La Vespa mandarinia è un imenottero vespoideo asiatico, che con i suoi oltre 5 cm di lunghezza e 7 cm di apertura alare è la più grande vespa del mondo (più grande per intenderci del nostro calabrone – Vespa crabro). La Vespa mandarinia vive in Asia sia in climi tropicali sia in climi temperati e predilige gli ambienti forestali. Inoltre le sue punture sono spesso letali per l’uomo, tanto che nel solo Giappone l’insetto farebbe ogni anni ben 40 morti.
Secondo questo articolo la Vespa mandarinia, per la perversa concomitanza di anthropogenic global warming e deforestazione, cambierà in futuro il proprio habitat trasferendosi dai boschi alle città e causando in tal modo la morte di moltissimi esseri umani, esseri umani che a loro volta considerano tale vespa come fonte di cibo.
Nello specifico nell’articolo si afferma che
Since 97% of climate scientists agree that climate change is real, the warmer fall and winter months have recently allowed these insects to dramatically increase their population number. It is believed that these giants are invading areas populated with humans because of rising temperatures as well as deforestation. They are migrating from their native habitat into cities which means that the chances are greater that the numbers of attacks will increase. Humans are the only predator for the Asian Giant Hornet, which are the apex predator in their native habitat. Some people actually consider these insects to be part of their daily diet. In Asia, people who share the same habitat as the hornets will actually catch and deep fry them. The combination of humans using these insects as a food source and deforestation, the Asian Giant Hornet could be threatened with extinction if humans continue to remove their natural habitat.
A tale proposito debbo anzitutto dire che può risultare a prima vista incomprensibile il fatto che solo il 97% degli scienziati creda che il climate change è reale… nel senso che nella mia ingenuità credevo che il clima cambiasse per sua natura e dunque nessuno potesse essere in gado di contraddire una tale evidenza. L’equivoco si chiarisce immediatamente se si apprezza il fatto che per gli autori dell’articolo in esame il climate change non è un climate change qualunque ma il “Climate Change”, quello con le due C maiuscole e con la A di Anthropogenic davanti. La A viene a questo punto omessa perché del tutto ovvia ai credenti, nel senso che prima della comparsa della perversa azione dell’uomo il clima non cambiava, la natura era benigna e fiumi di latte e miele scorrevano sulla terra inviolata…
Tornando poi alla Vespa mandarinia, l’approccio proposto nell’articolo in questione è quanto mai semplicistico rispetto alla reale natura dell’entità biologica in esame. Infatti, per limitarci alle sole temperature1, è noto che ogni specie d’insetto ha un proprio optimum termico, superato il quale le popolazioni iniziano a decadere. Inoltre se variano le temperature è l’intero ecosistema (di cui anche la nostra vespa fa’ parte) a risentirne, con effetti complessi e dunque difficili da cogliere e descrivere realisticamente. Nello specifico poi, trattandosi poi di un predatore all’apice della catena alimentare, occorrerà considerare che la dinamica delle sue popolazioni dipenderà in modo strettissimo dalla dinamica delle popolazioni delle altre entità biologiche che di tale catena alimentare fanno parte, entità anch’esse soggette allea temperatura. La rete di relazioni che ho a grandissime linee abbozzato dovrebbe indurre ad una considerevole dose di prudenza nel prevedere le dinamiche future delle popolazioni di tale insetto.
Il problema è che quando si parla di GW si abbandonano queste argomentazioni prudenziali per adottare il principio per cui “se tutto va bene siamo rovinati”. Non vi pare che in questa logica negativa vi sia qualcosa di perverso ed autolesionistico? Infatti un tale approccio si traduce nella rinuncia ad interpretare in modo razionale la realtà, rinuncia che viene scientemente operata in nome di un obiettivo superiore. E ciò a fronte del fatto che l’approccio razionale sarebbe più che mai utile, come dimostra il fatto che nell’articolo in questione si dice pure che la Vespa mandarinia corre anche un concreto rischio di estinzione. Ci si domanda allora se per caso il GW (ammesso che prosegua, perché son 15 anni che pare essere andato in letargo…) non possa dare il colpo di grazia a questo bellissimo ed inquietante prodigio della natura, magari riducendo il suo habitat in zona tropicale. Ed alla luce delle complessità sopra esposte, è evidente che per rispondere a tale domanda non basta applicare il modello della vespa che fa le valige e dai boschi si trasferisce in città.
In tal senso il caso della Vespa mandarinia è solo un esempio. Un caso analogo è riportano nello scritto di Jim Steele “Fabricating Climate Doom: Hijacking Conservation Success in the UK to Build Consensus!” disponibile a questo link.
Jim Steele narra il caso di un lepidottero Phengaris arion (alias Large blue) la cui estinzione sul suolo britannico derivò dall’essersi affidati a preconcetti senza aver capito la complessità del ciclo dell’insetto, il quale a mo’ di cuculo vive la fase di bruco nel nido sotterraneo di una specie di formica, che accoglie lo “sfruttatore” grazie al fatto che lo stesso emette feromoni particolari, che inducono le operaie ad alimentarlo con gli alimenti proteici riservati alla formica regina. Secondo Steele in passato i conservazionisti britannici attribuirono la responsabilità della progressiva riduzione delle popolazioni di large blue all’intensificarsi dell’impatto antropico, senza rendersi conto che era proprio l’impatto antropico in forma di pascolamento bovino ed ovino a tenere l’erba bassa e dunque a favorire il riscaldamento del suolo ad un livello tale da garantire la conclusione del ciclo del lepidottero in autunno. Sparito il bestiame e “rinaturalizzato” l’ambiente (e realizzatosi dunque il sogno degli ecologisti), l’erba alta ha determinato una riduzione delle temperature del suolo, condannando all’estinzione l’insetto, la cui reintroduzione da altri areali è potuta avvenire con successo solo una volta che si è preso atto delle reali caratteristiche del suo ciclo e del fatto che l’insetto stesso spariva per un effetto di cooling e non di warming.
Steele descrive la sindrome riduzionista che colpisce molti suoi colleghi producendo un ritratto sintetico di un fenomeno che alla scienza non può far altro che male:
Once those scientists accepted CO2 warming as a reasonable explanation for ecological disruptions, despite never thoroughly examining the issue, they embraced whatever supported their choice. Their intellectual identity became intimately entwined with any validation of their chosen hypothesis. Like an avid sports fan, they feel great when their team is “winning” and distraught when their team is “wrong”. They brand anyone who challenges their hypothesis as a denier, stupid, traitor or infidel, and do not hesitate to brutalize anyone on the wrong team.
Ma ritorniamo per un attimo alla Vespa mandarinia, per un’ultima considerazione che si lega al fatto che l’approccio oltremodo superficiale alla dinamica delle popolazioni dell’insetto, che abbiamo più sopra stigmatizzato, è proposto dal sito “The allegiant – progressive sociopolitical network”, il quale formalizza il proprio obiettivo socio-politico nel modo che segue:
The Allegiant was created to host sociopolitical commentary that targets a wide swath of topics including religion, political correctness, the mass media, greed among people and persons in positions of high political and social power, and the lack of intellectual curiosity of the electorate. We seek to question the establishment, encouraging dissidents and public intellectuals — with the purpose of eroding the influence of dogmatism, superstition and bigotry in the world.
Possibile che il dogmatismo e la superstizione si debbano combattere con le armi del dogmatismo e della superstizione? Il non diffondere bugie e non indugiare in chiavi di lettura superficiali ed ideologiche del reale dovrebbe a mio avviso essere il primo presupposto di ogni vero progressismo.
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Note
- a ragionamenti analoghi si prestano le altre variabili ambientali (umidità, precipitazioni, vento, tenore idrico del suolo, radiazione solare, ecc.).
È divertente notare come oggigiorno dallo stesso presupposto c’è chi teme una cosa e c’è chi teme la cosa opposta. Quelli hanno paura che il vespone si estingua, i cugini d’oltralpe temono di invece di essere invasi:
http://www.linternaute.com/actualite/societe-france/frelons-tueurs-bientot-l-invasion-en-france-1013.shtml
Un’altra specie asiatica, la Vespa velutina, è già in espansione da qualche anno in Costa Azzurra e da quelle parti si chiedono se non possa succedere lo stesso con la versione extra-large.
Grazie per la segnalzione della Vespa velutina, specie che non conosco.
Credo che si parli molto di vespe anche perché da sempre fanno sempre una gran paura, pur trattandosi di predatori di grande utilità ecosistemica.
Personalmente avrei parecchio da raccontare sulle mie esperienze con nidi di Vespula germanica in stazioni meteorologiche (pluviometri in particolare) o con un nido di Vespa crabro (quest’ultimo davvero pauroso…).
infatti, Fabrizio, è proprio questo il punto:
“dallo stesso presupposto c’è chi teme una cosa e c’è chi teme la cosa opposta”
ma il bello è che sono “le stesse” persone, non altre persone, e “nello stesso articolo” !
Tutto fa brodo pur di spaventare…
” So we have to offer up scary scenarios, make simplified, dramatic statements”
…e poi dicono che è stato frainteso, che non voleva dire quello…sarà, a me non interessa cosa intendesse, interessa quello che hanno capito quelli che scrivono questi articoli, e condizionano la gente disinformata su questi specifici problemi….
Secondo me.
1. ” the warmer fall and winter months have recently allowed these insects to dramatically increase their population number.”
ok, questo è un fattore a favore dell’incremento “drammatico” (all’inglese, s’intende) di queste vespe
2. “It is believed that these giants are invading areas populated with humans because of rising temperatures as well as deforestation.”
dunque, questi insetti, il cui numero è enormemente cresciuto, soffrono per la deforestazione e invadono le aree umane (per questo e perché fa caldo, e quando fa caldo gli insetti vanno in vacanza in città, evidentemente);
questo dove fa più caldo, evidentemente, e dove c’è deforestazione, evidentemente. In Italia, per esempio le foreste sono aumentate….dovrei informarmi sulla situazione in Giappone
3. “Some people actually consider these insects to be part of their daily diet. In Asia, people who share the same habitat as the hornets will actually catch and deep fry them.”
gli abitanti delle città, invece di accogliere a braccia aperte questi insetti un po’ scorbutici e sudati, se li mangiano… e loro gridano disperati “siamo fritti!”
4. “The combination of humans using these insects as a food source and deforestation, the Asian Giant Hornet could be threatened with extinction if humans continue to remove their natural habitat.”
ok, eravamo partiti dall’aumento drammatico di questi insetti, ed ora concludono che sono in pericolo di estinzione…
va bene, sono io che non capisco la logica.
Comunque le vespe fritte le lascio agli amici Giapponesi 🙂
In effetti nel caso della Vespa asiatica stiamo commentando un articolo “divulgativo” che non brilla certamente per rigore e consequenzialità. Più che altro l’ho trovato utile come spunto per sviluppare alcune considerazioni di scenario.
E’ a mio giudizio inutile continuare a disquisire sul 97 virgola qualcosa per cento di consenso e di consenso in senso stretto: bisognerebbe mettere in discussione l’insegnamento di Kuhn in merito al paradigma e, francamente, non ne vale la pena.
Vorrei spendere qualche parola, invece, in merito agli equilibri ecologici e, più in generale, ambientali. Più volte su queste pagine abbiamo avuto modo di discutere della delicatezza degli equilibri e dell’imprevedibilità del comportamento di sistemi complessi come quelli che con termine generico definiamo ambientali. Nello specifico questa considerazione riguarda l’atmosfera, l’idrosfera, gli ecosistemi ecc., ecc.. Molti si illudono di poter controllare tali sistemi agendo su uno soltanto dei parametri in gioco: reintroducendo un predatore estinto in un certo ambiente, rimuovendo un predatore “importato” in un altro; variando le emissioni di CO2 per condizionare il sistema climatico e via cantando senza rendersi conto che esistono così tante relazioni tra un elemento e l’altro da rendere quasi impossibile esercitare un controllo efficace ed efficiente sul sistema complesso che si sta esaminando.
Immaginiamo, per esempio, di ammalarci e di aver bisogno di un antibiotico. Il farmaco curerà la nostra infezione, ma colpirà anche tutti i batteri commensali che popolano il nostro organismo e che costituiscono il cosiddetto bioma (circa cento volte maggiore del patrimonio genetico umano). Dopo la sospensione della terapia possiamo immaginare che si ricostituirà l’equilibrio originale: niente di più falso. Il bioma che si formerà dopo la sospensione del trattamento medico, sarà del tutto diverso dal precedente. In altre parole non esiste ciò che possiamo definire una situazione originaria da preservare, la natura, cioè, non è statica e, pertanto, non esiste una situazione che possiamo definire originale.
Ogni condizione di equilibrio è caratterizzato da parametri diversi da quelli della condizione di equilibrio precedenti e successive e condannare un sistema all’immobilismo, significa condannarlo a morte.
Un po’ come accade nei centri urbani. Quando si decide di cristallizzare una certa situazione senza consentire modifiche che permettano di adattare il centro abitato alle nuove esigenze di vita, il centro urbano si spopola e, dopo un po’ di tempo, resta disabitato o si riduce ad un dormitorio asfittico o, ancora peggio, ad un posto in cui i locali vengono occupati per pochissimo tempo da un’utenza in continua mutazione ed in condizioni di bisogno che li abbandona appena riesce a trovare una situazione più confacenti alle esigenze della vita moderna: con buona pace di architetti, conservazionisti e via cantando.
Ciao, Donato.
Pienamente d’accordo sulla complessità che è elemento essenziale degli ecosistemi, naturali o antropizzati che siano. Il problema che si pone una volta preso atto di tale complessità è quello di giungere ad una descrizione realistica del sistema. Questo è il messaggio che mi premeva dare con il mio intervento. Da vari anni coopero con gruppi di ricerca che si occupano di modelli di popolazioni animali e, personalmente, mi occupo di modellare gi aspetti meteorologici, idrologici e di produttività dei vegetali (che sono poi a volte l’ospite delle popolazioni animali).
L’impressione maturata è che occorra giungere al giusto grado di complessità per poter dire qualcosa di realistico ed il “giusto grado di complessità” si ottiene adottando un sufficiente livello di meccanicismo. Quel che mi capita di osservare è che:
– vi sono ricercatori fermi ad un livello totalmente empirico e questo è a mio giudizio un limite grave.
– vi sono altri ricercatori che si spingono fino ad un meccanicismo eccessivo giungendo a modellare regioni del reale che non siamo in grado di modellare meccanicisticamente perché non abbiamo ancora una teoria atta a descriverli.
L’idea che mi sono fatto (e che non è particolarmnte originale essendo la stessa già espressa in un lavoro del grande modellista britannico Monteith) è che occorra conservare un giusto equilibrio fra meccanicismo ed empirismo.
D’accordo anche sul fatto che gli ecosistemi non vadano “congelati” ma vadano seguiti nelle loro evoluzione intervenendo quando occorre. Penso in proposito agli ecosistemi alpini ed appenninici ove, che a seguito del totale abbandono dell’agricoltura e della zootecnia, vedono il bosco espandesi a dismisura. Forse in quei casi difendere le praterie (ad esempio favorendo la zootecnia ovi-caprina, molto meno onerosa di quella bovina) potrebbe essere un modo utile a tutelare la biodiversità.
Io la faccio molto piu’ semplice. Chiunque parli del fantomatico 97% come un valore che abbia a che fare con la realta’, lo bollo mentalmente come “cretino” e butto via il resto che ha scritto.
Capisco benissimo la tua posizione che è poi la stessa che mi spinge molte volte a “schivare” letture di questo tipo. Nello specifico mi dico che c’è una vita sola e c’è una valanga di scritti interessanti (a partire dalla letteratura umanistica e scientifica greca e latina…) e che se va avanti così non avrò mai il tempo di leggere in modo sistematico perché il mio poco tempo libero è affogato in qeuste strane letture. Tuttavia colgo anche l’esistenza di un problema educativo, nel senso che oggi più che mai i media (internet in primis) modellano la cultura di massa e dunque sul piano antropologico è necessario prendere atto di questa tipologia di messaggi. Da qui l’interesse per le “letture repellenti”.