Appena ieri abbiamo fatto un bel giro nelle acque dell’Oceano Atlantico, leggendo di una recente ricerca che ha messo in relazione l’attività solare e quella vulcanica con le variazioni di lungo periodo delle temperature di superficie del mare, oscillazioni note come AMO, Atlantic Multidecadal Oscillation. L’argomento è sia per l’Europa che per gli Stati Uniti orientali particolarmente interessante, perché l’AMO, come l’AO (Artic Oscillation) e alla NAO (North Atlantic Oscillation), che sono però indici atmosferici e non oceanici, potrebbe giocare un ruolo significativo nella variabilità interannuale, leggi differenza tra un anno e l’altro, e nel persistere di condizioni climatiche con segno ben evidente anche nel medio e lungo periodo.
Restiamo perciò in Atlantico anche oggi, per leggere di un altro studio appena pubblicato:
Forcing of the wintertime atmospheric circulation by the multidecadal fluctuations of the North Atlantic ocean
Come si evince dal titolo, si tratta di una analisi del condizionamento che l’Oscillazione Multidecadale dell’Atlantico, evento periodico un cui ciclo completo occupa mediamente 60-70 anni, può esercitare sulla circolazione atmosferica della stagione invernale sulle zone dell’emisfero nord a contatto con la porzione settentrionale dell’oceano, cioè l’Europa settentrionale e gli USA orientali. Tale condizionamento, secondo gli autori, sarebbe distinguibile nel segno assunto dalla NAO, cioè dall’indice atmosferico che scaturisce dall’intensità e dal posizionamento dell’Anticiclone delle Azzorre – figura barica permanente – e della Bassa pressione d’Islanda – soggetto invece semipermamente. La NAO, infatti, identificando la posizione latitudinale della zona di contatto tra queste due figure bariche e descrivendone posizione e carattere, è per il comparto europeo il tracciante del percorso delle perturbazioni, alto di latitudine con NAO positiva e basso con NAO negativa, mentre per gli USa orientali, rappresentando la posizione del getto in uscita dal Canada, è con segno positivo associata a correnti secche e miti provenienti dall’entroterra continentale, mentre con segno negativo facilita lo sprofondamento di aria proveniente dall’Artico lungo le coste orientali del Canada. Il segno negativo della NAO, quindi, è associato sia per gli USA orientali che per il Nord Europa con una più elevata probabilità di inverni rigidi.
Studiando le serie storiche dell’AMO, disponibili per misurazione diretta delle temperature superficiali del mare e per dati vicari che consentono di andare indietro nel tempo un po’ di più, gli autori di questo paper avrebbero individuato una anticorrelazione tra l’AMO e la NAO, rapporto che sarebbe però condizionato da un lag temporale di circa 15 anni in favore della prima. In sostanza, il persistere in territorio positivo dell’AMO, andamento essenzialmente di origine naturale, avrebbe generato una più frequente occorrenza di NAO negativa, quindi più frequenti inverni freddi, specie negli ultimi anni, per l’Europa settentrionale e per gli USA orientali.
Su tutto questo e sull’evoluzione futura dell’andamento delle temperature superficiali dell’Oceano Atlantico, insistono tuttavia anche molti altri fattori climatici. La prova più evidente che questi meccanismi non siano i soli ad agire è per esempio nell’inverno appena terminato, in cui per gli USA orientali c’è stata una persistenza assoluta di condizioni estremamente rigide, mentre per l’Europa la stagione, pur molto piovosa, è stata piuttosto mite. Nel contesto di valori di AMO positivi ma più bassi di quelli dell’inverno scorso, la NAO ha assunto e mantenuto un segno positivo, mantenendo la direttrice di movimento delle perturbazioni piantata in mezzo all’Atlantico per quasi tutto l’inverno.
Per approfondire (anche con questo paper siamo fortunati):
- Qui il pdf su Environmental Research Letters
- Qui l’articolo di Science Daily con gli interventi degli autori
Caro Guido,
ieri ero in viaggio per lavoro ed ho letto con attenzione l’articolo che mi è parso davvero molto interessante e sviluppa il tema utilizzando varie tecniche (compresi modelli GCM). Constato in particolare che quanto evidenziato dagli autori porta altra acqua al nostro mulino, che poi è quello del sistema AMOC – AMO – NAO su cui è da vari anni che stiamo ragionando su CM.
Unico neo è che la chiusa è centrata sulla solita frase di circostanza che non vuol dire nulla, che non c’entra nulla con quanto trovato dai ricercatori e con gli elementi di incertezza da essi giustamente ravvisati e che credo serva da un lato a convincere editor e referi a dare semaforo verde all’articolo e dall’altro ad accreditare gli autori nell’olimpo del mainstream: “The anthropogenic signal-to-noise ratio is also expected to increase in coming decades while the green house gas concentrations continue to increase in the atmosphere (IPCC 2007), adding uncertainty to the future of wintertime cold extremes in mid-latitude continental areas of the Northern Hemisphere.”
E’ la solita solfa del “se tutto và bene siamo rovinati” di cui non se ne può davvero più anche perché quando vai poi a lavorare su dati osservativi di tutta questa “abnorme crescita nella variabilità” trovi davvero poco.
Ciò mi fa specie anche perché chiude un articolo in cui li autori parlano di frequenza dei cold spells su Europa e Stati Uniti Est la cui variabilità secondo i risultati del lavoro sarebbe governata da un fenomeno ciclico come AMO e su cui è difficile ravvisare trend (ricordo che i grandi inverni qui da noi sono 1929-1956-1985 e 2012, uno ogni trent’anni..).
Peraltro la religione del “parossistico aumento della variabilità del clima”, di cui IPCC è il grande sacerdote, mi pare infondata alla luce di quanto segue:
1. esiste una quantità enorme di bibliografia nel settore della climatologia storica che evidenzia che la variabilità sia assai più rilevante nei periodi freddi (es: PEG) che in quelli caldi (come l’optimum attuale).
2. Se ci fosse tutta questa variabilità in più le produzioni agrarie mondiali sarebbero altalenati e le carestie sempre dietro l’angolo. Invece le serie stoiche mostrano un graduale crescita annua delle produzioni globali delle grandi colture (mais+riso+frumento+soia), sia in termini di produzioni unitarie (kg/ettaro) che pro-capite (kg/essere umano), che è in atto ormai dagli decenni e che appare oltremodo tranquillizzante.
3. nello stesso lavoro di Peings etal si dice “Given the long periodicity of the AMO, in situ SST observations are not sufficient to determine whether this mode is a long-lived natural oscillation or simply represents some particular fluctuations over the recent time period.” che tradotto per I comuni mortali significa che con tutto quel popo’ di investimenti in modellistica fatti per prevenire l’olocausto climatico, ancor oggi non sappiamo esattamente dire se AMO sia una creatura recente ovvero sia esistito anche in passato, fatto questo che la dice lunga sul nostro attuale livello di ignoranza sulla macchina del clima.