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Dal ‘movimento meteo’: Interessante analisi delle dinamiche invernali

Il post che segue mi è stato segnalato da uno dei nostri lettori. Si tratta di una interessante analisi delle dinamiche troposferiche dell’emisfero settentrionale, sia in termini generali che con riferimento specifico ai primi due mesi di questa stagione invernale. In particolare si pone l’accento su quella che viene definita una scarsa rappresentatività di un indice teleconnettivo cui facciamo riferimento molto spesso nelle nostre discussioni, l’Oscillazione Artica. Al riguardo il concetto di ‘diminuzione’ della rappresentatività dell’AO non mi trova particolarmente d’accordo, specie perché, come leggerete, questa diminuzione scaturirebbe da una avvenuta modifica del sistema terra-mare-atmosfera in area polare, cioè, dal trend negativo dell’estensione dei ghiacci artici. Una diminuzione di estensione certamente avvenuta, ma sui cui feedback in termini di distribuzione della massa atmosferica c’è decisamente ancora molto da capire. Pur trovandomi assolutamente concorde sulla chiave di lettura impostata proprio sulla distribuzione della massa e della conseguente circolazione atmosferica, più che pensare ad una diminuzione della rappresentatività dell’AO sarei dell’idea che l’indice, che descrive l’intensità della circolazione zonale, debba essere guardato con occhi diversi a pari valore assunto, in relazione alle dinamiche di lungo periodo della latitudine attraverso la quale scorre il fronte polare, cioè in relazione a quanto è più o meno estesa verso sud l’aria polare durante la stagione invernale. Questa mia è tuttavia solo una breve introduzione. Il contenuto dell’articolo, come vedrete, è ben più ricco di spunti interessanti e merita davvero attenzione. Buona lettura.

 

L’Arctic Oscillation e le “defaillances” di un indice – di Matteo Sacchetti e Antonio Pallucca

Si discute già ormai da diversi anni circa le “performance” descrittive di un importante indice teleconnettivo il cui utilizzo viene assunto per descrivere lo “stato di salute” del vortice polare troposferico.

In realtà l’Arctic Oscillation (fig. 1) definito da una proiezione ortogonale delle slp (1000 mb) dai 20° verso il polo, misura, come detto, il gradino barico tra queste latitudini e il valore è stato standardizzato dalle deviazioni standard (base NCEP/GFS) del modello su basi annuali 1979/2000.

L’ AO index, come detto, identifica l’anomalia media di geopotenziale a 1000 hPa tra l’area polare e le medio-basse latitudini e fino ai 20°N. Attualmente molte delle osservazioni avvengono via satellite, mentre nel passato l’anomalia veniva calcolata tramite somma algebrica tra diversi valori di pressione al suolo. Inoltre tale indice, a detta quota e con ampi gap sulla latitudine nord, si porta appresso delle medie sui geopotenziali che ne falsano lo stesso risultato.

Partendo dal supposto che il calcolo iniziale possa riguardare tutto il N.H. settore Atlantico, si ottiene una media ove le variazione dei geopotenziali a 20 ° nord sono pressoché stabili, mentre oltre i 60° nord troviamo un’enorme divario di geopotenziali. Tale indice di TLC non rappresenta in assoluto un valore affidabile, ma una componente tra altre TLC descrittive di diverso grado ed importanza, che indicano una tendenza.

La discussione è posta nel merito dell’utilizzo, dicevo, dal momento che è stato assunto l’AO spesso come descrittivo di un pattern atmosferico legato allo stato forte/debole del vortice.

Il grado di intrusività poleward delle onde planetarie determina condizioni diverse di anomalìe di geopotenziale nelle latitudini polari e subpolari e con riflesso conseguente sull’Arctic Oscillation con un assunto di base tuttavia sempre più in discussione ovvero il fatto che il polo nord presenti una sostanziale distribuzione omogenea delle masse artiche attorno al proprio centro geografico.

In questi ultimi anni, osservazioni attente da parte di ricercatori e studiosi, hanno messo al centro questa discussione ovvero proprio riguardante la…”centralità” dell’AO nel riuscire a cogliere lo status e la modifica di un pattern atmosferico e a tal riguardo le perplessità sono emerse sempre più vive.

L’avanzamento delle ricerche ha identificato come miglior pattern in grado di spiegare condizioni generali dell’emisfero nord, un indice che tenesse conto della sostanziale di(bi) polarità del polo nord e di come la disposizione delle masse artiche tropo/stratosferiche seguissero generalmente questo assetto.

A proposito del passaggio ad un pattern bipolare si citano la ricerca di Xiangdong Zhang, Asgeir Sorteberg, Jing Zhang Rüdiger Gerdes, Josefino C. Comiso :Recent radical shifts of atmospheric circulations and rapid changes in Arctic climate system (che seguirono i precursori Bingyi Wu, Jia Wang, and John Walsh nel 2006) che nel 2007 in un primo tragico traguardo negativo della situazione dei ghiacci al polo nord, a proposito del riscaldamento globale, parlarono di un passaggio da un sistema tripolare e quindi sostanzialmente in equilibrio rispetto al baricentro nel polo nord ad un sistema dipolare, ma soprattutto la ricerca di Jeff Masters (2010) che, sui presupposti precedenti, rende molto chiara la diversa configurazione di un pattern dipolare piuttosto che anulare: “While the Arctic Oscillation has an annular structure centered over and covering the entire Arctic, the Arctic dipole anomaly has two poles of opposite sign: one over the Canadian Arctic Archipelago and northern Greenland, the other over the Kara and Laptev Seas. This dipole structure leads to a pressure gradient with a zero isopleth oriented from the Bering Strait, across the Arctic to the Greenland and Barents Seas. As a result, anomalous winds are generally directed parallel to the zero isopleth either towards the Greenland and Barents Seas (positive Arctic dipole anomaly) or toward the Bering Strait (negative Arctic dipole anomaly)”.

In realtà per dire che il polo nord è bipolare potrebbe non bastare riferirsi ai piani più bassi dell’atmosfera terrestre e al riscaldamento globale, ma salire parecchio più in alto così come fece Vukcevic (M.A. Vukcevic M.Sc. 2009 ) che nel suo north Atlantic temperature anomaly e ss. collegò l’andamento della Corrente del Golfo alle anomalìe del campo magnetico terrestre trovando due regioni particolarmente depresse site l’una nella Baia di Hudson e l’altra nella Siberia centrale grossomodo a nord del Lago Baikal. (fig. 2)

Non un campo magnetico fisso ma mobile e in grado di modificarsi sulla base dell’interazione con i raggi elettromagnetici inviati dal sole.

Certamente le modalità di interazione con il dipolo è oggetto di ricerca e ancora grossomodo inesplorato ma si ritiene possa costituire la “via maestra” per riuscire a comprendere quelle che forse sono le cause primarie che enfatizzano questa conformazione del polo nord e che, nel nostro contesto, rischiano di sdoganare in tutto o in parte l’AO index.

Ad oggi l’Arctic dipole, pur in un contesto (temporaneo?) di minor deficit nivoglaciometrico del polo nord pensiamo possa rispondere, molto meglio nella descrizione di patterns circolatori che sfuggono all’Arctic Oscillation. (fig. 3)

INVERNO 2013/2014

Limitandoci ai dati ad oggi disponibili, possiamo dire che, al minor deficit di ghiacci nel polo nord, non è corrisposto una riabilitazione della funzionalità dell’AO index anzi, forse l’inverno attuale è stato proprio il miglior paradigma per descrivere un sostanziale scollegamento rispetto al trend generale della circolazione.

Nel comune utilizzo, pur venendo usato impropriamente al contrario, il segno positivo dell’Arctic dipole è associabile ad anomalìe negative di geopotenziale sull’artico Canadese mentre all’opposto il segno meno è associabile ad anomalìe positive sull’Eurasia e in particolare sull’artico centrale siberiano (Mar di Kara).

Qui abbandoneremo l’utilizzo comune del segno e riferendoci alla definizione ufficiale che ci porta a considerare l’inverno fin qui trascorso come un paradigmatico esempio di AD+ già a partire dal precedente autunno ricordando che stravolgere il punto di osservazione da una visuale anulare ad una bipolare vuol dire mutuare questo cambiamento ad un’osservazione tridimensionale dell’emisfero nord e riferirsi pertanto anche alle dinamiche verticali dell’atmosfera.

Se ridimensioniamo l’importanza dell’Arctic Oscillation altrettanto dobbiamo fare con il North Annular Mode (NAM). (fig.4)

A fine novembre 2013 si è verificato un forte raffreddamento stratosferico polare che, pur esplosivo, ha realizzato il superamento della soglia di precondizionamento stratosferico come riflesso di una conclamata e diffusa anomalìa negativa di geopotenziale già dapprima raggiunta nell’artico canadese. (fig. 5)

Non è un caso che forti raffreddamenti stratosferici facciano “fatica” a superare il valore di +1,5 del NAM come espressione della soglia statisticamente posta dagli studiosi in termini di probabilità di propagazione dell’Extreme Stratosphere Event (Baldwin & Dunkerton) in quanto si sono da ultimo realizzati come effetto propagativo orizzontale del forte raffreddamento sul dipolo e quindi a latitudini inferiori rispetto al polo geografico.

Se quindi volessimo partire dall’assunto per cui il pattern AD+ dell’inverno 2013/2014 ha risentito quanto ad intensità e perseveranza degli effetti dell’ESE mentre gli effetti sull’annularità polare si sono esauriti dopo circa meno di un mese, dovremmo dire che il precondizionamento ha operato alla perfezione sul polo canadese.

Nulla di tutto questo è ovviamente visibile dalle cromografie “Aocentriche” che infatti, dopo un mese di anomalìe negative di geopotenziale sulla direttrice polare, hanno evidenziato ad oggi anomalìe di segno opposto (fig. 6).

Ma qui si pongono necessari altre valutazioni nel merito del nuovo equilibrio nelle dinamiche polo-equatore qualora in presenza di un sempre più sovente sbilanciamento del vortice polare rispetto il polo.

Già nel mese di novembre (precursore dell’interazione delle dinamiche strato/troposferiche del vortice polare) lo sbilanciamento del vp verso un AD positivo pattern era conclamato e le reanalisys del mese mostrano una configurazione nella distribuzione delle masse artiche che merita essere commentata. (fig. 7)

Le forti anomalìe termiche e di geopotenziale orizzontali e verticali presenti tra l’Eurasia e il Pacifico sono state il risultato di un riscaldamento resiliente dalla precedente stagione estiva e non rimosso in gran parte a causa del dislocamento di un vortice polare nato con il core centrato pressochè sull’artico canadese.

Il debole E-P flux convergente rappresentava il trasporto verticale di calore senza alcun particolare dinamica di attrito con le weasterlies, un sostanziale disturbo semistazionario quasi del tutto inerte rispetto le dinamiche zonali imposte dal vortice, come se il fronte polare sul Pacifico si fosse straordinariamente innalzato e per cui le deboli migrazioni delle masse d’aria tropicali non subissero contestualmente alcuna particolare attrazione verso il polo né alcuna particolare dinamica di scontro rispetto alle masse gelide che ruotano attorno al vps. (fig.8)

Il “tracciante” rispetto questa curiosa dinamica qui descritta è rappresentato dalle forti anomalìe positive di concentrazione di O3 nei pressi delle regioni subartiche pacifiche ma senza grossa attività di disturbo nei confronti del vortice (momento weasterlies molto basso) in quanto senza un precedente momento weasterlies non può esserci nessuna dinamica di disturbo al vps.

Se le masse artiche di converso rimangono sbilanciate su parte dell’emisfero (Canada), in questi siti si producono, al contrario, diverse conseguenze sul piano circolatorio.

In questo caso all’opposto si crea un forte gradiente barico concentrato tra le latitudini tropicali e quelle subartiche derivanti dalla polarità AD+ e un netto incremento delle velocità zonali inibente dinamiche d’onda in grado di insorgere nel comparto Atlantico ove l’abbassamento del fronte polare genera, in troposfera, profonda vorticità positiva. (fig. 9)

L’attrito molto pronunciato dell’heat flux sulla seconda onda contro le weasterlies genera un trasporto di calore verso il continente europeo dapprima nettamente divergente rispetto al polo ove l’infrangimento della genesi dell’onda avviene in tropopausa e solo dopo converge verso il polo.

In troposfera questo si traduce in una sorta di onda ibrida tra l’Europa settentrionale, W-Russia ed Europa orientale.

Le correnti a getto sono, di conseguenza molto tese ed il jet streak imperversa sull’Oceano Atlantico tra il 50 e il 40°N fino a raggiungere l’Europa centro occidentale tra il 45° e il 35°N. ( fig. 10)

Nel mentre accade tutto questo sul fronte dell’Arctic Oscillation si verificano i seguenti passaggi.

Una fase molto positiva dell’indice nel mese di dicembre quasi a sottolineare la mancata soluzione di continuità rispetto il mese precedente ove il calo si è realizzato negli ultimi giorni del mese e che senz’altro trova ulteriore conforto nel consolidamento su tutta la colonna dell’ESE di fine novembre.

Evidenza che richiama l’attenzione su una troposfera molto fredda che non ha potuto inibire il processo di approfondimento dei gpt stratosferici stante un flusso di calore in bassa stratosfera (100 hpa – fig 11) molto debole.

Una fase di ripresa dell’heat flux (fine dicembre / gennaio) con risonanza in troposfera della dinamica di disturbo in stratosfera con insorgenza di episodi di Minor Warmings.

In questa fase l’Arctic Oscillation per effetti della risonanza stratosferica tende a portarsi su valori generalmente negativi senza tuttavia incidere in maniera significativa sul pattern preesistente ma limitandosi ad apportare un incremento di gpt sulla direttrice polare ed un incremento pressorio per combinato ibrido della componente termica e dinamica e palesando il fatto che il collegamento tra l’andamento tra il segno dell’indice e le anomalìe di gpt alle medie latitudini è molto debole e indubbiamente non applicabile al presente contesto dal quale appare del tutto slegato.

Molto più significativo, relativamente ai patterns dipolari, il collegamento con la North Atlantic Oscillation, indice che presenta maggiori connotazioni di stabilità in quanto correlato alla media troposfera (500 mb) ed esprime grossomodo ( e con alcuni distinguo) la differenza di pressione tra la Groenlandia e le medie latitudini Atlantiche situate grossomodo tra i 35/40°N (fig).

Nel valore della NAO è pertanto insita un’importante correlazione con l’Arctic Dipole anche se, in condizioni di forte valore positivo di quest’ultimo, la NAO può risultare nel suo valore positivo un po’ appiattita verso la neutralità a causa della proiezione di questa sulle medie latitudini anziché, come invece l’AO, sulle latitudini tropicali (30°N).

La relativa stabilità della NAO è peraltro visibile dall’andamento ondulatorio meno accentuato rispetto quello dell’AO. (fig. 12 e 13)

Fatte queste considerazioni potremmo azzardare a definire l’inverno 2013/2014 come una stagione opposta quasi speculare rispetto l’inverno 2009/2010 contraddistinta da un prevalente pattern AD- (o al contrario AD+ nell’uso comune) che tuttavia non può efficacemente venir mutuato dal North American Pattern (PNA) che rappresenta sostanzialmente il tipo di andamento del jet stream polare in uscita dall’est asiatico rispetto allo stesso in entrata nella weast Coast USA.

E’ quindi strettamente correlato all’andamento ondulatorio della corrente a getto polare.

SINTESI FINALE

La presente discussione è finalizzata a condividere alcuni importanti assunti recentemente emersi in dottrina scientifica in merito al maggior spazio da attribuire al Dipolo Artico nel momento in cui vogliano essere rappresentati più efficacemente i patterns invernali sottostanti ormai poco connessi all’andamento dell’Arctic Oscillation.

Le ragioni per cui questa necessità è emersa in questi ultimi anni non credo siano dovute soltanto ad una diversa prospettiva di lettura dell’emisfero boreale ma anche e soprattutto a evidenze che hanno condotto ad affrontare con questa diversa chiave di lettura le dinamiche dell’emisfero settentrionale condizionato da fattori emergenti il cui peso dovrà, a mio avviso, essere valutato attentamente prima di attribuirne univoca paternità.

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Fig. 1:proiezione dell’AO index (fase positiva)

 

 

fig. 2 : magnetic anomaly:

 

 

fig. 3: il dipolo artico

 

 

fig. 4: the north annular mode

 

 

 

fig. 5: anomalie di gpt a 10 hpa nella seconda metà di novembre

 

 

fig. 6: anom. di gpt tropo/stratosferiche da gennaio 2014:

 

 

fig. 7: anom. gpt a 100 hpa novembre 2013:

 

 

fig. 8: anom. di gpt mese di dicembre al limite della tropopausa

 

 

fig. 9: anom. pressoria a livello del mare dal 1 dic. 2013

 

 

fig. 10: anom. delle correnti a getto da inizio inverno 2013/2014:

 

 

fig. 11: e-p flux 100 hpa:

 

 

fig. 12: grafico della NAO:

 

 

fig. 13: grafico dell’AO index

 

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Il post originale completo di figure lo trovate qui.

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Published inAttualità

4 Comments

  1. max pagano

    molto tecnico questo post;
    per chi come me non è avvezzo a queste tematiche così specifiche, vi linko uno scanzonato ma divertente e breve articoletto che fa il punto sull’afidabilità delle previsioni a lungo termine che tra settembre e ottobre i grossi centri meteo-climatici del mondo avevano pubblicato qua e là, e su cui in alcuni casi le autorità governative si erano basate:

    http://freddofili.it/24/02/2014/previsioni-stagionali-alla-deriva/

    🙂

    • Simpatico Max, grazie.
      Riguardo le anomalie di Marzo con cui finisce il pezzo, sbaglierò ancora ma non mi pare proprio che sia quella la tendenza.
      gg

    • donato

      Se la tendenza di marzo non è quella della “con cui finisce il pezzo” mi sa che saranno cavoli amari per i poveri “ortolani della domenica” come me! 🙂
      Mannaggia a sto’ clima che è cambiato: non è più quello di una volta e i meteorologi non c’azzeccano più! 🙂 🙂 🙂
      Ciao, Donato.

    • Ma perché quando ci prendevano? 🙂
      gg

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