviene con un passaggio intermedio ad ammonio.
Ciò detto per superare il problema sul frumento si potrebbe agire puntando sul miglioramento genetico e/o sull’adeguamento delle agrotecniche o ancora a livello di sistemi colturali. Più nello specifico a livello di miglioramento genetico si potrebbe mirare a frumenti più efficienti in termini di accumulo di proteine nella granella. In tal senso la strada non pare facilissima ma le biotecnologie in questo settore stanno facendo passi da gigante specie in paesi meno oscurantisti del nostro.
A livello di agrotecniche si potrebbe agire favorendo l’assunzione di azoto direttamente in forma ammoniacale. In tal senso appare debole la proposta di Bloom et al. (2014) di somministrare azoto ammoniacale al terreno in quanto con le temperature tipiche della primavera (periodo in cui il frumento assorbe dal terreno gran parte del suo fabbisogno azotato) l’azoto ammoniacale o ureico somministrato verrebbe immediatamente convertito in azoto nitrico, proprio quello che a livello fogliare pare dare più problemi. Un modo brillante per risolvere il problema potrebbe allora essere quello di ricorrere a concimazioni fogliari con urea in soluzione acquosa, la quale viene assorbita con estrema facilità dalle piante e viene trasformata in ammonio che è la fonte alternativa allo ione nitrico per il processo di sintesi delle proteine. Su questo tema la bibliografia è vasta e cito unicamente un lavoro pakistano (Khan et al., 2009).
A livello di sistemi colturali si potrebbero poi privilegiare le leguminose da granella le quali, come abbiamo visto, beneficeranno della crescita di CO2 aumentando ulteriormente non solo la loro produzione ma anche il loro già elevatissimo tenore proteico. Si tratta di una soluzione antica quanto l’agricoltura in quanto i primi agricoltori del medio oriente domesticarono frumento e orzo da un lato e le leguminose da granella dall’altro (pisello, fava, veccia, cece, lenticchia), consentendo con ciò l’affermarsi di diete a base di leguminose e cereali che risolvevano in modo inconscio un fondamentale problema dietetico e cioè quello per cui le proteine delle leguminose da granella sono ricche in lisina (di cui è invece povera la granella dei cereali) ma allo stesso tempo sono povere in amminoacidi solforati (cistina e metionina) di cui è invece ricca la granella dei cereali (e qui è bene ricordare la carne dei poveri non è costituita da soli fagioli ma da pasta e fagioli).
Un’ulteriore strategia alternativa potrebbe consistere nel puntare sui cereali C4 (un po’ come fecero i nostri progenitori che nel XVI secolo riconvertirono in modo massiccio le loro colture di sussistenza dai cereali del vecchio mondo al mais). In particolare il mais è specie che pur beneficiando meno delle C3 dell’aumentato livello di CO2 atmosferica presenta già oggi una produttività sensibilmente superiore rispetto alle analoghe C3 (la sua media produttiva in Italia è oggi di oltre 9 t/ha contro le 6 del frumento) in virtù dell’incredibile successo avuto dalle strategie di miglioramento genetico condotte negli ultimi 50 anni.
A fronte di tante possibili soluzioni perché tanto allarmismo?
Nei paragrafi precedenti si sono poste in luce le molte strategie di adattamento perseguibili e volte da un lato a mettere a frutto gli incrementi di resa dati dall’aumento di CO2 atmosferica e dall’altro a minimizzare gli effetti negativi sul tenore proteico, un aspetto che Pleijgen e Uddling (2012) hanno giustamente posto un luce nel loro titolo parlando già nel titolo di Yield vs. quality trade off for wheat in response carbon dioxide (scambio fra qualità e resa in frumento in risposta all’anidride carbonica).
Alla luce di ciò colpisce negativamente il tono allarmistico dato al titolo dell’articolo (una letter) di Bloom et al. pubblicata da Nature climate change e cioè “Nitrate assimilation is inhibited by elevated CO2 in field-grown wheat”. Si tratta di un articolo quantomeno curioso perché fondato su dati rilevati nel lontano 1996-1997 (a giustificazione di dati così attempati gli autori adducono il fatto che solo ora i dati sono stati analizzati perché a quei tempi non vi erano tecnologie adeguate, quasi che si trattasse di campioni prelevati su Marte..) e che si riferisce al solo azoto fogliare, non riportando invece misure su granella. In sostanza dall’articolo gli autori concludono che in assenza di sofisticate strategie di fertilizzazione azotata la qualità del cibo sarà danneggiata al crescere dei livelli di CO2. Colpisce quel “sofisticate strategie” a fronte delle tecniche relativamente semplici che ho sopra evidenziato e che consistono ad esempio nella concimazione fogliare con urea (una tecnica nota da decine d’anni) o nell’espansione delle superfici a leguminose da granella (strategia nota fin dal neolitico) o a graminacee C4 (strategia nota del XVI secolo).
Segnalo infine il fatto che l’articolo di Bloom et al. è stato ripreso e divulgato in modo acritico dalla rivista “Le scienze” ed il fatto che gli stessi Blom et al. segnlano la prossima uscita su Nature del seguente lavoro, il cui titolo è tutto un programma: Rising CO2 threatens food quality, Myers, S. S. et al. Nature (in the press; 2014).
A questo punto si impone a mio avviso una riflessione più generale. Oggi il mondo della ricerca viene finanziato in misura direttamente proporzionale al livello di allarme che riesce a suscitare nell’opinione pubblica. Questo porta a mio avviso ad errori prospettici enormi con spreco di risorse dietro a filoni che si rivelano dei pozzi senza fondo e senza ricadute pratiche. Personalmente ho iniziato ad appassionami al tema del calo del proteine nel frumento al crescere dei livelli di CO2 perché un lettore di CM mi ha segnalato il lavoro di Bloom et al (in proposito si vedano le note del lettore e le mie risposte sintetiche apparse su CM – link). Ciò fatto ho letto bibliografia sull’argomento per circa due settimane e solo oggi mi sono deciso a scrivere un’analisi di maggior dettaglio.
In proposito mi fa piacere rilevare che, pur con tutti il limiti culturali che tutti noi abbiamo (nessuno di noi è tuttologo), su CM si stà cercando con fatica di esercitare una critica in chiave divulgativa rispetto alle decine di articoli di taglio catastrofico che ogni settimana escono sulla letteratura scientifica e che sono immediatamente ripresi dai media e divulgati senza quella prospettiva critica che un serio lavoro giornalistico di divulgazione scientifica imporrebbe. Speriamo che CM abbia anche in futuro la forza di proseguire in questa sua attività che mi pare oggi insostituibile.
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Bibliografia
- Gautam H.R., Bhardwaj M.L. Kumar R., 2013. Climate change and its impact on plant diseases, Current science, Vol. 105, no. 12, 25 december 2013 (http://www.currentscience.ac.in/Volumes/105/12/1685.pdf).
- Khan P., Memon M.Y., Imtiaz M., Aslam M., 2009. Response of wheat to foliar and soil application of urea at different growth stages, Pak. J. Bot., 41(3): 1197-1204.
- Lehninger A.L., 1975. Biochimica, prima edizione, Zanichelli, 761 pp.
- Mariani L., 2014. Agronomia, Cusl, Milano, 480 pp.
- Penning de Vries F.W.T., Jansen D.M., ten berge H.F.M., Bakema A., 1989. Simulation of ecophysiological processes of growth in several annual crops, Simulaton monograph 29, Pudoc, Wageningen, 271 pp.
- Pleijel H., Uddling J., 2012. Yield vs. quality trade-offs for wheat in response to carbon dioxide and ozone, Global change biology, 18, 596-605.
- Rogers A., Ainsworth E.A., Leakey A.D.B., 2009. Will Elevated Carbon Dioxide Concentration Amplify the Benefits of Nitrogen Fixation in Legumes? Plant Physiology, November 2009, Vol. 151, pp. 1009–1016.
Tonzig S., Marrè E., 1968. Elementi di botanica. Casa Editrice Ambrosiana, Milano, Vol 1, parte 2.
Thank you for nice information
Un riconoscente grazie a Luigi Mariani per questo interessantissimo approfondimento e per le dotte ed efficaci riflessioni che l’hanno accompagnato nei commenti.
E’ da esempi come il vostro e dall’approfondimento scientifico che recupero ed alimento le mie convinzioni di verace scettico alle teorie catastrofiste.
Dalla Dissertazione di G.B. Vico citata da L. Mariani:
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“E non vi lasciate poi irretire da incauti da questa sia odiosa che sciocca diceria, che cioè in questo beatissimo secolo le scoperte, che non si erano mai potute realizzare nel campo degli studi, sono state ormai tutte fatte, portate a termine, perfezionate, così che nulla più rimane in questo campo da desiderare. È una falsa diceria, che viene propalata da letterati di animo meschino.”
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Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole.
Ecclesiaste 1,9
Ciao, Donato.
* Ciò è oltremodo preoccupante poiché, com’ebbe a dire un educatore del passato, occorre “star bene attenti a quel che si mette in quelle teste, perché poi levarglielo sarà molto, molto difficile”. *
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Concordo in pieno con la citazione di L. Mariani e con le considerazioni di A. de Orleans-B. circa il volo di Icaro.
La mia professione mi porta a confrontarmi quotidianamente con alunni delle scuole superiori che accolgo in primo superiore e lascio con il diploma. Ho la fortuna di lavorare con qualche collega che ha una mente aperta e riesce a guardare anche al di là del suo piccolo orticello (la sua disciplina, tanto per intenderci). Si tratta, però, di casi rari.
L’altro giorno, per esempio, sono restato piacevolmente sorpreso allorché, introducendo le sezioni coniche, un’alunna mi ha interrotto chiedendomi se esse avessero a che fare con Ipazia della cui vicenda aveva parlato il collega di filosofia che, tra l’altro, aveva assegnato loro un lavoro di ricerca sul personaggio. Ho approfittato della cosa per sviluppare un discorso a tutto tondo in grado di collegare Apollonio a Teone, Ipazia e, infine, a Cartesio.
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Sono convinto che la mente umana sia unica e che dividere la cultura in classica o letteraria e scientifica sia un artificio che ha procurato danni terribili all’intera società tra cui, principalmente, quell’antiscientismo ed avversione verso la tecnologia che caratterizza il modo di pensare di molte “elites” culturali (radical-chic, si dice a volte 🙂 ). Ho esordito dicendo che sono rimasto piacevolmente sorpreso perché è sorprendente per me trovare un collega che insegni materie umanistiche aperto anche agli aspetti scientifici dello scibile.
Credo che uno degli obiettivi prioritari che noi educatori dobbiamo tener presente nello svolgere il nostro lavoro, sia proprio la riunificazione della Cultura attraverso la chiusura della cesura introdotta nel nostro sistema formativo dalla scuola crociana.
Molte volte rabbrividisco allorché sento colleghi che, commentando i cattivi risultati di molti allievi nelle materie scientifiche, li giustificano dicendo che è normale che ciò accada in una scuola ad indirizzo umanistico. Come se il mondo che ci circonda fosse divisibile in “giorni umanistici” e “giorni scientifici”! In mancanza di ciò non bisogna, poi, meravigliarsi se ci si trova di fronte ad elites culturali che disprezzano tutto ciò che è scientifico e, dal lato opposto, a consistenti percentuali della nostra società assolutamente insensibili a ciò che è cultura, storia e, in ultima analisi, integrità del territorio e dell’ambiente che ci circonda.
La conoscenza delle nostre radici, infatti, è elemento necessario e fondamentale per poter progettare un mondo migliore perché, senza di essa, ciò che creiamo rappresenta una sovrastruttura senza anima e senza futuro. D’altro canto è impossibile ed antistorico arroccarsi nella difesa dello status quo o perdersi nella ricerca infruttuosa di un idilliaco eden perduto che, nella realtà, non è mai esistito. E’ necessario, quindi, che le teste dei nostri ragazzi siano “ben fatte” piuttosto che “ben piene” come ebbe a dire M. de Montaigne.
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Per chi si occupa di scienza della formazione è facile individuare attraverso ciò che ho scritto l’eco degli insegnamenti di E. Morin, lo studioso francese che, tra i primi, si pose il problema di unificare le due “culture” anche da un punto di vista epistemico.
E’ assolutamente illuminante, infatti, questo passo tratto dai suoi scritti che spiega in quale direzione riformare il sistema formativo: ” … è la riforma di pensiero che consentirebbe il pieno impiego dell’intelligenza per rispondere a queste sfide e che permetterebbe il legame delle due culture disgiunte. Si tratta di una riforma non programmatica ma paradigmatica, poiché concerne la nostra attitudine a organizzare la conoscenza.” Secondo E. Morin una testa ben fatta, infatti, è quella in cui è stata creata “un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi; principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso”.
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E’ l’unica e sola strada che consentirà di rispondere in modo soddisfacente alle formidabili sfide a cui la nostra complessa società globale ci sottopone quotidianamente. Solo in questo modo potremo rivalutare Dedalo rispetto ad Icaro.
Ciao, Donato.
Caro Donato, i tuoi discorsi, che condivido appieno, mi rimandano a Giambattista Vico, ed in particolare alla sua prolusione all’anno accademico dell’Università di Napoli tenuta nel 1732 e che ha per titolo “De mente heroica” (che trovi in http://www.lanuovabottegadellelefante.it/index.php?option=com_content&task=view&id=2019&Itemid=37).
Ho avuto la ventura di leggere alcuni mesi orsono il “De mente heroica”, che mi ha molto colpito, cosi come ha colpito altri insegnati, come puoi vedere ad esempio dalle bellissime cose che scrive questo docente di musicologia di Bologna: http://www.unibo.it/SitoWebDocente/default.htm?UPN=paolo.gozza%40unibo.it&TabControl1=TabAvvisi&news=43020).
Nel “De mente heroica” Vico salda la frattura già ai suoi tempi esistente fra materie scientifiche e umanistiche e parla di un’unica cultura, cui tutti noi dobbiamo attendere. Riporto qui di seguito la chiusa del discorso vichiano, che mi accorgo essere così terribilmente fuori moda e forse proprio per questo così bello e avvincente:
“[24] Dopo questi ben chiari argomenti, dopo questi importantissimi esempi, dedicatevi con mente eroica e quindi con animo grande, o adolescenti nati per raggiungere le mète più alte e più nobili, agli studi delle lettere; coltivate la compiuta sapienza; perfezionate tutta quanta la vostra umana conoscenza; celebrate la natura quasi divina delle vostre menti; siate ardenti di Dio, di cui siete pieni; con ansia sublime ascoltate, leggete, meditate; affrontate fatiche erculee, e, avendole portate a termine, dimostrate con pieno diritto la vostra divina discendenza da Dio onnipotente; ed anzi riconoscetevi eroi, voi che arricchirete con altre grandiose scoperte il genere umano. A questi vostri grandissimi meriti verso tutta quanta l’umana società terranno molto facilmente dietro le ricchezze e i beni e gli onori e la potenza in questo vostro Stato; e tuttavia se questi beni non verranno, voi non ve ne starete inoperosi, e se sopraggiungeranno, li accetterete secondo l’insegnamento di Seneca con animo sereno, cioè non insuperbito, e con animo non avvilito li restituirete, se andranno via, alla stolta e furente fortuna, e sarete contenti di questo beneficio divino ed immortale, che cioè Dio onnipotente, che ci comanda – come abbiamo detto all’inizio – l’amore verso tutto il genere umano, abbia scelto particolarmente alcuni di voi, così da avere attraverso voi mostrato la gloria Sua sulla terra.”
Il saggio del Prof. Mariani è quanto di più istruttivo abbia potuto leggere sull’argomento “Agricoltura e CO2” e dovrebbe diventare una lettura obbligata in tutte le scuole — un Grazie grande e con ammirazione!
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Circa l’allarmismo, è un fenomeno storicamente costante — basti pensare al resoconto leggendario del primo volo umano, dove Dedalo, che realizzò l’antichissimo sogno di volare, è rimasto praticamente sconosciuto, mentre Icaro, che violò coscientemente le semplici “regole del volo” che gli insegnò Dedalo, precipitò stupidamente ma verrà ricordato per sempre come un eroe.
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Facciamo una scommessa: entro dieci anni verrà lanciato il primo grande allarme alimentare dovuto alla “insostenibilità futura dell’andamento crescente della CO2” e l’IPCC, ente di riferimento sul tema, intimerà che la Legge di Gompertz ormai minaccia la concentrazione di questo gas così incompreso — affamati è molto peggio che accaldati — urge un Kyoto 2 dove “tagliare” verrà sostituito con “arricchire”…
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I SUV avranno un contributo all’acquisto, le fabbriche di cemento, che grazie alla decarbonatazione del calcare raddoppiano l’emissione del combustibile utilizzato, saranno osannate e i polipi coralliferi deprecati come una specie pericolosa.
Plus ça change…
Grazie anzitutto per le sue riflessioni, che si prestano ad alcuni brevi commenti.
Anzitutto circa il “dovrebbe diventare una lettura obbligata in tutte le scuole” temo che nelle scuole il messaggio che oggi passa sia del tutto opposto, nel senso che (a quanto mi dicono colleghi che insegnano nelle superiori) l’approccio, che si sostanza poi in conferenze affidate a WWF, Legambiente, ecc., è di norma improntato al catastrofismo ed al rifiuto della tecnologia. Ciò è oltremodo preoccupante poiché, com’ebbe a dire un educatore del passato, occorre “star bene attenti a quel che si mette in quelle teste, perché poi levarglielo sarà molto, molto difficile”.
Circa poi l’atteggiamento culturale rispetto ad Icaro, mi pare che qualcosa d’analogo emerga anche nei miti di Prometeo e delle colonne d’Ercole (folle volo d’Ulisse). Tutto ciò secondo un amico, con il quale discutevo di catastrofismo, altro non sarebbe se non il riflesso archetipico della cacciata dal paradiso terrestre, una cacciata che sarebbe in realtà l’espressione in chiave simbolica dell’arretramento delle foreste in ambito africano per effetto di un grande cambiamento climatico – o forse, più semplicemente, per effetto del massiccio calo di CO2 che si registra ad ogni nuova era glaciale e che, secondo alcuni, farebbe regredire in modo sensibile le foreste lascando spazio alle praterie di piante C4.
Il regredire delle foreste sarebbe stata letta come fine del paradiso in quanto nelle savane i nostri progenitori erano assai più esposti alla predazione da parte dei grandi carnivori.
Mettiamoci infine il fatto che nella Bibbia Adamo, lasciato il paradiso terrestre, sia costretto a coltivare la terra e dunque ad intraprendere l’agricoltura e l’allevamento (le attività di Caino e Abele), per ricavare che agricoltura sia in sostanza letta come una caduta rispetto al paradiso.
Da ciò si desume che l’ambientalismo, rifiutando radicalmente l’agricoltura tecnologica e cavalcando viceversa il mito della foresta primordiale, miri in realtà ad un ritorno ad un paradiso perduto in cui la terra, non ancora violata dalla “perfida” azione dell’uomo, produceva da sola il necessario a vivere…. e qui si ritorna all’egloga quarta di Virgilio che avevo lasciato sui banchi delle superiori “Ma per te, fanciullo, senza essere coltivata, la terra produrrà come primi piccoli regali edere erranti qua e là e bàccare e colocasia frammista a ridente acanto; come culla spontaneamente produrrà per te fiori delicati.”.
Luigi Mariani
PS: per favore, continuate così perché siete più importanti di quel che pensate.
Gentile Sergio,
La ringrazio moltissimo per l’incoraggiamento.
Luigi Mariani
Non so come ringraziarvi per lo splendido lavoro che fate e per la conoscenza che ci donate. Se potessi vi abbraccerei tutti.
“In proposito mi fa piacere rilevare che, pur con tutti il limiti culturali che tutti noi abbiamo (nessuno di noi è tuttologo), su CM si stà cercando con fatica di esercitare una critica in chiave divulgativa rispetto alle decine di articoli di taglio catastrofico che ogni settimana escono sulla letteratura scientifica e che sono immediatamente ripresi dai media e divulgati senza quella prospettiva critica che un serio lavoro giornalistico di divulgazione scientifica imporrebbe.”
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Qualche giorno fa ebbi modo di criticare alcuni aspetti della comunicazione scientifica attuale soprattutto a livello divulgativo e soprattutto a livello di media generalisti ( http://www.climatemonitor.it/?p=35611#comment-23798 ) illustrando la recensione di un recentissimo libro del prof. A. Candela.
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La vicenda del contenuto proteico dei cereali che L. Mariani ha magistralmente dissezionato è una prova lampante della teoria che A. Candela ha enunciato nel libro citato nel mio commento precedente. E’ mia intenzione, in questo commento, analizzare brevemente, alla luce dell’insegnamento di A. Candela, il lavoro di Blom et al..
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Blom et al. studia il contenuto proteico della granella in funzione della concentrazione volumetrica di CO2 atmosferica e perviene a dei risultati che confermano il paradigma (nel senso di Kuhn) oggi vigente: la concentrazione di CO2 di natura antropica modifica il clima e lo modifica male per cui è necessario intervenire a monte riducendo le emissioni di CO2 di origine antropica.
L. Mariani ci ha dimostrato che le conclusioni di Blom et al. sono corrette, ma ci sono tanti altri aspetti del problema che, se analizzati, dimostrano che le cose stanno in modo profondamente diverso da quanto i media e gli stessi autori hanno prospettato per cui, se il rischio esiste, è altrettanto vero che le metodiche di mitigazione del rischio sono tali da poter dire che il rischio stesso è del tutto trascurabile (per usare un modo di procedere tipico delle tecniche di valutazione dei rischi concepito come prodotto della probabilità di accadimento di un fenomeno dannoso per la sua magnitudo).
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Cosa ha fatto la maggior parte dei divulgatori scientifici? Ha strillato la notizia mettendo in risalto la probabilità (alta) di un evento negativo, ma sottacendo il fatto che la sua magnitudo (bassa) rende il rischio connesso all’evento negativo basso. Ha trascurato del tutto, inoltre, il fatto che attuando delle tecniche di mitigazione il rischio, esso diventa del tutto trascurabile, cioè l’evento negativo (riduzione del quantitativo di proteine nella granella) già di magnitudo bassa, con l’attuazione di alcuni semplici accorgimenti (mitigazione del rischi) cessa di essere un rischio (nel senso di danneggiare il genere umano). In altri termini il divulgatore scientifico ha sventolato lo spauracchio catastrofista solleticando la corde della paura atavica che alberga in ognuno di noi e che ci rende particolarmente vulnerabili e suscettibili a credere agli aspetti misteriosi, miracolistici, alchemici, mitici che, apparentemente, caratterizzano gli eventi naturali. Fatto questo è stato gioco facile arrivare alla tranquillizzante “morale della favola”: l’uomo sta sbagliando a produrre CO2, ma è ancora in tempo per porre rimedio ai suoi errori attraverso delle politiche di riduzione delle emissioni di CO2.
Che tali politiche siano enormemente più costose e, sicuramente, inefficaci in quanto la storia, da Kyoto in poi, lo dimostra, rispetto alle metodiche di mitigazione del rischio illustrate da L. Mariani, non importa assolutamente a nessuno.
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La vicenda, pertanto, dimostra che la divulgazione scientifica, ora come in passato, privilegia la narrazione favolistica dei fatti mettendo in evidenza gli aspetti sensazionalistici ed irrazionali delle varie vicende e semplificando talmente tanto il messaggio da trasmettere da ottenere l’effetto opposto della divulgazione scientifica: comunicare fatti diversi da quelli reali. L’antidoto a tutto ciò è una cultura scientifica che ci consenta di distinguere il grano dalla pula, ma questa cultura, purtroppo, è latitante come ci confermano le statistiche. Il risultato? Gli imbonitori hanno terreno facile, molto facile per raggirare il buon padre di famiglia.
Ciao, Donato.
Caro Donato,
ti ringrazio per le riflessioni su cui concordo appieno. Purtroppo il genere umano continua a manifestare atteggiamenti culturali atavici che rischiano oggi di rivelarsi oltremodo rischiosi con un pianeta così densamente popolato. Infatti tutti noi siamo archetipicamente portati ad una visione pessimistica che tuttavia può essere vinta sono con una lettura razionale della realtà, cosa di cui si fatica molto spesso a vedere i segni. Tutti noi abbiamo moltissimi esempi dell’irrazionalismo dominate. Uno per tutti il fatto che oggi il TAR del Lazio ha rigettato il ricorso contro il decreto ministeriale che proibiva la coltivazione di un mais OGM della Monsanto ed che a tale decisione ha plaudito il Ministro Martina, in nome della nostra tradizione (http://agronotizie.imagelinenetwork.com/agricoltura-economia-politica/2014/04/24/stop-a-semine-ogm-il-tar-respinge-il-ricorso/37782?utm_campaign=newsletter&utm_medium=mail&utm_source=kANSettimanale&utm_content=2326).
Da parte mia non posso che rilevare che con la tradizione abbiamo fatto miglioramento genetico per millenni trasferendo anche fra specie diverse milioni di geni di cui non sapevamo una beata fava: oggi che grazie alla tecnologia possiamo trasferire un solo gene (quello che ci serve davvero, ad esempio per limitare il ricorso a insetticidi) tale pratica è giudicata pericolosa e messa fuori legge in nome della tradizione.
Vorrei infine ricordare che l’atteggiamento catastrofista che qui stigmatizziamo era già un problema grave in epoca romana e forse un tale atteggiamento non è del tutto estraneo alla decadenza dell’Impero romano. Scriveva infatti il grande agronomo Columella nell’introduzione al suo De re rustica “Io odo spesso gli uomini principali di Roma lagnarsi, chi della sterilità dei campi, chi dell’intemperie dell’aria nociva alle biade da lungo tempo in qua; e finalmente alcuni di loro, volendo addolcire le querele con qualche ragione, mostrarsi di parere che il terreno per l’abbondanza dei passati secoli affaticato e spossato, non possa oggidì somministrare agli uomini gli alimenti con la cortesia de’ primi tempi. Quanto a me, Publio Silvino, tengo tutte queste ragioni per lontanissime dalla verità.” (https://sites.google.com/site/storiagricoltura/ritratti0/columella-1).
Oggi ci vorrebbe qualche Columella in più!
Ciao.
Luigi