Una suggestiva e neanche così vecchia immagine del Tamigi ghiacciato testimonia un evento che negli ultimi 150 anni e, più che mai nelle ultime decadi, è diventato piuttosto raro. Tra le cause probabilmente la costrizione degli argini che accelera il flusso delle acque e il traffico fluviale, ma, certamente, anche l’aumento delle temperature. Almeno fino alla fine del secolo scorso. Le ultime gelate, non a caso, sono arrivate negli anni ’50 e ’60, mentre durante la Piccola Età Glaciale (≈1450-1850) la frequenza degli eventi era decisamente superiore. Quello sotto è il grafico della serie storica più antica di cui si disponga, la Central England Temperature (CET).
La temperatura però, si misura certamente con il termometro, ma è materia di circolazione atmosferica, di spostamenti di masse d’aria, di funzionamento del sistema terra-oceano-atmosfera e…Sole.
Soltanto ieri abbiamo parlato di un articolo scientifico in cui si mettono in relazione le rapide diminuzioni del flusso dei raggi cosmici con l’insorgenza di quelle che tecnicamente si definiscono in meteorologia ‘circolazioni di blocco’, (blocks in lingua inglese) cioè evidenti rallentamenti della circolazione emisferica con correnti che assumono direttrici sviluppate lungo i meridiani, portando molta aria calda a nord da qualche parte e molta aria fredda a sud da qualche altra. Sempre ieri abbiamo evidenziato la scala temporale strettamente meteorologica di questo ipotetico meccanismo, oggi invece il discorso lo estendiamo alla scala climatica, sempre grazie ad una recente pubblicazione (anche qui su Science Daily).
Solar forcing of North Atlantic surface temperature and salinity over the past millennium
Prima di tutto un caveat. Come vedremo tra poco, la relazione tra l’attività solare e la frequenza degli eventi di blocco che gli autori di questo paper propongono, appare essere in opposizione di fase con quella proposta nell’articolo che investiga sui Forbush Decrease. E’ pur vero che la scala temporale di riferimento è in questo caso millenaria con risoluzione appena inferiore alla decade, ma questo suscita perplessità in pari misura sui entrambi gli approcci.
Dunque, analizzando una serie di dati di prossimità provenienti da sedimenti marini poco a sud della Groenlandia e dell’Islanda, gli autori di questo studio hanno trovato una corrispondenza tra le serie di salinità e temperatura della porzione di oceano interessata dalla North Atlantic Current e l’attività solare, espressa nella fattispecie dalle variazioni della Radiazione Solare Totale (TSI).
La NAC è il ramo più a nord-ovest della Corrente del Golfo, e fornisce la massa d’acqua ad elevata salinità del Mare del Nord e del Mare del Labrador, caratteristica essenziale per la formazione di acque di profondità e quindi per il mantenimento della pompa oceanica nota come AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation). Qui di seguito il percorso della NAC e lo schema degli scambi oceano-atmosfera nel nord Atlantico.
La variabilità delle condizioni idrografiche desunta dai dati vicari è piuttosto accentuata, 3,5 ± 1,1°C alla scala multidecadale e 1,2 ± 0,8°C alla scala centenaria, risultati in linea con altre ricostruzioni già disponibili. I tempi delle oscillazioni sono in linea con le variazioni della TSI, con periodi di bassa attività solare che corrispondono a temperature e salinità più basse e viceversa. Una correlazione che si ritrova anche nelle simulazioni che sono state impiegate per testare la validità di questa ipotesi, forzando i modelli con la TSI e con gli aerosol derivati dall’attività vulcanica, altro fattore ritenuto essere di primaria importanza per i gelidi inverni della PEG. Sebbene gli output modellistici restituiscano un segnale in genere più attenuato, questo tende a crescere proprio sul ramo nord-occidentale della NAC, per dirla con gli autori, “testimoniando la propagazione dell’anomalia” operata dai processi oceanici. Tra l’attività solare e quella vulcanica, tuttavia, i test di confidenza statistica cui sono stati sottoposti i dati fanno prevalere la prima come driver principale dellevariazioni di temperatura e salinità dell’oceano nello scorso millennio.
Ora, la NAC scorre lungo il bordo sud-occidentale del Subpolar Gyre, cioè del vortice oceanico posto tra la Gornalandia e l’Islanda (figura sopra). Eventuali variazioni di struttura e intensità dell’SPG influenzano le dinamiche della NAC, soprattutto con riferimento al trasporto di volume, di calore e di salinità. Una struttura debole dell’SPG conduce ad una NAC più calda e salina, ma dal momento che i gyre sono essenzialmente forzati dalla ventilazione, le modifiche alla loro struttura sono anche modifiche alla circolazione atmosferica. Nella fattispecie, queste modifiche si realizzano nei periodi di bassa attività solare con la presenza di anticicloni di blocco sul Nord Atlantico, appunto le figure bariche spesso all’origine delle discese di aria fredda sull’Europa. E siamo tornati al Tamigi ghiacciato.
Quindi, si avviano alla conclusione gli autori, l’attività solare sembra proprio avere un impatto considerevole alla scala multidecadale e centenaria, con effetti significativi a livello regionale, per cui le attuali previsioni di futuro lungo periodo di bassa attività solare implicano conseguenze climatiche dirette.
E quando ghiacciava la laguna veneta…..e i nostri Maroni nel leggervi!!?
Il link all’abstract dell’articolo è:
http://www.nature.com/ngeo/journal/vaop/ncurrent/full/ngeo2094.html
mentre il materiale supplementare cui fa cenno F. Zavatti è consultabile al seguente indirizzo
http://www.nature.com/ngeo/journal/vaop/ncurrent/extref/ngeo2094-s1.pdf
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L’articolo, stando all’abstract, individua una correlazione piuttosto stretta tra TSI e temperature secondo varie ricostruzioni. La cosa non è nuova e già in diverse occasioni ne abbiamo discusso (principalmente con riferimento ai lavori di N. Scafetta). La novità del lavoro è la correlazione con le situazioni di blocco atmosferico. Nel materiale supplementare sono riportati diversi diagrammi e diversi test statistici a supporto dei risultati ottenuti. Ad un primo sguardo sembrerebbe che il quadro sia piuttosto coerente, ma ho qualche dubbio circa alcuni periodi che compaiono in alcune forme di analisi e spariscono in altre. Sono molto curioso di studiare i risultati di F. Zavatti (sfruttando in questo modo il suo lavoro ed evitando un’analisi laboriosa di tutto il materiale supplementare 🙂 ), per cui mi auguro che i problemi con il suo server vengano risolti rapidamente.
Nel frattempo vorrei mettere in evidenza un piccolo “mistero”. Leggendo lavori come questo appare chiaro che i dati grezzi nascondono dei periodi ben distinti per cui mi meraviglio quando leggo altri lavori che sembrano negare l’esistenza di periodicità e ciclicità nei dati (è successo ultimamente con un lavoro di un informatico che ha messo in discussione diversi risultati ottenuti da N. Scafetta e che sto cercando di studiare nei ritagli di tempo.
E’ proprio vero, a volte la scienza è molto strana in quanto si dimostra tutto ed il contrario di tutto. Mah! 🙂
Ciao, Donato.
La foto del Tamigi in testa al post mi ha fatto tornare in mente quest’altra foto del Reno a Mainz nell’inverno 1962/63.
Ho notato, nel commento precedente che la parola “coerenza”, che è un link, viene evidenziata solo quando si passa sopra con il mouse. Qui il link è la parola “foto”.
Guido, il link all’articolo non funziona. La somiglianza tra la TSI di Steinhilber et al, 2009 e la temperatura ricavata nell’articolo è notevole e altrettanto notevole è la somiglianza tra temperatura e salinità. Secondo me, però gli spettri parlano un’altra lingua: anche se la dott.ssa Moffa-Sanchez, nell’inviarmi i suoi dati, si mostra cauta “we were very cautious at interpreting any of these cycles since our data has a time resolution is of 6 years (in a few occasions this increases to 12years when we have data points missing because we didn’t have sufficient material to get a measurement”. Gli spettri di TSI e Temperatura non sono così simili come il grafico della coerenza farebbe pensare (tutte queste cose sono nelle informazioni supplementari, liberamente accessibili). Si può senz’altro invocare la bassa risoluzione (6.21 anni), ma anche i dati TSI hanno una risoluzione paragonabile (5 anni) e, come si vede nella figura S4 b (Info Suppl.), i due spettri non si somigliano molto. Avendo i dati originali, ho rifatto gli spettri (io ho interpolato i dati mancanti mentre gli autori li hanno sostituiti con zeri) e trovo due massimi a cavallo della frequenza 0.005 cicli/anno (200 anni) e anche a cavallo (quindi in opposizione di fase) del massimo più potente della TSI a circa 210 anni. Per me il massimo assoluto dello spettro è a ~50 anni (0.02 cicli/anno) mentre nell’articolo è a circa 200 anni: le dimensioni del grafico non permettono di capire se il massimo è a 262 o a 178 anni, i due picchi che trovo io. Proporrò ai lettori di CM questi spettri -in un altro contesto- appena il mio server uscirà da un breve (spero) periodo di cura dovuto a un’aggiornamento finito male. Per questo motivo non sono in grado di proporre link ai miei risultati.