Già, cosa succederebbe se dovessimo scoprire che il clima è molto meno sensibile alle ‘spallate’ dell’azione antropica e se questa convinzione dovesse far presa sul mainstream? Domanda del secolo, probabilmente, ma non così peregrina.
Mettiamola in questo modo. Negli ultimi anni si sta assistendo all’implementazione o, molto più frequentemente alla progettazione, di massicce politiche di mitigazione del riscaldamento globale. Il tutto assumendo, probabilmente erroneamente o quanto meno perché in possesso di informazioni parziali, che questo sia stato interamente di origine antropica. Nessuna di queste politiche ha avuto successo in termini di riduzione delle emissioni a livello globale. Alcuni, pochissimi, le hanno appena scalfite, altri, quasi tutti, le hanno aumentate. Nonostante questo, con grande perplessità da parte del mondo scientifico, che ha evidentemente riposto un po’ troppa fiducia nelle simulazioni e proiezioni climatiche, le temperature hanno smesso di crescere. Di conseguenza, sebbene con fatica, è nato un dibattito piuttosto acceso circa le origini di questo sia pur temporaneo possibile ridimensionamento del problema.
Ancora prima che questo dibattito prendesse corpo, approdando anche sulle riviste scientifiche più accreditate dopo aver popolato per anni le pagine della componente scettica della blogosfera climatica, il mainstream aveva invece virato verso un livello di comunicazione superiore, ovvero nel tentativo di individuare un collegamento – e quindi una relazione di causalità, tra l’aumento delle temperature, le supposte modifiche alle normali dinamiche del clima, comunque inclini alla variabilità e gli eventi atmosferici più intensi. I media, spesso poco sensibili alle barbose spiegazioni scientifiche ma certamente molto affamati di notizie sensazionali, hanno sposato con entusiasmo questa ipotesi di collegamento, anche perché spesso opportunamente imbeccati dall’esperto di turno. Che nella maggior parte dei casi esperto non è, dato che ad oggi non sono stati individuati segnali di aumento della frequenza di occorrenza o dell’intensità degli eventi atmosferici estremi.
Eventi che però continuano ad avvenire, come sempre. I cicloni tropicali continuano a far danni ingenti e a mietere vittime, così come quelli extratropicali, come le ondate di calore, come le alluvioni, come le ondate di freddo etc etc. E ogni volta che accade qualcosa del genere si trova qualcuno pronto ad attribuirlo al clima che cambia e cambia male. L’ultimo, per esempio, è stato il consulente per i temi climatici della Casa Bianca, John Holdren, che ha dichiaratamente attribuito la recente eccezionale ondata di freddo negli USA al riscaldamento dell’Artico. Qualche giorno fa, su Nature Climate Change, spin-off della rivista Nature espressamente dedicato ai cambiamenti climatici, è comparso un editoriale che da un lato ci spiega che anche se fa freddo non vuol dire che il clima non cambi a causa del riscaldamento globale, dall’altro che il collegamento tra quel genere di eventi e il predetto cambiamento è ‘debole’, salvo poi scoprire in un altro editoriale di Nature che, piuttosto, è inesistente.
E così capita che anche i media fiutino la preda. Il Wall Street Journal, non proprio il Gazzettino del Popolo quindi, ha pubblicato un editoriale dal titolo eloquente:
The Weather Isn’t Getting Weirder – The latest research belies the idea that storms are getting more extreme.
“Il tempo non sta diventando più strano, le ultime ricerche contraddicono l’idea che le tempeste stiano diventando più estreme.” E’ un pezzo interessante del quale vi consiglio la lettura, anche perché non si limita a dar conto dello stato di avanzamento della conoscenza su questi temi, ma conclude anche con una frase piuttosto significativa in termini di adattamento:
Gli allarmisti del riscaldamento globale insistono sul fatto che le attività economiche siano il problema, quando le prove di cui disponiamo mostrano che sono piuttosto parte della soluzione. Potremmo non essere in grado di far nulla sul tempo, estremo o meno. Ma possiamo assicuraci le risorse per affrontarlo quando arriva.
Insomma, timidi passi nel panorama scientifico che inizia a interrogarsi sui pilastri traballanti di una teoria, quella della totale responsabilità umana nelle recenti dinamiche del clima e della loro conseguente pericolosità, che è stata data per acquisita troppo velocemente, e media autorevoli e di ampissima diffusione decisamente meno entusiasti di continuare a seguire la strada della catastrofe imminente. Lecito porsi una domanda come quella che troviamo sul Bishop Hill, il blog di Andrew Montford, circa le policy climatiche del suo paese, la Gran Bretagna, che si è per esempio autoimposta delle strategie energetiche draconiane: “Dove si va con le policy climatiche?
Se notiamo i grafici delle temperature medie per decadi , regionali e globali , si evincerebbe una ciclicita , della periodicità climatica , decadi piu calde altre piu fresche – fredde , nelle quali prevalgono stagioni piu fresche / fredde o viceversa piu calde , esempio anni 40 estate molto calde , anni 70 estate piu fresche , anni 2000 estate molto calde , teoricamente nella decade 2021 – 2030 estati di nuovo piu fresche , come tra il 1905 – 1920 , tra il 1965 – 1979 , con una ciclicita di ogni 60 anni .Il Clima non si sta scaldando da anni , e questo in qualche modo l’abbiamo avvertito un pò tutti , forse non c’e bisogno dei dati globali per notare questa fase di stasi , un clima comunque piu caldo .
“timidi passi nel panorama scientifico che inizia a interrogarsi sui pilastri traballanti di una teoria”
ma quando mai? quale miglior rappresentante delle lobby caòpestatrici di poveri innocenti del wsj
sarà invece altra benzina sui falò dei complottisti
Sto aspettando che qualcuno degli attuali gestori della politica di ricerca nel settore del clima mi venga ad insegnare che sono stato un fesso a credere nell’AGW perche’ questo o non esiste o e’ un fenomeno secondario dei naturali cambiamenti climatici….treno di ritorno allontanrsi dalla linea gialla!