Alcuni giorni fa ho letto una news in cui si lamentava l’indecente differenza che esiste tra le risorse che vengono impiegate per la lotta al clima che cambia e quelle spese per combattere la fame e la povertà. Molti, evidentemente, preferiscono combattere un mostro di carta che è solo sulla carta, piuttosto che una piaga endemica tragicamente reale.
Forse un approccio più pragmatico potrebbe aiutare a conciliare le due cose, posto che abbiamo capito da un pezzo che la prima, per quanto assurda e inutile, è ormai integrata nel nostro modo di vivere. Il segreto del successo dei paesi sviluppati non è un segreto, si chiama energia abbondante e a basso costo. La ragione del sottosviluppo di quella parte di mondo che ancora vive sotto la soglia della povertà ha il segno opposto, impossibilità di accedere a risorse energetiche sufficienti.
Forse allora si dovrebbe provare prima di tutto a risolvere questo di problema, visto che c’è ancora chi per scaldarsi e cucinare usa lo sterco degli animali. E’ quello che suggerisce, insieme a molte altre cose, un report scritto da un gruppo di studiosi che ha scelto di affrontare questi temi. Alcuni nomi sono noti, come Roger Pielke jr o Dan Sarewitz, altri forse meno, ma su una cosa pare siano tutti d’accordo e non vedo come non si possa fare altrettanto:
Il cambiamento climatico non può essere risolto a spese dei poveri del pianeta
Dall’Executive Summary del report:
La relazione tra l’accesso a moderni servizi energetici e la qualità della vita è ben definita. L’energia affidabile e a basso costo permette ai proprietari delle fabbriche di aumentare la produttività e assumere più lavoratori. L’elettricità permette agli ospedali di conservare i vaccini salvavita e potenziare gli equipaggiamenti medici. Libera i figli e le donne dal lavoro manuale. Le società in grado di raggiungere i propri bisogni energetici divengono più salubri, più resilienti e meglio preparate ad affrontare i rischi sociali e ambientali come il cambiamento climatico e i disastri naturali.
Qui, invece, il report per intero. E pensare che c’è ancora chi canta le lodi del Limit to Growth del Club di Roma!
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