Dunque, in valore assoluto trattasi di buone notizie. Qualcuno però le troverà indigeste, perché non vanno nella direzione della “spirale di morte” in cui pare sia ormai avvitato il ghiaccio artico, almeno stando alle previsioni ed ai presagi che lo riguardano.
Quello delle forzanti che agiscono sulle dinamiche dell’estensione dei ghiacci artici è un argomento che abbimo affrontato spesso. Ad esempio appena un paio di settimane fa con questi due post davvero ben fatti firmati da due graditi ospiti delle nostre pagine (qui e qui). In quelle occasioni, pur lasciando correttamente sospeso il giudizio circa il peso delle eventuali modifiche inflitte a queste forzanti dalla attività antropiche, è stata fatta molta chiarezza su quanto avviene ed è avvenuto nelle ultime decadi oltre il Circolo Polare per dinamiche largamente ascrivibili alla variabilità naturale. Il dito è puntato non già sullo sbandieratissimo aumento delle temperature medie superficiali globali, quanto piuttosto sui flussi di calore trasportati dagli oceani e sulal disposizione delle figure bariche di riferimento per l’area oggetto di attenzione.
In molte altre occasioni, inoltre, abbiamo parlato di come nel corso dei primi anni di questo secolo le dinamiche oceaniche che si pensa siano all’origine delle modifiche ai flussi di calore diretti verso le latitudini settentrionali siano cambiate. Da una prevalenza di condizioni di El Niño associata al segno positivo della Pacific Decadal Oscillation, siamo passati alle condizioni opposte, ossia segno negativo della PDO e prevalenti condizioni di La Niña (inutile ripetere all’infinito che di questo c’è traccia anche nelle temperature medie superficiali del pianeta). Nonostante ciò, molto probabilmente per l’inerzia che il sistema possiede e per il contestuale verificarsi di condizioni atmosferiche sfavorevoli, cioè di tempo meteorologico che ci ha messo del suo nell’indebolire e disperdere il pack, prima che si potesse iniziare a notare il rebound dei ghiacci artici c’è voluto del tempo, e sono anche arrivati anni di estensione minima in assoluto, precisamente il 2007 e il 2012.
In un contesto di trend comunque negativo rispetto al periodo di riferimento, ossia la media degli anni in cui la misurazione ha iniziato ad essere più oggettiva, leggiamo dall’ultimo punto di situazione pubblicato sulle pagine dell’NSIDC, centro di riferimento per le dinamiche del ghiaccio marino, che quest’anno c’è stato un netto aumento del cosiddetto “multi year ice”, cioè ghiaccio non stagionale, ma ghiaccio formatosi uno o due anni fa che non si è sciolto durante la stagione calda e sta quindi invecchiando e aumentando di spessore, cosa che promette di far aumentare le probabilità che possa resistere anche alla prossima stagione di scioglimento.
L’immagine in alto a sinistra, che viene proprio dalle pagine dell’NSIDC, è stata costruita con i dati ASCAT, un satellite i cui sensori riescono a separare il ghiaccio giovane (scuro) da quello più ‘anziano’ (chiaro), perché il primo è solitamente ricco di bolle d’aria al suo interno e di acqua di scioglimento che ne vela la superficie, quindi ha una diversa risposta all’infrarosso (qui la versione in alta definizione). Dell’immagine qui a destra, invece, è particolarmente interessante il pannello in basso, dove si nota la tendenza a risalire del ghiaccio più anziano.
Ora, come specificano anche dall’NSIDC, è veramente difficile capire cosa succederà nella stagione di scioglimento iniziata ufficialmente il 21 marzo scorso (curiosa contemporaneità con l’equinozio giunto appena un giorno prima). Molto lo faranno le condizioni atmosferiche, cioè la ventilazione prevalente che deriverà dagli assetti barici ovviamente e l’eventuale verificarsi di forti tempeste a tarda estate, eventi che, come accaduto ad esempio nel 2012, tendono a dare il ‘colpo di grazia’ al pack, rompendolo e disperdendolo verso latitudini più calde.
Nel frattempo, il ghiaccio antartico ha fatto segnare la quarta estensione più abbondante di sempre (sempre=periodo di misurazioni staellitari), collocandosi molto al di sopra della media di riferimento, come accade ormai da molti anni. Ne risulta quindi che il ghiaccio marino del pianeta è complessivamente sopra la media di riferimento.
Niente male per una “spirale di morte”.
L’estensione del ghiaccio marino artico si sta avvicinando ai valori medi trentennali (in ogni caso è ben dentro la fascia di due deviazioni standard) secondo i dati NSIDC aggiornati al 7 aprile, mentre l’estensione dei ghiacci marini antartici è ben oltre le due deviazioni standard e cresce con un trend impressionante. Risultato: un’anomalia positiva di oltre settecentomila chilometri quadrati dei ghiacciai marini mondiali. Ottime notizie per un mondo che si sta scaldando con ritmi “senza precedenti”. Mi viene da dire e scrivere che è “meglio di quanto pensassimo”. 🙂
Ciao, Donato.
Queste rilevazioni satellitari,che distinguono il ghiaccio formatosi nell’anno in corso od in quelli precedenti,sono estremamente utili ed interessanti;fortunatamente dopo il picco negativo del 2012,i ghiacci artici sono in ripresa e,notizia ancor più importante,è cresciuto il ghiaccio più vecchio. Quindi i catastrofisti che davano già per spacciato il pack artico e già intravvedevano un passaggio di navi alle latitudini artiche come se navigassero nel Mediterraneo,devono un po frenare il loro entusiasmo delirante e magari riordinare un po le proprie idee!
Saluti
rb
Mi son sempre chiesto perchè il ghiaccio vecchio dovesse essere più resistente di quello giovane, posto che la temperatura di fusione sia sempre di 0ºC. Ora lo so, grazie. 🙂