Capacità di adattamento, innovazione e resilienza, questi gli ingredienti dello scampato pericolo del Millenium Bug. Ora, da qualche anno, è la volta dell’allarme clima, per il quale, parliamoci chiaro, con l’esclusione di un gruppo più o meno folto di seguaci di Gaia, tutti gli altri – molti – che negli ultimi anni si dicono molto preoccupati in realtà quando lo fanno pensano al potenziale impatto economico di questi cambiamenti.
Questo approccio pragmatico è stato in effetti il passepartout con il quale la questione climatica è entrata nei salotti buoni dell’economia internazionale e di lì in quelli politici. La lettera di presentazione, il documento con il quale si è iniziato a ragionare su questi temi, la scrisse Lord Stern, economista britannico di alto profilo con un passato di incarichi istituzionali presso il governo di Sua Maestà. Il suo report, noto come Stern Review, è noto ai più soprattutto per riportare a chiare lettere un vero e proprio anatema: il riscaldamento globale e la sua derivata prima, i cambiamenti climatici, porteranno ad una riduzione del PIL mondiale compresa tra il 5 e il 20%. Praticamente una catastrofe.
Di lì in avanti, era il 2006, gran parte delle decisioni di policy implementate hanno tenuto a riferimento quell’anatema, anche perché appena un anno dopo, nel 2007, il 4° report IPCC, più precisamente il volume redatto dal Working Group II del Panel, rincarò la dose incorporando in quella che dovrebbe essere la più alta espressione del livello di conoscenza scientifica su questi argomenti le previsioni di Stern. Anche la defunta Lehman Brothers commissionò nel 2008 un lavoro di analisi simile, e la concentrazione sui temi del lontano futuro climatico deve averli distratti dalle previsioni del tempo per l’indomani, che per loro erano piuttosto bruttine :-).
Ma, alle catastrofi, specialmente quelle previste, il genere umano ci ha fatto l’abitudine da tempo, così come, dato che la maggior parte di esse non è mai andata oltre l’annuncio, dovremmo esserci abituati al processo che normalmente segue questi presagi. Fondi illimitati per la ricerca, consenso pressoché unanime all’inizio per accedere ai fondi di cui sopra, poi, in sordina, graduale convergenza verso posizioni più moderate, in attesa della successiva catastrofe imminente. Il global warming e la sua derivata non fanno differenza, provare per credere. Così scrive Matt Ridley, che potremmo definire semplicemente un informato dei fatti, sulle pagine del WSJ.
In questi giorni è infatti in corso la sessione plenaria dell’IPCC per l’approvazione del Summary for Policy Makers del volume redatto dal Working Gropu II per il 5° Report IPCC, le cui basi scientifiche (Working Group I) sono invece state rese note nell’autunno scorso. Il testo finale dell’SPM, notoriamente frutto di esasperanti negoziati politici, lo conosceremo solo all’inizio della prossima settimana, ma le bozze che circolano fanno pensare. L’impatto previsto sul PIL globale del clima che cambia e cambia male (per una volta su questo ci limitiamo all’ironia senza entrare nel merito della veridicità di questa probabilità), dovrebbe scendere ad un valore compreso tra lo 0,2 e il 2%, soprattutto perché pare che qualche decimo di grado in più, udite udite, potrebbe anche far bene alle coltivazioni, alle popolazioni che vivono dove la buona stagione dura al massimo un mese e così via. Senza dimenticare che pare anche che l’uomo possieda una capacità di adattamento di tutto rispetto. Incredibile, c’è da chiedersi come siamo arrivati sin qui, a 7 miliardi di esseri umani e ad un livello di sviluppo tecnologico così avanzato senza sapere queste cose. Meno male che c’è l’IPCC!
Comunque, tornando alle nuove presunte(?) previsioni del Panel, lo 0,2% è più o meno pari ad un giorno di assenza dal lavoro di Soros o chi per lui, mentre il 2% è un po’ di più, ma certo è un ordine di grandezza sotto il limite più alto del disastro previsto da Stern.
Domanda: tra il fumo e la polvere che gireranno vorticosamente e inevitabilmente sui media nei prossimi giorni tra annunci di inondazioni, siccità e carestie prossime venture, qualcuno si accorgerà che l’arrosto è ridotto a una polpettina? Forse il grande pubblico no, per cui ancora per qualche anno possiamo stare tranquilli, la nostra dose di spauracchio climatico quotidiano continueremo ad averla. Ma il pubblico meno grande, quello dei famosi salotti buoni per intenderci, noterà di sicuro che una polpettina è davvero poco. Che sia prossima la fine dell’allarme climatico?
Sotto dai, si attendono suggerimenti per la prossima minaccia globale!
si sa che in ogni periodo di crisi c’e’ qualcuno in grado di arricchirsi. Io non sono avvezzo all’analisi dei grandi scenari economici. Io a differenza dell’IPCC resto perplesso di fronte a modelli matematici complessi ai quali viene assegnato un elevatissimo livello di confidenza. Cio’ posto, e visti i soliti previsti sviluppi catastrofici, mi sembra che per poter trarre vantaggio durante la crisi prossima ventura la migliore scelta e’ fare modestamente il cassamortaro.
Provo a dare una risposta alla domanda che G. Guidi ha posto a chiusura del suo post.
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Il polverone è già iniziato: la trasmissione di RAI3 “Leonardo” di oggi 31 marzo ha dipinto uno scenario terrificante in cui gli eventi estremi determinati dal cambiamento climatico di origine antropogenica e CO2 dipendente, si abbatteranno sul genere umano come le bibliche piaghe d’Egitto, condannandolo alla povertà ed al bisogno! Chi lo spiega al redattore del servizio di “Leonardo” che la stessa IPCC ha escluso che il cambiamento climatico sperimentato fino ad oggi abbia modificato la frequenza degli eventi estremi e, quindi, che il documento elaborato in Giappone (qualora vi siano scritte cose del genere) rappresenta una contraddizione in termini rispetto ad altri documenti della medesima IPCC? E chi lo spiega al cittadino medio che nulla sa di tutto ciò? Nessuno ovviamente, per cui sotto con le profezie di sventura!
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Assodato che il grande pubblico continuerà a credere alle profezie di sventura cui in questi anni si è tristemente abituato, ho qualche dubbio circa il fatto che gli habitué dei salotti buoni siano in grado di reagire meglio del grande pubblico. Non mi sembra, infatti, che su temi diversi da quelli climatici e dell’impatto che i cambiamenti climatici possono avere sull’economia, ma altrettanto importanti (sociali, politici, economici, di costume e via cantando) da quegli ambienti vengano buone notizie. 🙂
Ciao, Donato.
Su questo sarei più ottimista Donato. Non è un problema di essere in grado di reagire, ma di capire dov’è la convenienza. E su questo c’è chi non commette errori 🙂
gg
Ci sono state in effetti delle grosse crisi economiche, che stiamo vivendo con grande affanno…
ma
vi pare forse che fossero dovute ad una temperatura più alta ?
Non è che le vicende bancarie contino qualcosina in più di una temperatura che poi non è mica aumentata, o per lo meno non in maniera da determinare dei guasti evidenti, riconducibili cioè ad una temperatura eccessiva ?
O forse lo spread è sensibile alla temperatura ?
Sinceramente, non mi pare…
Non ho ancora sentito un solo analista economico serio che abbia messo in relazione l’attuale crisi economica con le vicende della temperatura…